E’ stato presentato oggi il libro-catalogo di Ravenna Festival, “E fu sera e fu mattina…” Ancora una volta il libro-catalogo si lega indissolubilmente ai temi che attraversano il cartellone, e non c’è dubbio che il nucleo pulsante di questa xxxv edizione affondi le radici nella drammatica attualità del cambiamento climatico e delle sue conseguenze. Un anno fa la nostra regione, dalle fragili valli appenniniche agli sconfinati orizzonti della pianura, ha subito la forza distruttiva delle acque: fiumi, canali, torrenti hanno riversato nelle strade e nelle case fango e disperazione, e l’alluvione non ha risparmiato città e paesi.
Ancora una occasione, tragica, per misurare la caparbia tenacia e la solidarietà delle genti di questa terra. Allora, un’ampia sezione del libro è dedicata, appunto un anno dopo, a quei fatti. Alla fatica, allo sbigottimento ma anche alla reazione di quei giorni. Alla necessaria consapevolezza del mutamento climatico in atto e dei pericoli ad esso legati, quindi dei comportamenti che le comunità, tutte, dovrebbero adottare. Alla forza dell’acqua e alla convivenza con essa, vitale e preziosa quanto difficile, che da sempre caratterizza il nostro territorio.
A sancire iconicamente il legame tra la ‘brochure’ con il programma del festival e il più voluminoso libro-catalogo sono le immagini, a partire dalle copertine di entrambe le pubblicazioni, di quella che si sta in questi anni affermando tra le più importanti e apprezzate fotografe italiane:
Silvia Camporesi.
Forlivese e profondamente compenetrata nel territorio romagnolo, la sua personalissima visione della catastrofe è quella che più di ogni altra si è impressa – veicolata dai media – nella memoria degli italiani. A lei si deve soprattutto la ‘consacrazione’ dei cosiddetti ‘angeli del fango’, ovvero delle migliaia di ragazze e ragazzi che per giorni e giorni, instancabili, hanno spalato senza sosta per liberare abitazioni e capannoni dall’onnipresente ammasso di acqua e terra, donando spesso un sorriso o una parola di conforto alla popolazione disperata. Così la sua serie “Sommersi e salvati” rappresenta una preziosa (per quanto drammatica) ricognizione dal valore artistico e documentale di questo evento catastrofico che ha colpito buona parte della Romagna. “Ogni giorno per un mese – dice la Campresi – ho raccontato il corso delle cose, mostrando i volti dei soccorritori, lo stato dei luoghi all’arrivo degli aiuti e le strade piene di ciò che le case alluvionate contenevano”.
Apre il volume un’autorità indiscussa – e anche ampiamente nota – in fatto di clima: Luca Mercalli, presidente della Società metereologica italiana, che, voce purtroppo spesso inascoltata, non si stanca di indicare soluzioni che passano attraverso un ripensamento globale dei comportamenti e della gestione del territorio (“Alluvione in Romagna, problemi vecchi e nuovi”). Con un approccio scientifico che si rispecchia nello scritto dello storico Tito Menzani, che affronta la storia del territorio ravennate attraverso quella delle bonifiche e quindi del “governo delle acque”, dall’arginatura dei corsi d’acqua al prosciugamento delle paludi, interventi che da secoli sono l’indispensabile premessa per ogni attività economica e sociale (“Acqua da tutte le parti. Le boifiche nel territorio ravennate da Augusto a Napoleone”).
Anche Osiride Guerrini si sofferma sullo stretto rapporto della città con le acque, dedicando “Ravenna città d’acque” al compianto Pietro Barberini, autore di tante ricerche sull’argomento. Mentre Sauro Turroni (“Tra adattamento e mitigazione. Il costo dell’emergenza climatica”) riporta lo sguardo dal passato al domani, sposta l’attenzione dalla dimensione storica del fenomeno alla progettazione di interventi che possano contenere e gestire gli inevitabili rischi, per porvi rimedio, per controllare, pianificare e organizzare scenari futuri, secondo una visione che non può limitarsi ai confini locali ma deve guardare all’Europa.
Certo, uno sguardo diverso, poetico e dolente, è quello dello scrittore Maurizio Maggiani: parole scritte nella sua casa sulle prime colline faentine, a Borgo Tuliero, un anno dopo: «E dunque stiamo così, che vorremmo aver capito e imparato, ma ancora non sappiamo se questo basterà, e sappiamo che non sarà un governo e nemmeno uno scienziato a dircelo, che non bastano tutti i governi e tutti gli scienziati di questo Paese a rispondere per noi».
È con gli stessi occhi, con quello sguardo che sa andare oltre la superficie della realtà, sa coglierne le risonanze più profonde e segrete, che i tanti fotografi attivi da queste parti (terra prolifica questa per questa “moderna” forma d’arte) hanno documentato i giorni più difficili, la devastazione dei luoghi, la fatica attonita delle persone, la generosità dei soccorritori. Tra i tanti si è scelto il punto di vista di Andrea Bernabini, alcune delle immagini dal suo “Il segno dell’acqua”. Perché, scrive Serena Simoni al proposito, «esiste una bellezza inspiegabile negli scatti di Bernabini, che catturano le orme visive dell’alluvione, sia che si tratti di terre trasformate in deserti di fango o di strisce chilometriche di rifiuti post-alluvione […] osservando gli scatti che scandiscono geometricamente quello che era un campo da gioco in una tonalità di Siena preponderante, i riflessi sull’acqua che trasformano tutto in una Venezia senza controllo, si rimane interdetti per la grazia diffusa fra forme e colori».
