Buone rese qualitative per il grano tenero e duro nel Ravennate dopo l’avvio della trebbiatura. E’ quanto emerge da una prima analisi della Coldiretti in riferimento all’inizio della raccolta del frumento sull’intero territorio provinciale. Nonostante l’impatto dei cambiamenti climatici, con le piogge che hanno inzuppato i terreni facendo slittare le semine e poi con la perdurante siccità, il rapporto ettaro/quintale mostra una sostanziale tenuta rispetto all’anno precedente, mentre la qualità, con particolare riferimento al peso specifico, è elevata.
L’Emilia Romagna, con 203mila ettari (circa 58mila tra le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini) è la terza regione d’Italia per estensione delle coltivazioni cerealicole. All’interno del contesto cerealicolo romagnolo, la provincia di Ravenna si conferma il bacino più importante per estensione, con circa 33mila ettari, 13mila circa coltivati a frumento tenero, mentre per il duro ci attestiamo sui 9mila. Sulle stime relative alle quotazioni, che appaiono in rialzo, incide positivamente la crescente richiesta di prodotti 100% Made in Italy da parte dei consumatori.
Infatti secondo un’indagine Coldiretti/Ixè l’82% degli italiani con l’emergenza coronavirus sugli scaffali cerca prodotti, pasta e farine, certificate, italiane al fine ovviamente di sostenere l’economia ed il lavoro del territorio. Una tendenza confermata dal successo della campagna #mangiaitaliano promossa da Coldiretti e Filiera Italia che ha coinvolto industrie e catene della grande distribuzione. Una svolta patriottica favorita anche dall’obbligo di indicare in etichetta l’origine del grano per la pasta entrato in vigore il 13 febbraio 2018 sotto la spinta delle battaglie degli agricoltori della Coldiretti. Le industrie di trasformazione stanno quindi adeguando gli approvvigionamenti e le proprie linee di produzione anche attraverso accordi per aumentare le coltivazioni in Italia. In questo contesto un segnale importante viene dal moltiplicarsi di marchi di pasta che garantiscono l’origine nazionale al 100% del grano impiegato, impensabile fino a pochi anni: da La Molisana ad Agnesi, dalle romagnole Ghigi e Alce Nero a De Sortis, da Jolly Sgambaro a Granoro, da Rummo a Voiello, da FdAI – Firmato dagli agricoltori italiani fino a Barilla che proprio quest’anno ha annunciato di rinnovare la sua pasta classica con grani 100% italiani.
Ci sono quindi le condizioni per rispondere alle domanda di italianità dei consumatori ed investire sull’agricoltura nazionale che è in grado di offrire produzione di qualità realizzando rapporti di filiera virtuosi con accordi che valorizzino i primati del Made in Italy e assicurino la sostenibilità della produzione con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto “equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti. Un impegno importante per garantire la sovranità alimentare del Paese e ridurre la dipendenza dall’estero in un momento in cui l’emergenza coronavirus ha evidenziato tutte le criticità del commercio internazionale.
La ricerca di grano 100% Made in Italy si scontra però con anni di disattenzione e abbandono che nell’ultimo decennio hanno portato alla scomparsa di 1 campo su 5 dopo con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati con effetti dirompenti sull’economia, sull’occupazione e sull’ambiente.
Una situazione aggravata dalla concorrenza sleale delle importazioni dall’estero che nell’ultimo anno sfiorano i 7,5 miliardi di chili anche da aree del mondo che spesso non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale in vigore nel nostro Paese, come il Canada dove il grano duro per la pasta viene trattato con l’erbicida glifosato in preraccolta, secondo modalità vietate sul territorio italiano dove invece la maturazione avviene naturalmente grazie al sole.