” Domandava a Jovanotti il cronista de Il Quotidiano Nazionale del 4 aprile 2022: “Attorno al suo party sulle spiagge s’è scatenata una polemica: l’abbattimento di 65 metri di tamerici a Marina di Ravenna ha provocato la denuncia di Italia Nostra”.
Rispondeva il cantante: “Uno dei principi che abbiamo seguito nell’organizzazione del tour è quello non solo di rispettare i territori, ma anche di contribuire alla loro valorizzazione (…). Diciamo che il Jova Beach Party è un acceleratore di processi che consente, magari, ai comuni di sfruttare l’occasione per fare lavori che languivano da tempo (…)“. Ed infatti, il 2 aprile, il Comune di Ravenna aveva dichiarato, rispetto alle tamerici: “Jova Beach Party a Marina di Ravenna, rimozione di specie alloctone [non vero, perché, come da documenti ufficiali del Comune stesso si trattava dell’autoctona Tamarix gallica, poi confermato da esperti sugli esemplari superstiti] nell’ottica della riqualificazione del Parco Marittimo”.
Detto fatto. Davanti all’ecatombe di Marina di Ravenna e Punta Marina del primo stralcio del “Parco”, forse impallidirebbero persino le ruspe di Jovanotti. Un tornado si è abbattuto sulla pineta piantata a partire dalla seconda metà dell’ottocento fino agli anni 30, passando dalla “legge Rava” del 1905, lungo la fascia costiera da Pinarella alla foce del Reno presso Casalborsetti. Lo scopo era di difendere la costa dal mare e di arricchirla di elementi naturali. Una caratteristica tutta ravennate devastata e snaturata per sempre: numerose centinaia di alberi abbattuti, il piede della duna lato mare completamente disboscato dalle piante che ne costituivano, con le proprie radici, l’ossatura. Tutto questo nonostante, in periodi di forti mareggiate ed eventi climatici estremi come i recenti, la presenza di vegetazione con funzione di barriera frangivento ed anti erosione diventi fondamentale. Si legge che il sottobosco andrà sfoltito. Per quale motivo? Parchetto con area picnic, alla faccia della biodiversità garantita dalla presenza del rovo e di altre specie? E che passerelle ciclabili si insinueranno ovunque, anche sugli ultimi relitti di naturalità delle dune superstiti.
Pare proprio che nostra costa, un po’ selvaggia ed unica, diventerà un lungo (ma “fighetto”) parchetto intercondominiale dotato di infrastrutture, luci, attrezzature, sottoservizi e tombini, percorribile senza sosta in lungo e in largo: un grande polmone verde dal fascino particolare stravolto per rincorrere il modello cementifero e di massiccia invasione umana del riminese.
Con amarezza e sconcerto, ricordiamo che progetti come questi – che di “green” pare abbiano solo la “location” – sono realizzati all’interno di una Riserva Naturale dello Stato, denominata “Pineta di Ravenna” istituita con apposito decreto ministeriale nel 1977. Nel decreto si legge: “Pineta di Ravenna (…) trattasi di fasce boscate litoranee che esplicano funzione di protezione dal vento e dal sorrenamento sui terreni retrostanti (…)”. E ancora: “Entro il perimetro delle riserve, è consentito l’accesso per ragioni di studio, per fini educativi, per escursioni naturalistiche, per compiti tecnico-amministrativi di gestione e vigilanza, nonché per la ricostruzione di equilibri naturali”. Un luogo, quindi, destinato alla massima tutela della natura, della fauna, della flora, del patrimonio comune, su cui la legge impone di contenere al minimo l’impatto antropico, non certo di esaltarlo. Il tutto con fondi PNRR (quasi 6 milioni di euro solo per il primo dei tre stralci, per un totale di oltre 17 (!) milioni di euro), per il quale dovrebbe valere il cosiddetto principio “DNSH” (Do no significant harm), ovvero che gli interventi previsti non arrechino nessun danno significativo all’ambiente. II lavori, stando al progetto, si fermeranno il 15 marzo, per evitare il disturbo all’avifauna. C’è dunque da immaginare, visti i ritardi, che la furia distruttrice si scatenerà ancor più violenta in questi ultimi giorni. Il Comune di Ravenna vada a vedere cosa sta combinando e fermi subito lo scempio! “
Italia Nostra Ravenna