Nell’ultimo consiglio comunale si è discusso e approvato l’ordine del giorno “Ravenna e il diritto di cittadinanza”.
Di seguito l’intervento del sindaco Michele de Pascale che contiene alcune riflessioni rispetto allo Ius soli e lo Ius Scholae.
“Il nostro è un paese di emigranti concepito su un sistema di Ius sanguinis che ci consente di dare la cittadinanza per nascita – nel nostro caso dà anche il diritto di voto – a persone che hanno in famiglia un ascendente in possesso della cittadinanza italiana, ma che magari in Italia non ci sono mai state e non è detto che abbiano particolari legami di affetto o di appartenenza alla nostra comunità nazionale.
Il nostro paese dunque ha costruito tutte le sue normative per mantenere il legame con chi se ne va; altre grandi democrazie mondiali sono paesi di Ius soli, penso ad esempio gli Stati uniti che a differenza nostra sono un paese di immigrazione che concepisce il principio che quando nasci in quel paese sei cittadino di quel paese perché la comunità nazionale si rinnova e si riforma sulla base di chi desidera essere cittadino americano e desidera accedere e accogliere quei valori.
Il nostro paese oggi vive due nature, la piaga dell’emigrazione – a tutt’oggi purtroppo tanti italiani, in particolare la parte più qualificata, sono costretti ad andarsene per lavorare in altri paesi – e nel contempo rappresenta, ormai da molti decenni, una meta d’immigrazione.
Quindi il concetto è semplice e molto chiaro anche se può infastidire qualcuno, con lo Ius soli e lo Ius scholae stiamo parlando di bambini e bambine che conoscono solo l’Italia, perché di fatto non hanno memoria diretta di altri paesi del mondo, e che oggi non sono cittadini e cittadine italiane.
Di passi avanti in questi anni ne sono stati fatti, ad esempio c’è lo ius soli sportivo che ha permesso di superare il paradosso per il quale ragazzi e le ragazze che crescevano a Ravenna potevano allenarsi con il loro compagni, ma non potevano partecipare alle competizioni essendo trattati come stranieri dalle normative.
Oggi acquisiscono automaticamente la cittadinanza i nati in Italia al compimento del diciottesimo anno di età se hanno genitori provenienti da altri paesi, ma se sono figli di genitori apolidi vale lo ius soli.
Ancora quando parliamo di Ius scholae mi chiedo qual sia il senso della correlazione con l’assolvimento dell’obbligo scolastico, che è il medesimo tanto per gli italiani quanto per i cittadini stranieri.
È evidente a tutti come i criteri alla base di questo dibattito non seguano una logica lineare, ma siano colmi di contraddizioni e incoerenze.
Ciò di cui stiamo dibattendo invece è qualcosa che ha un senso profondo e rappresenta ciò che vogliamo dire a questi bambini e bambine.
Io mi sento di dir loro che sono cittadini e cittadine italiane, che è una vergogna che nel mio paese non lo siano, che sono certo che verrà il giorno in cui questa vergogna verrà corretta e che quando fra vent’anni racconteremo che c’è stato un tempo in cui un bambino che nasceva in Italia e che completava qui il ciclo di studi non era cittadino italiano, i nostri figli e i nostri nipoti non ci crederanno. È qualcosa di assurdo se ci pensiamo.
Siamo vittime di una fobia che mischia barconi, difesa dei confini, nascite e scuola e fa di tutto un unico argomento.
Io penso che il consiglio comunale di Ravenna abbia dato un contributo serio perché questa battaglia di civiltà sia vinta anche nel nostro paese”.