Anche quest’anno il libro-catalogo del Festival intende essere uno strumento di approfondimento di quella costellazione o polifonia di temi che sempre più caratterizza le ultime edizioni di Ravenna Festival, che persegue con determinazione la sua natura multidisciplinare, facendosi anche riflesso e combinazione di qualità riconoscibili in una o molte città della nostra epoca, che la pubblicazione rende più leggibili.
Il tema portante poi, quello delle calviniane Città invisibili, offre il fianco a molteplici interpretazioni e “letture” che possono avere, come sempre, la stessa città di Ravenna come fil rouge o filigrana. Al viaggiatore la città si mostra infatti come una successione di soglie che chiedono di essere varcate e l’anfibia (!), proteiforme Ravenna non sfigurerebbe affatto nel novero delle città che Marco Polo descrive a Kublai Kan. Dopo tutto, quelle descritte da Calvino sono città chimeriche, impossibili e inesistenti. Per un Festival che da sempre trova nella composita identità della città e del territorio il punto di partenza e la destinazione dei propri itinerari, la riflessione sulla dimensione invisibile della città – le relazioni, esperienze e comunità che sono più della somma dei suoi edifici e delle sue strade – è inevitabile.
Tra invisibilità e visionarietà, remote antichità e architetture contemporanee percepite come “rovine”, oscilla il percorso per immagini che il libro-catalogo porta sempre in sé e di cui il saggio di Alberto Giorgio Cassani “Le Ravenne fantastiche e invisibili. Da Sidonio Apollinare a Nicola Montalbini” costituisce un suggestivo “invito al viaggio” che disegna geografie nascoste o dimenticate. Ecco allora le architetture “invisibili” (sicuramente per tanti) della Centrale termoelettrica S.A.D.E. di Porto Corsini, progettata da Ignazio Gardella, con i mosaici di Mario De Luigi, negli scatti di Gian Luca Liverani o la “Ravenna invisibile” di Adriano Zanni, quasi uno scenario distopico post-nucleare (tra il Tarkovski di Solaris e La strada di Cormac McCarthy) che rimanda al finale di Le città invisibili dove si parla dell’“inferno dei viventi”, di cui fornisce un commento critico Sabina Ghinassi. Ma sono anche le fotografie dei ragazzi del laboratorio fotografico guidato da Alessandra Dragoni e Gioia Gattamorta a darci un originale ritratto della città, che mette in luce scorci e particolari a cui noi, per abitudine o distrazione, non prestiamo attenzione, quasi una realtà parallela, e per questo anch’essa invisibile. Oppure le antiche visioni, frammentarie e pressoché segrete ma proprio per questo ancor più affascinanti, che ci offre il Museo Nazionale, descritte da Elisa Emaldi e Paola Novara. Del resto, Ravenna è la città in cui si vedono cose che non ci sono, come ci insegna l’esperienza vissuta da Carl Gustav Jung al Battistero Neoniano, e non si vedono cose che invece ci sono o che non ci sono più come la famosa Mariola, ricordata anche nel Don Chisciotte, di cui ci racconta Franco Gabici.
Del rapporto ambivalente di Italo Calvino con la musica tratta l’approfondito saggio di Oreste Bossini a cui fa da pendant la bella intervista allo scrittore di Lorenzo Arruga con le foto di Silvia Lelli. Di un altro tesoro nascosto (o almeno “blindato”) ravennate, ovvero il manoscritto contenente le undici commedie di Aristofane (tra cui anche Acarnesi, la cui “messa in vita” a Pompei e al Teatro Alighieri ad opera di Marco Martinelli è oggetto di una riflessione da parte di Maddalena Giovannelli), gelosamente custodito nella Biblioteca Classense, ci dice Floriana Amicucci, mentre Tahar Lamri ci introduce a uno dei testi più straordinari della poesia mistica sufi araba, ovvero Mantiq At-Tayr. Il verbo degli uccelli, rappresentato anch’esso in questa edizione del Festival dal Grande Teatro di Lido Adriano.
Tra immaginari distopici, catastrofi assortite (la minaccia nucleare è uno dei “sottotemi” più o meno nascosti del Festival), fantasiose trasfigurazioni storiche, si situano poi i contributi di Nevio Galeati (“Supereroi tra meteoriti e pandemie”), la recensione di Luis Buñuel di Metropolis di Fritz Lang e l’intervista a Charlie Chaplin su Il grande dittatore di Robert Van Gelder.
A due grandi protagonisti statunitensi del Festival, l’artista multimediale per eccellenza Laurie Anderson e il maverick freak del rock Frank Zappa, sono dedicati gli scritti di Claudio Chianura (“Laurie Anderson. Racconti e suoni del corpo elettrico”) e Riccardo Bertoncelli (“Lo squalo giallo di Frank Zappa”), mentre uno sguardo a due grandi scrittori, pur così tra loro poco affini, ossia Grazia Deledda e Giovanni Testori, di cui ricorre il centenario della nascita, è rivolto rispettivamente da Marisa Ostolani (sulla Deledda “cervese”) e dalla scrittrice Sandra Patrignani (“Leggere Grazia Deledda oggi”); e da Federico Savini (sul Testori interpretato da Sandro Lombardi) e Luca Doninelli.
Come chiusura un omaggio da parte dello scrittore Eraldo Affinati al prezioso e sempre attuale insegnamento di un grande “Maestro”: don Lorenzo Milani (anche di lui ricorre il centenario della nascita).