Flash mob e dibattito questa mattina a Riccione per ribadire la necessità di smantellare le piattaforme petrolifere nell’Adriatico e per fare il punto sulle potenzialità dell’eolico, ancora non abbastanza sfruttate, in occasione della tappa in Emilia Romagna della Goletta Verde 2020. In particolare, Legambiente ribadisce il proprio appoggio al progetto di eolico in mare al largo di Rimini, per 330 MW di potenza.
In Italia, l’energia pulita cresce ancora troppo lentamente rispetto a quanto si potrebbe e si dovrebbe fare per rispettare gli impegni nella lotta ai cambiamenti climatici: di questo passo, gli obiettivi fissati al 2030 dal Piano energia e clima (Pniec) verrebbero raggiungi con 20 anni di ritardo.
Quest’anno la storica campagna estiva di Legambiente in difesa delle acque e delle coste italiane non viaggia, come sempre, coast to coast ma assume una formula inedita a causa delle restrizioni e del distanziamento fisico imposti dalla pandemia. Citizen science e territorialità sono le parole chiave per continuare a non abbassare la guardia sulla qualità delle acque e sugli abusi che minacciano le coste. Tra i grandi temi portati avanti dalla Goletta si inserisce naturalmente la questione climatica e la lotta alle fonti fossili che l’innalzamento delle temperature ci impone di sostituire subito con le tecnologie pulite.
Tra queste, sicuramente non rientra il Carbon Capture and Storage (CCS), la cattura e il sequestro del carbonio, tecnologia costosa e fallimentare di cui l’Eni intende realizzare a Ravenna il più grande hub al mondo, utilizzando le risorse comunitarie dell’Innovation Fund come attivatore di possibili ulteriori finanziamenti attraverso il Recovery Plan. Un progetto che rappresenta, in pratica, un ulteriore sussidio alle fonti fossili, distogliendo risorse pubbliche a progetti davvero innovativi.
La richiesta presentata, invece, dagli sviluppatori del progetto off-shore a largo di Rimini alle autorità competenti (richiesta per una concessione trentennale di uno specchio acqueo all’interno di un’area marina di 114 km² nel Mare Adriatico, nel tratto antistante i comuni di Rimini, Riccione, Misano Adriatico e Cattolica) è secondo Legambiente una proposta che può rappresentare un elemento importante per il settore energetico del territorio e nella riconversione del settore estrattivo, considerata la crisi del settore oil and gas e in vista dell’ormai necessario programma di decommissioning delle piattaforme estrattive inattive. La crisi climatica e le sue conseguenze impongono, infatti, di progettare il futuro del settore energetico dell’Alto Adriatico, riconvertendo aziende e lavoratori, e di dare finalmente il via al programma di dismissione delle piattaforme di idrocarburi in Italia ormai pronto dal 2018 dopo due anni di confronti tecnici tra gli stakeholder. Il piano contenuto nel programma prevede lo smantellamento e la messa in sicurezza ambientale nel breve periodo (2020-2025) di 22 relitti industriali, pericolosi per l’ambiente e la navigazione, e di altri 12 nel medio periodo. Le linee guida per l’individuazione delle piattaforme da mandare a dismissione sono state emanate e il procedimento è di fatto possibile.
“Oggi non esistono ragioni tecniche o economiche per rinviare ancora queste scelte e disegnare uno scenario di rilancio ambientale ed economico ambizioso per il nostro Paese – dichiara il presidente di Legambiente Stefano Ciafani -. Non è neanche un problema di risorse per gli investimenti perché lo sviluppo delle fonti rinnovabili consente di ridurre fortemente le importazioni di gas e carbone, mentre il prezzo degli investimenti nell’eolico, così come nel solare, scendono anno dopo anno. Tutto dipende dalla volontà politica del governo, dalla burocrazia e dalle preoccupazioni territoriali. Le risorse dell’Innovation Fund – ha proseguito il presidente di Legambiente – devono essere destinate a sostenere l’efficienza energetica e le rinnovabili per accelerare la transizione verso un’Europa libera da fonti fossili e con zero emissioni nette entro il 2040, per contribuire così a contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C in coerenza con l’Accordo di Parigi. Il denaro dei contribuenti europei deve servire per tradurre in realtà il Green Deal Europeo, non può essere sprecato finanziando progetti, come la cattura e il sequestro del carbonio, che guardano al passato e rendono più acuta l’emergenza climatica”.
