Per quanto taciute, benché notissime agli addetti ai lavori, le problematiche che relegano il porto di Ravenna al 6.o posto nella graduatoria nazionale per il traffico merci e solo all’8.o in quella per i container movimentati vanno molto oltre ogni possibile escavazione dei suoi fondali. Le massime autorità portuali-cittadine sbandierano incessantemente il futuro nuovo hub portuale come la formula magica che ci farà primeggiare non solo a livello nazionale, bensì anche europeo. Ma fanno solo sorridere – come la rana di Fedro che per sembrare un bue si gonfiò fino a scoppiare – chiunque, per esperienza vissuta, sappia del porto ravennate almeno queste poche cose:

  • le tempistiche e i costi che gravano pesantemente sul nostro scalo fanno largamente preferire La Spezia a Ravenna;
  • l’estrema penuria di manodopera fa sì che nella rada, sia per sbarcare che per imbarcare, ci sia sempre una decina di navi in attesa del proprio turno: e in effetti, dal decreto Prandini del ’92, quando le compagnie portuali furono obbligate a diventare imprese, i lavoratori si sono gradualmente ridotti da oltre un migliaio a poche centinaia;
  • le compagnie di navigazione sopportano ulteriori pesanti oneri a causa delle controstallie (tempi superiori a quelli stabiliti dal contratto con l’armatore), arrivando, nel caso dei container, a pagare delle addizionali di nolo chiamate congestion charges.

Che senso allora ha un Piano Urbanistico Attuativo su 37 ettari della SAPIR nella penisola Trattaroli, dove si vuole costruire “un nuovo terminal container, per la cui attivazione si raggiungeranno i 14,50 metri di fondale”? Un delirio fuori della logica e del tempo, dato che il progetto “Hub portuale di Ravenna”, finora finanziato con 225 milioni, limita l’approfondimento dei fondali a 12,50 metri, sapendo tutti che le navi più lunghe, da 390 metri, a cui servirebbero fondali di 14,50 metri, non riuscirebbero neppure ad entrare nel porto a causa della ‘curva’ di Marina. Folle l’obiettivo dichiarato che il nuovo terminal sappia “movimentare 500 mila unità di container (TEU)”, quando quello attuale in darsena San Vitale è sfruttato molto sotto i 300 mila, che avrebbe dovuto raggiungere una decina e più di anni fa, facendo tuttora fatica a galleggiare intorno ai 200 mila. Un dragaggio a 14,50 metri andrebbe ad incidere unicamente come un costo grave per le casse pubbliche, senza alcun beneficio di sviluppo del porto, se non per un unico soggetto che si chiama SAPIR, intriso più di politica che di sana economia.

È in arrivo una montagna di soldi, dai fondi governativi ricevuti per l’escavo del canale a 12,5 metri e per il rifacimento delle banchine, al PNRR europeo, che dovrebbe portare nuovi stanziamenti per la modernizzazione del nostro scalo. Ma il sindaco de Pascale ha appena dichiarato, parlando appunto del PNRR, di aver candidato Ravenna, come “fetta sicuramente più rilevante”, a ricevere “135 milioni che saranno destinati alla fase 2 del progetto hub portuale”. Quello dei fondali a -14,50 metri e del nuovo terminal da 500 mila container.

La sala dei bottoni non capisce, o non vuole capire, che progetti troppo azzardati saranno non un volano, ma un rovescio per la nostra città. Restiamo coi piedi per terra e spendiamoci in ciò che è fattibile, in ciò che porterebbe al porto benefici sicuri in tempi certi e ragionevoli.