Più uomo che dio, un rivoluzionario la cui morte rende vivo il suo insegnamento, il Gesù pasoliniano predica una verità radicale e scandalosa. Quella verità che il regista cercò in un cast di non professionisti, a partire dal protagonista, il sindacalista catalano Enrique Irazoqui che in Italia cercava appoggio contro il regime franchista. Mercoledì 29 giugno, alle 21.30 alla Rocca Brancaleone, Il Vangelo secondo Matteo (1964) è l’appuntamento conclusivo della rassegna cinematografica che Ravenna Festival ha dedicato a Pier Paolo Pasolini, in collaborazione con Rocca Cinema. Tra i sassi di Matera, Pasolini traccia una visione anti-dogmatica delle origini della cristianità, in antitesi alle strutture intellettuali e materiali dell’istituzione ecclesiastica. E la musica? La Matthäus-Passion di J. S. Bach, la Maurerische Trauermusik di Mozart, il blues di Blind Willie Johnson, i canti popolari russi, greci ed ebraici rielaborati da Luis Bacalov… per accompagnare un Gesù in continua tensione fra nostalgia e profezia.
“La mia lettura del Vangelo non poteva che essere la lettura di un marxista – notò Pier Paolo Pasolini – ma contemporaneamente serpeggiava in me il fascino dell’irrazionale, del divino, che domina tutto il Vangelo. Io come marxista non posso spiegarlo e non può spiegarlo nemmeno il marxismo. Fino a un certo limite della coscienza, anzi in tutta coscienza, è un’opera marxista: non potevo girare delle scene senza che ci fosse un momento di sincerità, intesa come attualità. Infatti, i soldati di Erode come potevo farli? (…) Li ho vestiti un po’ da fascisti e li ho immaginati come delle squadracce fasciste o come i fascisti che uccidevano i bambini slavi buttandoli in aria”. Il Vangelo secondo Matteo è però anche l’opera di un ateo che nella diversità di Gesù riconosce la propria diversità – quella di un rivoluzionario che decide di dare voce ai poveri e agli emarginati. La dedica del film alla “cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII” sembra voler rendere giustizia al tentativo di Papa Roncalli di prendere atto dei dirompenti cambiamenti in atto in Italia, nel mondo e nella Chiesa Cattolica.
La visione di Pasolini è volutamente anti-spettacolare, infinitamente più vicina al Francesco giullare di Dio di Rossellini che a Il Re dei Re di Cecil B. DeMille. È costruita di primi piani di contadini, donne, bambini, lavoratori, malati, disabili; di discorsi sull’uguaglianza, la giustizia, il materialismo borghese. Nel suo Gesù carico di tristezza e solitudine, Pasolini riversò anche la propria nostalgia del mitico, dell’epico e del tragico. E se l’identificazione fra Pasolini e Gesù è suggerita anche dalla scelta di affidare il ruolo di Maria non più giovane a sua madre, l’approccio quasi documentario, sullo scia del Neorealismo, è filtrato dalla tradizione dell’arte sacra, da Piero della Francesca a El Greco.
I sopralluoghi in Palestina, oggetto di un breve film nel 1963, convinsero Pasolini a girare Il Vangelo secondo Matteo nelle terre abbandonate e povere del meridione italiano, in Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia (e in misura minore in Lazio). In quel mondo arcaico e pastorale, insomma, che là era ancora intatto; che sotto un sole “ferocemente antico” resisteva a quell’altra Italia che stava bruciando le tappe dello sviluppo da Paese agricolo a Paese industrializzato e pertanto innescando un’irreversibile trasformazione culturale e sociale. Pasolini popolò il paesaggio di volti autentici e di familiari e amici (oltre alla madre Susanna, la cugina Graziella, Enzo Siciliano, Natalia Ginzburg…). La colonna sonora viaggia dalla Passione secondo Matteo di Bach a brani della Missa Luba dell’Africa centrale; l’Adorazione è accompagnata dallo spiritual Sometimes I Feel like a Motherless Child, Mozart caratterizza la Crocifissione…un intreccio che sottolinea la qualità senza tempo, o meglio sospesa nel tempo, della narrazione.