Si legge della messa in vendita della sede della Cooperativa Muratori Cementisti alla Darsena di città, che conclude in questo modo centoventi anni di una parte importantissima della storia del movimento cooperativo italiano. Come Italia Nostra chiediamo però che chi avrà il compito di ripianare il dissesto economico che ha condotto all’epilogo, non cancelli i simboli del movimento cooperativo e della protostoria industriale della portualità italiana.
L’operazione infatti si presenterebbe molto ghiotta per gli appetiti speculativi: si tratta di un’area di oltre 80 ettari (se ai subcomparti 8 e 9 di CMC aggiungiamo anche parte del 10 della SIR), collocata in un contesto dalle altissime potenzialità, prossima al centro storico, alla stazione e alle vie di acqua e di terra di Ravenna per il mare, all’interno dell’ampio, variegato e ben connotato quartiere Darsena. Non a caso l’amministratore delegato della cooperativa Commercianti Indipendenti Associati (Conad) Panzavolta, una delle possibili candidate all’acquisto dell’area, dichiara che “la nostra cooperativa ha già pronto un progetto urbanistico ambizioso per la riqualificazione della Darsena, di levatura nazionale se non oltre”.
Considerando che gli strumenti urbanistici ora scaduti prevedevano, come confermato nel PUA per i subcomparti di CMC presentato qualche mese fa dagli architetti Focaccia e Rinaldini (è quello il progetto di cui parla Conad?), la realizzazione di circa 14000 metri quadri di superfici commerciali, e che nel contiguo magazzino a copertura parabolica ex Sir ne erano previsti altri 5000, arriveremmo a quasi 20 mila nuovi mq di superfici commerciali nella già satura Ravenna. Una moltitudine di cittadini si chiede sgomenta perché Ravenna sia diventata la città dei centri commerciali; e delle discariche, aggiungiamo noi.
Diventa dunque d’obbligo che il progetto venga predisposto mettendo al centro del processo di riqualificazione il contesto e le presistenze, e non l’obiettivo di creare l’ennesimo, vuoto, anonimo e scadente megacentro commerciale affogato nel cemento. Il materiale, nonostante le distruzioni anche recenti, ancora non manca, e ci riferiamo ai due beni culturali presenti nell’area di progetto, ovvero il canale Candiano di origine settecentesca, ed il magazzino a copertura parabolica ex SIR del 1956, divenuto ormai il simbolo della città più progredita che lotta per non cancellare la propria identità moderna e la memoria del lavoro: non a caso il magazzino, ormai famoso in tutta Italia, è molto amato soprattutto dai giovani. A questi due elementi aggiungiamo la sede storica della CMC, purtroppo non sottoposta a vincolo come bene culturale. Nemmeno il sindaco, quindi, parlando di “proprietà private”, può sottrarsi al dovere di vigilare affinché gli obiettivi del vecchio POC Darsena – speriamo riconfermato – non vengano disattesi. Come Italia Nostra seguiremo passo passo i progetti, nella speranza che finalmente si concretizzi, mediante recuperi, verde, architetture dei pregio e servizi, una parte importantissima della ri-qualificazione della nostra Darsena.