La Filt Cgil di Ravenna denuncia il dilagare nel territorio di un preoccupante fenomeno che vede numerosi committenti privati richiedere ai rispettivi appaltatori tariffe così al di sotto dei parametri fissati dalla contrattazione di settore da rendere di fatto impossibile il pieno rispetto della normativa previdenziale, assistenziale e fiscale, e più in generale, la corretta applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
“Per soddisfare le richieste dei committenti ed ottenere il contratto, le aziende appaltatrici sono costrette ad individuare modalità sempre nuove per conseguire i risparmi necessari e non esitano a sottrarre salario e tutele ai lavoratori addetti all’appalto, sui quali ricadono, in definitiva, gli effetti pregiudizievoli di tale meccanismo.
Tale fenomeno non è limitato alla sola categoria dei trasporti, caratterizzando tutti i settori produttivi dell’attuale mercato del lavoro dove gli appalti ed i fenomeni di esternalizzazione sono diventati sempre più diffusi e purtroppo sempre meno rispettosi delle normative.
I primi segnali di questo utilizzo sempre meno lecito del contratto di appalto risale all’inizio della crisi economica che nel territorio ravennate si è manifestata a partire dal 2008.
Da allora, il ricorso all’esternalizzazione è cresciuto in modo esponenziale e non si è più limitato alle lavorazioni accessorie o collaterali rispetto alle attività produttive (come il facchinaggio o le pulizie industriali) ma intere fasi della produzione vera e propria sono state affidate a società in appalto, secondo modalità non sempre corrette, che talora giungono sino alla vera e propria intermediazione illecita di manodopera.
In questo contesto, si è assistito al proliferare di società e cooperative, coinvolte nelle varie fasi della produzione industriale, spesso più di una per ciascun committente ed in concorrenza tra loro, disposte ad escogitare sempre nuovi escamotage per abbassare il costo del lavoro ed accordare sconti e tariffe orarie incompatibili con un mercato che sia al tempo stesso libero ma anche rispettoso delle leggi e dei contratti.
Un discorso particolare merita il settore dei trasporti merci e logistica, il cui contratto collettivo nazionale di settore prevede, all’art 42, che solo alcune attività possano essere oggetto di esternalizzazione attraverso l’utilizzo di appalti e che ciò possa avvenire solo ed esclusivamente in favore di società che applicano quello stesso specifico contratto collettivo.
Una norma di tutela che, ove applicata, garantirebbe all’interno del settore la parità di trattamento dei lavoratori ed un livello garantito di retribuzioni, scongiurando pericoli quali la contrattazione al ribasso, il dumping contrattuale ed ogni altro fenomeno distorsivo volto a contendersi gli appalti a suon di risparmi più o meno leciti sulla manodopera.
Tale previsione, denuncia la Filt Cgil Ravenna, è troppo spesso disattesa e non applicata dai committenti, portuali e non, che nell’affidare i propri appalti non richiedono l’applicazione da parte dell’appaltatore del suddetto contratto o quantomeno non effettuano la dovuta vigilanza, nei fatti legittimando il dumping contrattuale e l’applicazione di contratti a tariffe assai più basse e tutele normative ridotte.
Uno degli esempi più frequenti è il ricorso al contratto cosiddetto “Multiservizi”, che presenta tariffe e tutele assai inferiori rispetto al contratto Merci e Logistica.
Si riscontrano, però, anche a veri e propri illeciti, quali il mancato versamento delle ritenute fiscali e dei contributi sulle somme indicate in busta paga, tramite artifici ed imputazioni fittizie (la più frequente è quella a “trasferta esente” in cui la retribuzione viene corrisposta sotto forma di un rimborso forfetario, esente da imposte e contributi, delle finte spese di trasferta di lavoratori che in trasferta non vanno), l’indicazione solo parziale delle ore lavorate nei cedolini paga e l’erogazione di straordinari ed indennità con il meccanismo cosiddetto del ” fuoribusta” cioè ancora una volta in contanti e senza oneri aggiuntivi, o addirittura “in natura” con buoni benzina o buoni pasto in violazione della normativa in vigore.
