Venti mesi fa Franco Pirazzoli perdeva la vita sul lavoro in quello che in un primo tempo era parso essere un malore e che invece, a seguito di una autopsia disposta dal magistrato, si era rivelato un forte trauma dovuto probabilmente a un infortunio. Pirazzoli morì in un piazzale adiacente alla banchina portuale di Ifa Spa lavorando per la Staggi Srl, un’azienda interamente posseduta dalla stessa Ifa. Nel 2020 affermammo che quell’infortunio presentava dei lati oscuri; oggi, se le notizie di stampa di qualche giorno fa saranno confermate dagli atti della magistratura, possiamo dire che i nostri più foschi pronostici saranno stati tragicamente confermati.
Franco, infatti, sarebbe stato involontariamente travolto da un collega alla guida di una pala meccanica non sottoposta a regolare manutenzione. Sembra che il collega non sia mai stato sottoposto a visita medica di idoneità. Le operazioni si sarebbero svolte su un piazzale senza segnalazioni di sicurezza, in completa promiscuità, senza cioè che le vie di circolazione pedonali fossero distinte dalle vie di circolazione dei mezzi. Una sorta di far west, un territorio selvaggio, senza legge, dove vige solamente la regola del profitto a ogni costo a sprezzo della vita di chi ci lavora. Una situazione che porta alla mente altri morti che hanno colpito il nostro territorio e che, ogni 13, marzo ricordiamo quando celebriamo la tragedia della Mecnavi.
Abbiamo ancora imprenditori allergici alle regole, al sindacato, ai protocolli di sicurezza del porto. Ci sono aziende nel porto di Ravenna dove non si entra, niente sindacato, niente RLSS del porto.
Crediamo che la città si debba interrogare; gli organi di sicurezza, quelli di vigilanza e le istituzioni si debbono interrogare. Si può permettere che aziende che lucrano sul non rispetto delle regole e sulla sicurezza possano avere un vantaggio competitivo rispetto a quelle che rispettano le regole? Si può permettere che altri Pirazzoli o Diop Gougnao (morto 11 anni fa sotto i sacconi stoccati nei magazzini della stessa IFA) debbano continuare a morire? Qual è il modello univoco di regole che si vuole scegliere per il porto di Ravenna?
Il sindacato non ha dubbi, Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti si battono da sempre per le regole, per la legalità, per il buon lavoro, la sicurezza e una competizione basata sugli investimenti e sulla innovazione. Se fossero confermate le informazioni giornalistiche e si dovesse celebrare il processo a carico dei responsabili, il sindacato, unitariamente, chiederà di essere ammesso come parte civile.
Testimonianza, indignazione e protesta però non bastano, è necessario un risveglio della città sui temi della sicurezza. Gli organismi di vigilanza devono intensificare la loro attività di prevenzione, controllo e repressione. Le istituzioni e il governo (nelle vesti del Prefetto) velocizzino la realizzazione dei tavoli che sono stati previsti sui temi di legalità e sicurezza del lavoro. Il protocollo di sicurezza del porto va rinnovato, potenziando le agibilità dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza di sito. Le associazioni datoriali devono alzare la voce nei confronti dei propri iscritti quando non rispettano le regole. Il messaggio deve essere unitario, univoco e senza ambiguità. La nostra città, le istituzioni e le associazioni di rappresentanza possono farlo.