“Giovedì scorso, il Propeller Club ha lodevolmente organizzato una specie di Stati generali dell’economia portuale in ambito ravennate, discutendo allo scopo sui fondi d’investimento destinati al nostro scalo. Hanno partecipato alla video-conferenza le più qualificate rappresentanze politico-istituzionali, aziendali e produttive interessate al tema. Non ci sono state novità di rilievo sulla messa a disposizione delle risorse preannunciate e sui tempi di effettuazione dei lavori” afferma Maurizio Marendon, Responsabile di Lista per Ravenna per Porto e Ambiente.
“Ha destato però sempre più preoccupazione tra i partecipanti la scelta dell’FSI (Ferrovie dello Stato) di mettere a budget 110 milioni di euro per il potenziamento della Pontremolese, la ferrovia che, unendo Parma con La Spezia attraverso gli Appennini, dirige la merce in esportazione dalla nostra regione sul mar Tirreno, anziché sul porto di Ravenna, aggravando così la non già rosea situazione. Chiaro che, in un’ottica di medio periodo, l’intervento ferroviario che servirebbe immensamente al porto di Ravenna, anche per fronteggiare il dirottamento sempre più sistematico dell’import/export emiliano-romagnolo sul versante tirrenico, sarebbe avere un doppio binario con Bologna, che significa raddoppiare appena, a costi molto inferiori, quello unico esistente tra la nostra città e Castelbolognese. Ma di ciò non esiste nulla, neppure sulla carta” continua Marendon.
“La crisi del Covid-19 ha però moltiplicato le già croniche difficoltà del nostro porto, che nel primo quadrimestre del 2020 ha registrato una perdita grave di traffico del 30%, laddove, restando in quell’Alto Adriatico di cui Ravenna sarebbe il “riferimento assoluto” (secondo il sindaco), il porto di Trieste è invece aumentato del +4%. Per risalire la china, abbiamo dunque enorme bisogno di interventi immediati. Viceversa, tutti gli stanziamenti elencati al Propeller per opere che vadano a vantaggio dei trasporti verso e da Ravenna, compreso il maxi-bando per l’escavo del canale portuale, sono tutti rivolti al futuro, e neppure prossimo. Basterebbe, in attesa dei lavori che avranno forse avvio a partire dal 2021, progettare, sostenere ed eseguire un sola valida operazione sul piano commerciale: adeguare al ribasso le tariffe mettendole allo stesso piano di La Spezia, escludendo ovviamente i traffici diretti ad Occidente connaturali a quello scalo. C’è chi, dopo aver portato, al suon di 235 milioni, i fondali del nostro porto canale da -9,45 a -12,50 metri, declama come panacea di voler arrivare, spendendone altrettanti, a -14,5. Servirebbero per costruire un secondo terminal container in Largo Trattaroli, come se quello esistente in darsena San Vitale non fosse sottoutilizzato per un terzo della potenzialità. Dovrebbe chiedersi quali costi si paghino a Ravenna per esportare o importare merce dall’Oriente, unico mercato nel quale possiamo gareggiare. Si renderebbe conto degli handicap rilevanti che dobbiamo scontare nei confronti di La Spezia, sia come tariffe che come tempistica dei movimenti in entrata/uscita e di stazionamento delle navi. Perché, invece di accantonare soldi per la costruzione di un nuovo terminal container, al momento inconcepibile, non convogliamo le risorse disponibili per diminuire strutturalmente le nostre tariffe?” prosegue Marendon.
“È ovvio che i lavori di potenziamento delle strade, delle ferrovie e del canale a servizio del nostro porto devono essere fatti, ma non abbiamo abbastanza tempo per attenderne staticamente il compimento. Diverse società portuali non supereranno la crisi economica in cui le ha precipitate la crisi pandemica, se non sapremo reagirvi facendo affidamento sulle nostre forze” conclude Maurizio Marendon.