23/05/2018 – I manifesti antiabortisti, apparsi negli ultimi giorni a Ravenna, stanno scatenando non poche polemiche.
Contrari alla campagna antiabortista è Art.1 Movimento Democratici Progressisti Ravenna: “Chiediamo all’amministrazione comunale di rimuovere questi manifesti che ledono la dignità delle donne così come avvenuto a Roma e nelle altre città”. “Assistiamo in queste settimane ad una violenta campagna contro il diritto delle donne a scegliere se portare a termine o meno la gravidanza non voluta e a farlo in una struttura sanitaria pubblica, diritto garantito dalla legge 194 . Per ultima la provocazione di Provita con i manifesti apparsi anche nella nostra città. Articolo 1 MDP ribadisce il diritto irrinunciabile all’autodeterminazione delle donne in ogni momento della propria vita, a maggior ragione in un momento difficile come quello della decisione di interrompere una gravidanza. La legge 194 seppure non pienamente attuata, ha fatto diminuire gli aborti e ha abbattuto drasticamente le morti per aborti clandestini. In Italia dove 7 medici su 10 sono obiettori, si dovrebbe combattere per una piena applicazione della 194 sia nella sua parte di garanzia di interruzione della gravidanza che nella parte di prevenzione e tutela della maternità.
La posizione “ProVita” è difesa da Stefano Gardini – Presidente Popolo Della Famiglia Ravenna e Mirko De Carli – Coordinatore Nazionale Nord Italia Popolo della Famiglia: “Apprendiamo oggi come il Sindaco di Ravenna Michele de Pascale giudichi violenta la semplice verità espressa sul manifesto affisso a cura di ProVita e di altre associazioni prolife del ravennate. Purtroppo dobbiamo con tristezza constatare che anche il nostro sindaco si allinea al tentativo di silenziare la legittima espressione di opinione e del libero pensiero su un tema, certamente controverso, ma proprio per questo che ha la necessità di vedere in campo anche le posizioni prolife, che non possono sempre essere relegate a ‘violente’ o a ‘condanna delle donne’. Non si tratta di questo – proseguono i due “prolife” – si tratta di affermare ciò che non è contestabile, che a 11 settimane abbiamo un bambino; poiché nel merito non hanno alcun argomento valido, ecco che si scende al bieco tentativo di censura, degno di regimi totalitari. Il Popolo della Famiglia dichiara fermamente di sostenere la campagna ed il messaggio del manifesto di ProVita e chiede che le posizioni prolife abbiano piena cittadinanza e diritto di espressione senza censura costituzionalmente garantito nella nostra città”.
Alessandro Barattoni, segretario provinciale PD Ravenna e Mirella Dalfiume, coordinamento Donne Democratiche definiscono i manifesti provati “sconsiderati e inaccettabili”
“E’ bene ricordare che la legge (legge 194 – Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) non ha introdotto la pratica dell’aborto ma ha tolto dalla clandestinità e dall’illegalità l’interruzione volontaria della gravidanza, grazie alla capacità delle donne di imporre all’agenda politica un drammatico vissuto femminile fino ad allora relegato nel privato ed esposto da un lato al rischio di morte, dall’altro alla galera.
La legge fu fortemente voluta dalle donne di gran parte del movimento femminista, dell’Udi, dei partiti di sinistra, dei sindacati e delle associazioni e tante altre seppero mettersi insieme, dopo mediazioni non facili, e vinsero. Le strutture sanitarie pubbliche dovevano garantire gratuitamente l’interruzione volontaria di gravidanza e i consultori dovevano assicurarne la prevenzione attraverso una efficace educazione sessuale e sanitaria. La legge recepì queste istanze, ma consentì l’obiezione di coscienza anche se circoscritta al solo personale, la struttura era tenuta in ogni modo ad assicurare gli interventi.
Tutte le rilevazioni statistiche effettuate dal 1978 ad oggi dimostrano che: in questi 40 anni il calo delle interruzioni volontarie di gravidanza in Italia è stato ed è in continua e progressiva diminuzione; attualmente il tasso di abortività del nostro Paese è fra i più bassi tra quelli dei paesi occidentali; l’aborto volontario non è mai stato un mezzo di controllo delle nascite.
Se si va a rileggere il testo della 194, si scopre che il vero problema della legge, a quarant’anni dalla sua introduzione, è soprattutto la sua mancata applicazione.
Il nodo è quello dell’obiezione di coscienza di medici e infermieri. Secondo l’ultimo rapporto del ministero della Salute, con dati del 2016, i ginecologi obiettori nelle strutture in cui si praticano interruzioni di gravidanza sono oltre il 70%. In molte regioni il diritto garantito dalla 194 è di fatto negato. Ci sono strutture dove l’obiezione è totale e altre ridotte a catena di montaggio dell’aborto, con singoli operatori che arrivano a praticarne 400 all’anno.
Nel 2016 il Consiglio d’Europa, su ricorso della Cgil, ha richiamato l’Italia sia per le difficoltà di applicazione della legge sia per la «discriminazione» nei confronti del personale sanitario non obiettore. L’anno dopo ha fatto lo stesso il comitato dei diritti umani dell’Onu, sottolineando come questi ostacoli portino a un aumento degli aborti clandestini. Con i suoi rischi e le sue tragedie.
Quarant’anni dopo, le donne incontrano ancora molti ostacoli e il loro diritto a scegliere è tutt’altro che garantito.
L’accesso a pratiche di IVG meno invasive, come la pillola del giorno dopo, l’assistenza sanitaria in tutte le strutture sanitarie pubbliche o accreditate, per non scaricare le scelte degli obiettori sulle donne e sui medici non obiettori, il rilancio dei consultori familiari, l’accesso a metodi contraccettivi semplici, senza effetti collaterali, meno costosi e reversibili, l’educazione alle relazioni e alla sessualità nelle scuole sono elementi fondamentali per ridurre il numero di gravidanze indesiderate e il ricorso all’IVG.
Solo così potremo esercitare il diritto alla procreazione responsabile. Il Partito Democratico sarà dalla parte delle donne e dei diritti.”