Sempre a ricordare quei giorni, come trasformati nei meccanismi della memoria in epopea, ecco la “colonna sonora” che tutto il paese ci ha sentiti intonare: “Romagna mia”. Federico Savini ripercorre la storia e l’immaginario legato “alla canzone che Secondo Casadei ha regalato ai suoi conterranei e che sembra eterna, come i sentimenti, se fossero come li vorremmo”.
Mentre a completare la sezione legata al clima e all’alluvione, quindi alle nostre terre ma non solo, Fabio Fiori spazia nell’analisi del nostro rapporto con quell’indispensabile soffio vitale che è il vento, nella cultura occidentale e nella mitologia: “Vento arcano”.
Ma alla drammatica emergenza climatica rimanda anche la grande trilogia “Qatsi” di Godfrey Reggio e Philip Glass, e soprattutto alle enormi responsabilità dell’uomo, che ha segnato la nostra epoca poi definita ‘Antropocene’. Su questo capolavoro della postmodernità, così influente nel ridefinire e rivoluzionare il rapporto tra musica e immagine, riflettono lo stesso regista Reggio in una illuminante intervista di Massimiliano Geraci e lo studioso gallese Tristian Evans, già autore di una importante monografia sulla trilogia.
Poi seguendo il ricco sommario, si ritorna di nuovo a Ravenna, questa volta declinata in una dimensione decisamente europea: un illustre anglista come Diego Saglia, docente all’Università di Parma, racconta del rapporto di Lord Byron con Ravenna, con il suo clima, con le paludi e la campagna che la circondava, e – soprattutto – con la natura selvaggia delle sue spiagge e pinete che il grande poeta e scrittore amava percorrere a cavallo. E lo fa attingendo alle sue lettere, ai suoi diari, da cui si capisce come i mutamenti del tempo influiscano sul suo umore. È nelle pieghe di quelle pagine che si scopre la descrizione di un temporale che lascia senza fiato. Uno scritto, quello di Saglia che vuol celebrare il secondo centenario della morte del poeta, ricordando come il suo legame con Ravenna sia suggellato dal neonato Museo Byron che trova posto nelle sale di Palazzo Guiccioli. Ovvero del palazzo in cui il poeta tanto tempo trascorse legato d’amore a Teresa Gamba Guiccioli: sono indirizzate a lei le lettere scelte e commentate da Claudia Giuliani, anche lei membro, come Saglia, del Comitato scientifico dello stesso Museo.
La dimensione internazionale non manca neppure ai protagonisti dello scritto con lo storico critico musicale della Kronen Zeitung Karlheinz Roschitz: Riccardo Muti e l’orchestra con cui collabora da 53 anni, i Wiener Philharmoniker, “Un’amicizia per la vita”. Uno scritto che ripercorre appunto la storia di una amicizia cominciata nel 1971, quando per la prima volta il direttore d’orchestra salì sul podio di quella che forse è la più prestigiosa orchestra del mondo al Festival di Salisburgo, su invito niente meno che di Herbert von Karajan, e ancora oggi vivissima – del resto se così non fosse i rigorosissimi viennesi non avrebbero scelto proprio Muti, lo scorso 7 maggio, per festeggiare il bicentenario della Nona sinfonia di Beethoven.
Delle “mirabolanti avventure di Kalia e Dimna”, delle fantastiche storie raccolte nel Panchatantra che dall’oriente sono arrivate a nutrire la nostra letteratura e che trovano oggi nuova forma e linfa nel Grande Teatro nel Grande Teatro del Lido Adriano ci dice con grande competenza Tahar Lamri, che della messinscena è il drammaturgo.
Il critico musicale Pierfrancesco Pacoda poi fa luce sulla sorprendente fortuna delle musiche scritte da Piero Piccioni per il cinema in molte delle produzioni musicali più di tendenza degli ultimi decenni, attraverso una nutrita serie di ‘campionamenti’.
La pubblicazione del festival termina con due importanti testimonianze di opere pressoché sconosciute ai più. La prima di queste è la memoria di una ‘architettura mancata’: quella pensata – e sorprendentemente mai realizzata – da uno dei più importanti architetti italiani del secolo passato, Giovanni Michelucci, per Ravenna, per un auditorium che avrebbe dovuto erigersi in Largo Firenze. Ce ne parla, anche attraverso una documentazione inedita, uno storico dell’architettura come Alberto Giorgi Cassani, da sempre molto attento nei confronti del nostro territorio. La seconda è quella di una grande opera solo parzialmente visibile, perché esposta in un edificio scolastico, di cui è autore il mosaicista Antonio Rocchi. In essa, come racconta Felice Nittolo, vengono accostate le immagini della Ravenna antica a quella moderna caratterizzata dalle architetture industriali (e che oggi sono già ‘archeologia’), tra cui svettano imponenti le torri Hamon, recentemente demolite.
Il libro è in vendita, al prezzo di 30 euro, alla Biglietteria del Teatro Alighieri, nei luoghi di spettacolo, alla Libreria Dante di Longo e nei bookshop presso: Basilica Sant’Apollinare in Classe, Mausoleo di Teodorico, Museo Nazionale, Casa Dante, Classis Museo del Territorio e della città, Domus Tappeti di Pietra.