Probabilmente nessuno di noi, da quel 21 febbraio 2020 che ha segnato l’inizio dell’emergenza epidemiologica COVID-19 dai risvolti ancora incerti, ma che ha minato le nostre più solide certezze, avrebbe immaginato una situazione così drammatica dal punto di vista sanitario con migliaia di morti e decine di migliaia di contagiati.
Un’emergenza che si è estesa in tutto il mondo, richiudendo in casa oltre la metà della popolazione mondiale.
Un’emergenza che ha travalicato i confini, che ci ha colto di sorpresa, che ci ha reso indifesi davanti ad un nemico sconosciuto, brutale, insidioso e pericoloso che non guarda in faccia nessuno.
A distanza di due mesi, e dopo 40 giorni di lockdown, l’emergenza è ancora qui tra noi e con noi, lentamente ci mostra dati più incoraggianti, ma ancora distanti da quel ritorno alla normalità che tutti auspichiamo e che, come un grande giorno di festa, attendiamo.
L’abbiamo detto fin dall’inizio che la nostra prima preoccupazione era ed è l’emergenza sanitaria, osservando scrupolosamente le indicazioni degli esperti epidemiologi, mantenendo le distanze, evitando gli assembramenti, mettendo in atto tutte le misure e le precauzioni per evitare ulteriori contagi, dando così respiro alle strutture sanitarie messe sotto pressione da un nemico invisibile.
Ai medici, agli infermieri, a tutto il personale sanitario, alla Protezione Civile, alle Forze dell’Ordine, a tutti coloro che in queste ultime settimane si sono adoperate con passione e abnegazione a salvare vite va il nostro più sincero ringraziamento.
Questa emergenza sanitaria ha determinato provvedimenti restrittivi dagli effetti negativi, ha creato molteplici problematiche, e tante altre ce ne saranno nei prossimi mesi, generando un fermo di molte attività produttive, in altre ha determinato una parziale continuità dell’attività lavorativa (reinventandosi), in altre ancora (poche per la verità) una sostanziale normalità, quelle principalmente legate ai beni di prima necessità perché comunque un Paese deve andare avanti.
Nei nostri settori di riferimento, commercio, turismo, servizi e piccole imprese, il calo del fatturato è stato drammatico, se non azzerato, come per tutto il settore turistico, per i pubblici esercizi, e in parte per il commercio al dettaglio, a seconda delle merceologie. Di certo, nessuno è rimasto esente dalla nuova situazione e tutti, chi più chi meno, hanno dovuto fare i conti con nuovi comportanti e provvedimenti restrittivi.
I provvedimenti ‘a rate’ messi in campo dal Governo, attraverso vari Dpcm, pur in una situazione di emergenza, stentano a far sentire i propri benefici, e la preoccupazione di molte aziende che si trovano ad affrontare una situazione drammatica, è di non toccare con mano un sostegno che serve ora e non domani.
Il fatturato perso in marzo e aprile è perso per sempre, non verrà recuperato domani, e poco aiuta alle aziende aver sospeso e posticipato adempimenti fiscali e versamenti di contributi e tasse nei prossimi mesi, o anche alla fine dell’anno, nel migliore dei casi.
Alle aziende serve liquidità, ora, non domani o dopodomani.
E serve liquidità per la ripartenza, perché la fase 2 dell’emergenza, quella fase intermedia che ci accompagnerà (si spera) alla normalità, fra qualche settimana ci sarà, e le aziende devono essere messe in condizione di riaprire con un nuovo spirito, lo spirito dell’imprenditorialità.
Nessuno recupererà ciò che ha perso in questi mesi di lockdown, così come non è immaginabile che l’attività riprenda pienamente, finito il lockdown, almeno per qualche altro mese.
Alle imprese serve liquidità, servono finanziamenti a fondo perduto (e non finanziamenti per pagare le tasse, che non sono state eliminate); non servono sospensioni, riduzioni o posticipi di tributi, imposte e tasse.
