Una nuova edizione del concerto-spettacolo diretto da Armando Punzo, intitolato Il figlio della tempesta. Musiche, parole e immagini dalla Fortezza e dedicato alla Compagnia di detenuti-attori fondata dal regista napoletano nel 1988 all’interno del carcere di Volterra, andrà in scena sabato 23 marzo alle 21:00 al Teatro Rasi. Il Leone d’Oro alla carriera della Biennale Teatro del 2023 compie un viaggio in musica, parole e immagini affidandosi alle note di Andrea Salvadori, che creano mondi sonori e visivi dal segno fortemente immaginifico. Sul palco l’indissolubile rapporto tra parole e suono, che si crea ogni volta che uno dei più eclettici compositori per la scena italiana e uno dei registi più visionari lavorano insieme.
Uno spettacolo di e con Andrea Salvadori e Armando Punzo, regia Armando Punzo, musiche originali Andrea Salvadori, produzione Studio Funambulo – Carte Blanche / Compagnia della Fortezza.
Forte di una ricerca sul rapporto tra limiti e resistenza condotta in un luogo che è metafora della prigione estesa in cui tutti viviamo, Armando Punzo ha ottenuto con i suoi spettacoli i massimi premi e riconoscimenti italiani ed europei, facendo della Fortezza un riferimento imprescindibile nella storia del teatro contemporaneo. Dal desiderio di interrogarsi sul senso profondo e sulle implicazioni personali, sociali e politiche di una scelta radicale è nata Un’idea più grande di me (Luca Sossella editore), autobiografia dell’artista, frutto di una lunga serie di conversazioni con la scrittrice e studiosa Rossella Menna.
“Quando ho iniziato – racconta Punzo – era tutto una scoperta su come riuscire a muoversi in carcere, anche se questo aspetto non cambia mai. Quello che cambia sono i modi di essere della popolazione detenuta, non si arriva mai ad una staticità, ad un consolidamento. Il carcere sembra un luogo immobile, ma è in continuo fermento. Tutti i giorni è realtà viva, dove di sicuro non c’è il rischio della routine. In questi anni abbiamo fatto cose che sembravano impossibili: sembrava tutto utopico, ma nel senso che intende Ernst Bloch, quando sostiene che noi siamo utopia realizzata, concreta. Abbiamo fatto cose impensabili grazie alla potenza della cultura, a quella forza data da uomini che si mettono insieme. Anche di questo parleremo durante l’incontro del 22 marzo in Classense, quando presenteremo il libro Un’idea più grande di me, un testo che nasce dal bisogno di raccontare la mia esperienza. In proposito è stato detto e scritto tanto, ci sono state pubblicazioni che non sempre mi rispecchiavano e avevo bisogno di dire la mia. Questa è un’esperienza che rischia di essere accostata all’idea di teatro sociale, ma è un’etichetta in cui non mi sono ritrovato, perché punitiva dal punto di vista artistico. Quello sociale è un tipo di teatro legato alla cura, finalizzato non a un’espressione artistica, quanto al fatto che debba essere funzionale ad un’educazione e ad una risocializzazione del singolo. Quando ho fondato la Compagnia, non volevo lavorare con professionisti e non mi piaceva il teatro di ricerca di quegli anni. Sono andato in carcere per sperimentare la potenza del teatro con persone che non lo conoscevano. Avevo bisogno di sfidarmi e di sfidare. Non è un libro di memorie, ma ho chiesto a Rossella Menna di sviluppare i nostri lunghissimi dialoghi: Un’idea più grande di me è il mio manifesto artistico, in cui dico anche quanto il mio teatro sia stato travisato”.