Risolta la vicenda Berkan B, si auspicava che con essa avrebbero preso il via anche i relitti del cosiddetto “cimitero delle navi” di Ravenna. Un “pessimo biglietto da visita” per il nostro porto e per la nostra città, indegnamente pubblicizzati ovunque con video da 60 mila visualizzazioni girati proprio sui relitti del “cimitero”. Ed invece, non solo le tre “caravelle” russe abbandonate da ben tredici anni ed ormai completamente affondate – più altri due relitti più piccoli presenti da almeno trent’anni – giacciono ancora nel canale Piomboni, in continuità idraulica con un’area Rete Natura 2000 – la Pialassa Piomboni – protetta dalle Direttive europee, ma si è aggiunta, poco distante, anche la motonave Gobustan, il cui destino potrebbe essere analogo nonostante sia ancora galleggiante. Nessuno sviluppo, al momento, circa la rimozione delle carcasse, dopo le promesse e gli impegni degli enti competenti. Nel frattempo, continua invece l’attività di bracconaggio nei bassi fondali del “cimitero”: specialmente vongole, che vengono prelevate su scala industriale da bande organizzate di stampo criminale, e che poi finiscono senza alcun controllo sanitario nel mercato legale e illegale, ovvero sulle nostre tavole. Com’è noto, i molluschi, estremamente ricettivi agli inquinanti, vengono utilizzati in ambito scientifico come “marcatori” della contaminazione di un ecosistema: potrebbero quindi non esserci molti dubbi che un sito ormai più simile ad una discarica abusiva incontrollata e senza sorveglianza quale quella del “cimitero delle navi” del porto di Ravenna, aggravi un problema – la pesca di frodo – che a Ravenna pare ineliminabile.
Italia Nostra ha depositato oggi una denuncia, ipotizzando che il “cimitero delle navi” costituisca di fatto una sorta di gigantesca “discarica” a cielo aperto non regolamentata, non gestita ed in contatto con le acque del porto e della Pialassa. E se le leggi faticano a classificare precisamente i relitti navali (relitti o rifiuti?), tuttavia, nel caso di Ravenna, ormai sembra palese non si possa più parlare nemmeno di “relitti”, ma di strutture metalliche semiaffondate che rilasciano nell’ambiente porzioni di materiale di svariata natura e grandezza provenienti dagli stessi relitti abbandonati, e cioè, di fatto, venga favorita la produzione e l’accumulazione incontrollata sul posto – ovvero la dispersione nell’ambiente – di veri e propri “rifiuti”. Materiali quindi anche tossici e nocivi per la salute e per l’ambiente, la cui classificazione secondo norma non presenta dubbi. A fugarli ulteriormente, la relazione dal I° Nucleo Operatori Subacquei Guardia Costiera della Capitaneria di Porto di San Benedetto del Tronto del 21.01.2020, per conto della Capitaneria di Porto di Ravenna, dove si legge:“considerato l’avanzato stato d’usura [dei relitti del cimitero], non si esclude un potenziale e pericoloso inquinamento causato da futuri collassi delle strutture che provocherebbero il versamento in mare del residuo carico di idrocarburi all’epoca presente nelle cisterne asservite agli organi di propulsione”. Speriamo che stavolta, a seguito del continuo interesse dei cittadini per la vicenda, si possa finalmente giungere alla risoluzione di questo annoso problema.