“Diversi soggetti stanno valutando ipotesi di eolico off-shore nell’Alto Adriatico – aggiunge Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia-Romagna -. Occorre che la politica e il dibattito locale colgano questa opportunità per il clima, inserendola in un progetto territoriale per l’economia: da una parte il settore turistico romagnolo, da sempre connotato come innovativo, potrebbe proporsi come distretto CO2 free; dall’altra l’eolico potrebbe dare nuove prospettive a un settore dell’oil and gas in crisi, i cui addetti oggi sono ormai un terzo di quelli degli anni 90”.
I dati sull’eolico in Italia raccontano, purtroppo, che il nostro impegno è largamente insufficiente. Il Piano d’Azione Nazionale (PAN) individuava nel 2010 in attuazione della Direttiva 2009/28/CE un obiettivo di installazioni al 2020 pari a circa 12.680 MW di cui 12.000 MW on-shore e 680 MW off-shore. Siamo a due mila MW in meno sulla terra ferma e il target per l’off shore è totalmente mancato. La media di installazioni di impianti eolici all’anno, dal 2015 a oggi, è di appena 390 MW. Nel 2019 le installazioni sono leggermente cresciute con 400 nuovi MW (meno 118 MW rispetto al 2018), arrivando a 10,7 GW di potenza complessiva, numeri assolutamente inadeguati per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 dal Piano Energia e Clima, e che presto dovranno essere rivisti con l’innalzamento dei target previsti a livello europeo. L’Italia dovrà infatti impegnarsi a installare almeno 1 GW di potenza eolica l’anno con impianti a terra e in mare, e in parallelo realizzare investimenti diffusi per ridurre drasticamente consumi energetici e emissioni di CO2 in tutti i settori produttivi.
Uno studio di Anev stima il potenziale dell’eolico off shore italiano in almeno 950 MW, di cui almeno 650 MW tra le coste dell’Abruzzo e della Puglia e altri 300 MW tra Sardegna e Sicilia, senza considerare l’eolico galleggiante che consentirebbe di portare il potenziale a ben altri numeri. Complessivamente, le tecnologie pulite hanno prodotto nel 2019 circa 114 TWh di energia elettrica e circa 10.661 ktep (dato al 2018) di energia termica, arrivando a coprire il 36% dei consumi elettrici e 19% dei consumi dei consumi complessivi.
A dimostrazione che la strada dell’eolico è ampiamente percorribile, basta guardare quello che succede nel mondo dove questa tecnologia continua a crescere a tassi rilevanti. La Cina è il Paese con i maggiori investimenti nel settore, con 25,8 GW realizzati e una potenza complessiva di oltre 210 GW, mentre in Europa i paesi con più installazioni sono stati nel 2019 Germania e Francia, rispettivamente con 1.979 MW e 1.360 MW, ben lontani dai 400 MW dell’Italia. Secondo il report di WindEurope, il 2019 è stato un anno record per l’eolico offshore, con l’Europa che ha installato 3,6 GW di nuova capacità eolica offshore, per un totale di 22 GW di eolico in mare. La Commissione Europea afferma che l’Europa ha bisogno di una capacità compresa tra i 230 e i 450 GW di vento offshore entro il 2050 per decarbonizzare il sistema energetico e raggiungere gli obiettivi del Green Deal. Ciò significa che l’Europa dovrà installare 7 GW di nuovo eolico offshore all’anno entro il 2030 e 18 GW all’anno entro il 2050.