Questo fenomeno è particolarmente grave nel settore dei trasporti su gomma dove sempre più frequentemente si fa ricorso alla paga globale, cioè ad una paga mensile prefissata e forfetaria, che non tiene conto del numero di ore effettivamente prestate e degli istituti contrattuali quali tredicesima o ferie e permessi, ed a cui spesso non corrispondono trattenute fiscali e contributive corrette; in questo modo le aziende possono ancora una volta proporsi ai committenti offrendo viaggi ad un costo inferiore.
Fenomeni ancora più complessi, ed in evidente aumento, sono quelli del distacco transnazionale e del ricorso a contratti stranieri, che consentono di utilizzare le normative più favorevoli di altri paesi, soprattutto comunitari, alla ricerca di una consistente riduzione dei costi.
Tali meccanismi, nei casi più gravi si spingono sino ad aziende che scientemente non versano Iva, altre imposte, oppure contributi previdenziali, per importi assai ingenti e che ciclicamente chiudono e riaprono con nuovi nomi e sedi, lasciando dietro di sé debiti enormi nei confronti dei lavoratori, dei clienti, dello Stato.
Esaurito l’esame del fenomeno dal lato dei lavoratori, non si può tacere che vi siano effetti devastanti anche per le aziende – committenti ed appaltatrici – che intendono rispettare le regole e che possiamo definire virtuose, che si trovano a subire gli effetti nocivi e spesso esiziali di un meccanismo di concorrenza sleale che rischia di tagliarle fuori dal mercato, in una continua ricerca del massimo ribasso che poco concede a chi rispetta le regole e cerca la qualità del servizio e del prodotto.
E’ evidente come fenomeni di questo tipo richiedano una vigilanza strenua da parte delle parti sociali, delle organizzazioni imprenditoriali e degli enti pubblici, nel tentativo di arginare il fenomeno ed intervenire sanzionandone i responsabili, ripulendo il mercato dalle distorsioni e dalle illegalità.
A questo proposito va segnalato che in tema di tariffe applicabili a livello territoriale, esiste un tavolo all’Ispettorato del Lavoro in cui sono presenti i rappresentanti delle organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil), delle organizzazioni datoriali, tra cui Confindustria, e delle associazioni delle cooperative, tra cui Legacoop e Confcoperative.
Tra le altre cose, in quella sede e su base annuale, si definisce la tariffa minima di facchinaggio nella provincia di Ravenna.
Per l’anno 2019 il costo del lavoro complessivo per ogni lavoratore è di 20,25 euro per ogni ora lavorata, nella realtà però, si assiste quotidianamente a committenti che propongono contratti commerciali con importi orari compresi tra i 16 euro ed i 17,50 euro, o addirittura inferiori.
In ultimo, va sottolineato un aspetto da non sottovalutare, ovvero che storicamente una delle prime voci di costo ad essere eliminata è da sempre quella relativa alla sicurezza sul lavoro, a scapito della incolumità e della salute dei lavoratori che ancora una volta pagano il prezzo di questo meccanismo assai poco virtuoso, sotto forma di infortuni e malattia professionali.
Tutto questo per la Filt Cgil Ravenna è inaccettabile: è giunto il tempo di arginare e quindi debellare un fenomeno che rischia di minare alle radici il nostro sistema produttivo ed a tale fine si auspica la piena collaborazione di tutti, a partire dalla organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese, sino agli organi di vigilanza competenti, in primis Ispettorato del Lavoro, Inps e Guardia di Finanza.
Non vi sarà alcuna tolleranza da parte dell’organizzazione per i fenomeni distorsivi denunciati, che saranno oggetto di vertenze individuali e collettive, proposte nei confronti di aziende appaltatrici e committenti, ciascuna per il proprio titolo, a tutela dei diritti dei lavoratori”.