Fiona May a Cervia in occasione della tappa romagnola del Giro d’Italia. Una serata dedicata alle donne e allo sport quella che ha visto protagonista l’atleta italiana, all’interno della splendida location dei Magazzini del Sale. E proprio a Cervia la campionessa mondiale non ha escluso di tornare in futuro, dopo anni di teatro e televisione, al mondo dello sport e magari dell’Atletica Leggera.
Quando nel 1994 ha iniziato a gareggiare con la bandiera Italiana ha sconvolto lo sport italiano, ha fatto palare di se più di qualunque altro atleta fin da subito? Perché secondo lei?
“Può essere per la mia simpatia! A parte le battute, sinceramente non saprei il perché. Può darsi perché era una cosa nuova, o perché ero sposata con un italiano. O forse perché appena diventata italiana, sono riuscita a fare subito dei risultati importanti. Ma non saprei dire il vero motivo. Può essere anche a causa del fatto che portai un cambiamento, in quanto fui la prima a portare nuovi risultati dopo Sara Simeoni e Pietro Mennea. O semplicemente perché nessuno era al tempo abituato a vedere una ragazza di colore sotto la bandiera italiana”.
Per le donne il mondo dello sport è più difficile che per gli uomini, questo perchè spesso lo sport femminile viene messo in secondo piano, lei che difficoltà ha trovato?
“Le difficoltà che ho trovato anzitutto riguardavano il fatto che un’atleta femmina veniva valutata più per il suo aspetto che per i risultati: se non eri bella, con una bella immagine, facevi più fatica a trovare gli sponsor, partivi svantaggiata; credimi, se un’atleta era una bella ragazza anche se non faceva risultato la domenica, poi le televisioni parlavano di lei il lunedì.
Ma di questo a me non è mai fregato nulla. Per quanto mi riguarda, ho preso tante attenzioni perché ho fatto i risultati. Tutt’oggi, anche se stiamo migliorando moltissimo dal punto di vista della qualità e dei risultati, le ragazze dell’atletica partono un po’ svantaggiate se non sono anche belle fisicamente. Ci sono sempre questi elementi di svantaggio. Non penso che avrei avuto problemi sotto questo punto di vista, ma a me non importava nulla. Io sono stata fortunata perché ero veloce e forte già da giovane, già da piccola e quindi mi hanno considerata da subito un’atleta con possibilità di fare dei risultati importanti”.
Lei è attualmente la detentrice del record Italiano di salto in lungo, sua figlia sta seguendo i suoi passi? Essendo Larissa detentrice del Record Italiano under 20… È felice di questo? O avrebbe preferito per lei un’altra strada?
“Non mi frega molto di essere ancora la detentrice del salto in lungo perché sono fermamente convinta che i record siano lì per essere battuti, è un traguardo di livello mondiale.
Larissa detentrice del record italiano U20, sicuramente mi fa felice, anche perché così resta tutto in famiglia! Anche perché il mio primo record a 23 anni non era italiana in quanto ero ancora di nazionalità inglese.
Le ho fatto capire che sarà molto difficile perché non è solo questione di numeri ma ci vuole esperienza nelle gare e nel saltare per raggiungere questi risultati. Io spero lei riesca, inutile tenere tutti questi record e se dovesse essere Larissa, sarà Larissa, dipende solo da lei. Ma a me basta che lei sia felice. Io oggi non guardo a questi record come un mio bottino, ma da mamma di Larissa, facendo il tifo per lei e sono molto ansiosa quando lei gareggia perché so cosa vuoldire gareggiare ad alto livello. Soprattutto all’inizio ero un po’ preoccupata per lei perché veniva da esperienza sportive diverse, tipo ginnastica artistica. Però è nato per lei questo amore per l’atletica, giusto e pulito senza interferenze di nessuno, quindi io sono contenta. Lei usa Fiona May, sua mamma per battere i risultati. Io ho la mia collezione di medaglie e spero che Larissa avrà la sua collezione. Sono la sua prima tifosa e sono la mamma quindi spero il massimo della felicità per lei”.
Quando è arrivata in Italia dalla Gran Bretagna, grazie al matrimonio con l’atleta Gianni Iapichino, come è stata accolta, che difficoltà ha vissuto e se le ha vissute?
“A dire il vero sono venuta in Italia all’inizio solo per fare una vacanza. Era il 1992, io mi ero appena laureata a Leeds ed ero venuta qua a fare le vacanze. Nel corso di quell’anno litigai con la Federazione Inglese di Atletica, perché volevo, come gli altri atleti che avevano già fatto risultati importanti come i miei, una borsa di studio che mi permettesse di allenarmi ad altri alti livelli, cambiando allenatore ecc. Ma loro mi diedero una somma che non mi permetteva di mantenermi aumentando la qualità dell’allenamento.
Così tornai in Italia per allenarmi come ritenevo meglio e solo l’anno successivo mi sposai. La prima difficoltà fu ovviamente la lingua e anche la cultura che è diversa da quella inglese. Al tempo in più non c’era Google Translate o il cellulare, ecc. Però allo stesso tempo, ci sono state delle situazioni di semplicità perché i primi 5/6 anni stavo quasi tutto l’anno a Formia perché mi allenavo lì e il mio allenatore era di Formia, Giovanni Tucciarone. Quindi la mia vita era abbastanza semplice e chiusa e mi ha permesso di non trovare troppe difficoltà”.
Oggi secondo uno studio dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza di qualche anno fa il 51% dei giovani non pratica nessuno sport per pigrizia e mancanza di voglia, e solo per il 20% dei ragazzi lo sport è una vera e propria passione. Negli ultimi 10 anni sono mancati i miti a livello nazionale, personaggi che come lei hanno trascinato tanti giovani a provarci, seguendo le orme dei propri miti. Imparando la buona disciplina che lo sport da hai ragazzi. Quanto questa mancanza ha fatto male allo sport in generale? Cosa si dovrebbe fare per ridare allo sport agonistico il posto che merita, anche come formazione per i giovani? Cosa è cambiato?
“È vero, questo non mi sorprende. Negli ultimi 10 anni sento sempre di questo costante aumento di ragazzi che non fanno sport. Ci sono vari fattori: la cultura, il come si sta crescendo. In tanti mi dicevano che li avevo “trascinati” a fare atletica, e ora magari manca tutto ciò.
Però il vero punto dolente vedo, da madre di due ragazze, che la scuola non dà la possibilità per loro di fare sport se non per 2/3 ore alla settimana. Soprattutto dalle medie in poi. I ragazzi sono portati a scegliere giustamente di studiare piuttosto che fare sport. Ma perché si arriva a dover scegliere? Perché non si ha il tempo a causa del troppo studio. Si, ci sono le scuole che danno queste possibilità, però penso che quando una ragazza vuole andare ad un liceo classico o scientifico tradizionale, i professori dovrebbero dare un po’ di tregua. Alcuni professori lo fanno ma pochi.
È fondamentale che i ragazzi studino, ma anche che facciano sport: non riuscire a dare il 100% ma dedicarsi al 90% penso sia abbastanza. Questa è una grossa situazione da combattere. Il CONI e il governo stanno facendo tanto ma devono fare ancora di più per dare ai ragazzi questo cambio di stile di vita.
Dopo questa pandemia di Covid-19 e questa crisi, lo sport funziona e c’ha un’importanza maggiore, quindi spero che CONI, governo e tutti gli addetti ai lavori nello sport si adoperino al massimo per far capire quanto è importante fare sport fare attività. Anche camminare, anche andare in bicicletta. E che questi momenti possano spingere ad aumentare questi numeri”.