Lascia sgomenti e pieni di rabbia la sentenza di assoluzione dei vertici di Marcegaglia dalla responsabilità sulla morte dell’operaio di Cofari, avvenuta 6 anni fa.
Non vogliamo intervenire sulla decisione dei Giudici di primo grado, di cui peraltro non conosciamo le motivazioni, ma non ci rassegniamo all’idea che le morti sul lavoro, quella morte sul lavoro, sia un accidente che per solo caso è avvenuto nella fabbrica.
I coil, quei due maledetti coil che hanno provocato la morte, non sono caduti dal cielo. Non di morte “sul” lavoro si tratta, ma di morte “per mano” del Lavoro, “per mano” della Fabbrica.
La stessa Fabbrica che utilizza il sistema degli appalti per intensificare il lavoro, aumentare i ritmi e i carichi di lavoro, con il solo obiettivo di aumentare i profitti.
La stessa Fabbrica in cui nelle aziende in appalto non sono presenti i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza o sono nominati direttamente dai datori di lavoro, in violazione della Legge. In cui di fatto non è permesso ai lavoratori di denunciare le reali cause della scarsa sicurezza nello stabilimento: ritmi di lavoro eccessivi, pause di lavoro non garantite, turni di lavoro di 12 ore, magazzini stracolmi, deposito di materiali nei percorsi di transito di pedoni e mezzi, insufficiente formazione.
La stessa Fabbrica in cui non è presente un coordinamento di tutti i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (dei lavoratori diretti di Marcegaglia e quelli in appalto), così come è previsto dalla Legge.
Questa sentenza non può che rinnovare il dolore di chi si è visto portare via il proprio caro, il proprio collega, che pieno di esperienza era a pochi giorni dal pensionamento, dal poter godere una nuova vita fuori dalla fabbrica.
A loro va la nostra solidarietà concreta, non formale: noi ci batteremo perché, giustizia o non giustizia, non si debba morire di lavoro.