Ogni anno i ‘numeri’ delle finte sagre aumentano. Secondo Fipe Confcommercio (la Federazione nazionale che associa il più alto numero di esercizi pubblici), a livello nazionale i dati sono impressionanti, che corrispondono ad una perdita di imposte dirette e contributi pari a 710 milioni di euro.
“In provincia di Ravenna, il fatturato abusivo nel mercato della ristorazione è di oltre 37 milioni di euro” denuncia Confcommercio. “Non siamo i primi in regione, ma ci posizionano al quinto posto: la primo c’è Bologna con 81 milioni di euro, al secondo posto Modena con 57 milioni, al terzo posto Rimini con 42 milioni, al quarto porto Reggio Emilia con 40 milioni, poi Ravenna. In fondo alla classifica Parma, Forlì, Cesena, Ferrara e Piacenza.
Nella sola provincia di Ravenna la perdita stimata di imposte dirette e contributi è di circa 6 milioni di euro, mentre in totale questo settore vale in Emilia-Romagna circa 400 milioni di euro, 136 milioni di euro di valore aggiunto e la perdita di gettito di 54 milioni di euro.
Agosto, settembre e ottobre sono i mesi dove si concentrano il maggior numero di sagre ‘autentiche’, ma soprattutto di finte sagre.
Il proliferare incontrollato di queste attività e in particolare delle finte sagre, che non promuovono prodotti tipici e non hanno legami con il territorio, è un grave danno per l’erario e per tutti quei bar e ristoranti che operano nel pieno rispetto della legalità dando i propri servizi ogni giorno e non solo quando è più conveniente.
Tra l’altro, non si sa se queste ‘finte sagre’ pagano la Tassa sui rifiuti, oppure l’imposta sulla pubblicità: i dati purtroppo non vengono forniti ed è impossibile sapere se vengono applicate le tariffe che normalmente pagano i ristoranti per la TARI (oltre 20 euro al mq) oppure se la pagano ridotta o addirittura non la pagano.
Abbiamo più volte chiesto di conoscere questi dati, ma fino ad ora non ci sono stati forniti, il dubbio a questo punto è che con ogni probabilità queste ‘finte sagre’ siano esenti dal pagamento delle tariffe. Restiamo comunque in attesa di saperne di più soprattutto che qualcuno abbia il coraggio di dire il perché di tale scelta.
Sono oramai diversi anni che sollecitiamo le Amministrazioni comunali della provincia, al fine di contrastare questa illegalità diffusa, a disciplinare con regole certe e quindi con un regolamento un comparto economico attualmente senza regole, così come previsto dalla legge regionale, approvata nel 2013 che prevede la definizione di un regolamento e di calendario annuale delle sagre, in maniera che restino solo quelle ‘vere’ e senza fini di lucro.
Purtroppo, a parte il Comune di Faenza, negli altri Comuni nulla è stato fatto. Esiste però una bozza di regolamento sulle sagre che è stata inviata a tutte le Amministrazioni.
Se non si contrasta questa illegalità diffusa (ribadiamo che questo comparto non ha regole), in futuro il fenomeno di questa somministrazione parallela che poco o nulla ha a che fare con le sagre propriamente dette, cioè quegli eventi enogastronomici con una riconosciuta valenza di tradizione, non può che allargarsi. E i segnali sono già evidenti: assistiamo già oggi ad altre piaghe dell’abusivismo che sono in forte espansione e che stanno raggiungendo livelli preoccupanti come, ad esempio, i ristoranti in falsi agriturismi, i finti ‘home restaurant’, bar-ristoranti in circoli culturali e sportivi-ricreativi.
E proprio sui bar dei circoli privati è notizia di qualche settimana fa, l’ordinanza della Cassazione che riconosce il principio ‘stesso mercato stesse regole’. Una regola semplice, banale nella sua elementare comprensione, che tuttavia non viene applicata.
Fino ad oggi esistevano due piani, quello di chi fa ristorazione rispettando tutte le normative fiscali e quello di chi, come alcuni circoli culturali, sociali e ricreativi che agiscono in condizioni di “extraterritorialità”, sono esentati dalle leggi applicate per tutti gli altri operatori. Questa ordinanza chiarisce che le attività di somministrazione dietro pagamento di corrispettivi specifici, anche se rivolte esclusivamente ai soci, nulla hanno a che vedere con i fini istituzionali perseguiti da questi enti.
Pertanto la gran parte dei circoli culturali, sociali e ricreativi non possono beneficiare dei vantaggi fiscali”.