Mercoledì 11 agosto proseguono gli appuntamenti ad ingresso gratuito che il cineclub Il Raggio Verde offre al pubblico della Molinella. Questa settimana, per la rassegna Mirabile Visione, viene proposto uno dei capolavori del maestro dell’horror mondiale, Dario Argento, Inferno.

La proiezione del film inizierà alle 21.15. Piazza Nenni sarà aperta al pubblico dalle 20.30

Trama: La giovane poetessa newyorkese Rose Elliot acquista un libro da un antiquario armeno: è un prezioso incunabolo scritto in latino di un architetto, Varelli. Nel libro si parla delle Tre Madri, e Rose intuisce che l’appartamento in cui vive è in una delle tre case che Varelli ha fatto costruire per loro. Rose scrive una lettera a suo fratello Mark, pregandolo di raggiungerla, perché ha paura.

Argento visivamente al suo massimo: più oltre non è possibile spingersi. Assimilata definitivamente la lezione di Mario Bava (peraltro presente come consulente non ben specificato, con il figlio Lamberto a fare l’aiuto regista), il massimo esponente dell’horror di casa nostra affolla il set con scenografie di una ricchezza sconvolgente, illuminate da una fotografia (di Romano Albani) che inventa cromatismi capaci persino di superare le magnificenze di Suspiria. È come se Argento avesse dilatato il finale del suo capolavoro precedente facendo muovere i suoi molteplici protagonisti tra i corridoi e le stanze di case in cui l’arredamento, la disposizione di finestre, sedie, specchi e ogni sorta di barocchismi concorre alla creazione di autentici quadri. La maestria nelle riprese, l’attenzione massima al sonoro e la scelta di una colonna sonora (di Keith Emerson) inusuale ma efficacissima (con un tema cantato da brividi) vanno a sostenere un cast prodigiosamente calato in una dimensione quasi onirica. Non c’è più una logica precisa, un’indagine da seguire. In Inferno c’è l’orrore puro. Un film con qualche sbavatura (negli omicidi, stranamente), un ritmo lento (ma si tratta del più autoriale, del più ambizioso tra i lavori di Argento), magari imperfetto ma talmente spettacolare nelle atmosfere e nelle immagini da far apparire gran parte degli horror girati fino ad allora (soprattutto in America) come roba per ragazzi. Potrà irritare, indisporre per mille motivi, ma di fronte a un film di genere girato con virtuosismi simili, una scheggia impazzita in un panorama solitamente troppo stereotipato, non c’è che da assistere in silenzio, godendosi l’unicità del capolavoro.
(Davinotti)

Quando Inferno uscì in Italia, nel marzo del 1980, furono – fummo – in pochissimi ad accorgerci che era un capolavoro. Anzi, più di un capolavoro: il film totale, l’alfa e l’omega del cinema di Dario Argento. Tutto ciò che era venuto prima di Inferno, i gialli zoologici, Profondo rosso, Suspiria, apparivano necessariamente come un progresso destinato a giungere a questo punto di arrivo. Tutto quello che ne sarebbe seguito, non poteva che essere un cammino in discesa, una lenta eclissi. Per anni abbiamo sperato che la terza fase, la Terza Madre, potesse completare la Grande Opera argentiana con una nuova apoteosi. Poi abbiamo capito che Inferno apriva e nello stesso tempo chiudeva il ciclo. Che era auto-concluso, auto-esplicativo, bastava a se stesso. Che era Inferno la Grande Opera alchemica che Argento aveva iniziato e portato a termine nello spazio di quegli ottanta minuti scarsi di film. Lo capimmo subito, fin dal prologo, quando Rose traduce le minacciose righe latine delle Tre Madri – enfatizzate dalle inquadrature in dettaglio del testo, alternate agli occhi avidi della lettrice e accompagnate dalla musica dolce di Keith Emerson – che questo viaggio argentiano ci avrebbe condotto da qualche parte nuova nel suo universo, in una zona realmente infera e sotterranea in cui nulla sarebbe stato preventivabile.
(Davide Pulici, Nocturno)