“Sono di ieri le immagini della Liguria e della vicina Francia sott’acqua, ieri sera sono arrivate le immagini dell’alta valle del Reno (provincia di Bologna) interessata da intense piogge con cumulate di oltre 120 mm con strade allagate e interrotte per frane; di questa mattina le notizie dei primi allagamenti in pianura.
In questa situazione di conclamata crisi climatica si sentono ancora slogan che dicono “noi alle piogge eccezionali non ci abbiamo mai creduto”, oppure chi pensa che soluzione finale sia la pulizia dei fiumi commentando la visione di legname (tronchi e ramaglie) trasportati dai fiumi come la prova di quanto dicono, ignorando che su una asta fluviale come il Reno o altri fiumi della nostra regione, esiste un reticolo idrografico di migliaia di km che si estende con i suoi fossi, rii, e torrenti in tutto l’appennino. Con le piogge intense, che questa crisi climatica ci ha “regalato”, il ruscellamento dell’acqua provoca oltre che erosione e quindi un elevato trasporto solido di terra, anche la raccolta e il trasporto verso i torrenti di ramaglie e legname delle alberature morte.
Questo susseguirsi di piene ha provocato un progressivo dilavamento delle nostre aste fluviali/torrentizie, una “pulizia” naturale che ha progressivamente eliminato ostacoli naturali che in regime di piene ordinarie trattenevano gran parte dei detriti legnosi. All’intervento naturale operato dalle piene (non ordinarie), si è aggiunta l’azione dell’uomo; sotto la spinta emotiva dell’opinione pubblica, abbiamo pulito i fiumi e adesso incominciano i problemi di erosione compreso un maggiore trasporto solido. I nostri corsi d’acqua romagnoli non sono fiumi nella eccezione del termine ma neppure canali nell’eccezione del termine. Sono il frutto di secoli di adattamenti non più sufficienti con la crisi climatica in atto. L’estrema pulizia dei nostri fiumi può comportare, in determinati tratti fluviali, una diminuzione dei tempi di corrivazione ed un aumento della portata, rimandando e concentrando una tracimazione più a valle; la salvezza di un paese a volte è la condanna di un altro. La semplificazione della rete idraulica con la progressiva costrizione degli alvei entro limiti prefissati, fa sì che i danni idraulici si vadano sempre più enfatizzando.
In concreto la vegetazione, nei nostri attuali corsi d’acqua, non va eliminata a prescindere ma va gestita in modalità diversa a seconda delle condizioni del tratto fluviale in cui ci troviamo e della sua storia costruttiva.
Oramai è chiaro a tutti che i ponti sono il fulcro della questione, non ci fossero avremmo risolto alcuni dei nostri problemi, sicuramente, in futuro, se non riusciremo a spostare gli argini occorrerà assolutamente rifare i ponti a campata unica. Cosa ci aspetta per il futuro? Dove non si riuscirà a ricostruire o spostare un argine questo dovrà essere rinforzato per renderlo adeguato alla sua funzione con le nuove portate fluviali.
Ricordiamoci che nel passato i problemi non erano diversi da oggi, la memoria dell’uomo è sempre molto corta, nella piena del Po del 1951, il materiale legnoso, flottante in grande quantità, formava ammassi di notevole dimensione. Sono noti ammassi che raggiunsero dimensioni tali da essere utilizzati, nel Polesine, quale natante di salvataggio per decine di persone. In conclusione, la gestione di un fiume è un qualcosa di estremamente complicato che non può essere semplificata con slogan e soluzioni semplicistiche”. Lo ha affermato Paride Antolini, Presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia – Romagna.