Sulle tassazioni locali, come ad esempio Tari, Tosap, imposte di pubblicità, canoni vari, ecc.., per citare le principali, è necessario azzerarle per il periodo dell’emergenza e devono rimanere bloccate per decreto per un certo numero di anni, così come deve essere contemplato anche l’azzeramento delle tariffazioni delle utenze ed anche i costi fissi che sono notevoli per l’impresa.
Anche le banche devono fare la loro parte in una situazione in cui tutti i principali attori della ripartenza sono chiamati a dare un contributo concreto, agevolando le imprese e riducendo al massimo la burocrazia.
Riprendere pienamente l’attività non sarà facile, ne siamo consapevoli, ma il nostro sistema imprenditoriale è forte, consapevole della situazione ma anche determinato a ripartire come dimostrato in altre occasioni.
Rialzarsi in fretta è ciò che chiediamo, dandoci la possibilità di poterlo fare con gli strumenti idonei a ripartire per affrontare un mondo nuovo, carico di incertezze certamente ma anche di nuove possibilità.
Fra le mille difficoltà che le imprese si troveranno ad affrontare nella ripartenza, il settore turismo dovrà fare leva ancor più sui cardini che hanno consentito di distinguersi nel panorama mondiale, con tutta la sua carica di ospitalità e accoglienza, vere e proprie peculiarità del nostro territorio. Gli imprenditori turistici sanno ospitare e sanno accogliere: a loro deve essere data l’opportunità di offrire un prodotto eccellente, sostenendo un comparto che, probabilmente più di ogni altro, è stato colpito dall’emergenza epidemiologica. E in questo quadro il bonus vacanza può essere una prima risposta, anche se pur parziale, per risollevare un anno turistico, purtroppo compromesso.
Non da meno le attività commerciali e dei servizi, che con ogni probabilità, riprenderanno non tutte allo stesso tempo e avranno dunque la necessità di essere supportate per un tempo più lungo, in quanto secondo le stime legate ai consumi dovrebbero subire un rallentamento attorno al 20% entro il 2020 e secondo il FMI il calo del Pil raggiungerà il 9,1% nell’anno in corso.
Per tutto il settore imprenditoriale questa emergenza epidemiologica si tradurrà anche in una revisione dei modelli organizzativi e delle priorità, come pure per il settore della P.A. potrebbe tradursi in una nuova stagione di minor burocrazia, più telematica e soprattutto più vicina alle esigenze delle imprese.
Certamente occorre approfondire il modello organizzativo del commercio online; questa modalità di vendita si affiancherà sempre più alla presenza fisica dei negozi di vicinato. E’ una modalità di proporsi da parte del commercio tradizionale che va percorsa e quindi il Governo, la Regione e i Comuni debbono sostenere le imprese nello sviluppo a basso costo di piattaforme individuali e non, proprio per promuovere ancor di più questo tipo di proposta commerciale.
Oggi i nostri imprenditori sono pronti a riaprire rispettando al massimo e applicando tutte le prescrizioni e cautele per la tutela della salute dei dipendenti e dei clienti.
In tutto questo, Confcommercio provincia di Ravenna attraverso le sue sedi territoriali di Cervia, Faenza, Lugo e Ravenna, è portavoce delle istanze delle imprese associate, dei suoi imprenditori verso le istituzioni.
Confcommercio è e vuole rimane un punto di riferimento per le migliaia di imprenditori che ogni anno rinnovano la loro fiducia verso un’organizzazione che si preoccupa per il futuro, ma che è forte e non mancherà mai di sostenere tutti gli associati, soprattutto in questo momento delicato.
Per questo chiediamo anche a chi può, di pagare fornitori, dipendenti, servizi. Chi non può deve usufruire degli aiuti, ma chi può deve essere responsabile perché anche così si può contribuire a far ripartire l’economia e soprattutto si può dare una mano a chi è in difficoltà.
Ognuno deve dare il proprio contributo, così come Confcommercio farà la sua parte sostenendo, aiutando, incoraggiando chi, fino ad ora, ha rappresentato il cuore dell’economia del territorio.