Stato di siccità conclamata, coltivazioni assetate, campi e frutteti che purtroppo hanno visto in questi mesi più grandine che pioggia, e anche dove l’acqua c’è, è il caso del Fosso Vecchio, uno dei principali canali di irrigazione che scendendo dal Faentino alimenta il comprensorio lughese, non sembra affatto godere di buona salute.
Un bel paradosso in questa estate caratterizzata da pochissime precipitazioni: uno dei pochi canali non ancora in secca, negli ultimi anni sempre in grado di garantire agli imprenditori agricoli l’indispensabile approvvigionamento, avrebbe l’acqua necessaria a dissetare le coltivazioni, ma per gli stessi agricoltori “quell’acqua, da qualche mese a questa parte, non è più sicura e usarla potrebbe compromettere la salute di campi e colture”.
Una denuncia forte, portata negli ultimi mesi all’attenzione pubblica e degli enti preposti da Coldiretti Ravenna. L’Organizzazione agricola, a seguito della segnalazione di un associato che ai primi di maggio aveva immortalato un tratto del canale invaso da una sospetta schiuma bianca, ha poi monitorato costantemente il corso d’acqua grazie alle ‘Sentinelle del Fosso Vecchio’, agricoltori locali che si sono organizzati in piccoli gruppi per controllare personalmente lo stato di salute del canale e denunciare quei potenziali fenomeni che possono mettere a repentaglio la salubrità delle acque irrigue. Episodi come quello dei primi di maggio, purtroppo, si sono però ripetuti più volte, l’ultima proprio pochi giorni fa.
“In questa stagione caratterizzata da pressoché totale assenza di piogge – commenta Assuero Zampini, Direttore di Coldiretti Ravenna – l’acqua è un bene ancor più prezioso per gli agricoltori e per l’intera agricoltura provinciale, sarebbe dunque fondamentale poter utilizzare quella poca che c’è, consentendo alle aziende agricole di irrigare, ma soprattutto di poterlo fare con la massima sicurezza. Ma le condizioni venutesi a creare nel Fosso Vecchio, dalle cui sponde stanno alla larga perfino le nutrie, non lo permettono”.
Il problema è duplice conclude Zampini: “Da un lato ci sono gli agricoltori che non possono soddisfare i bisogni irrigui delle coltivazioni, con il rischio di perdere produzioni e investimenti, e nonostante anche loro stessi si facciano carico dei costi per la manutenzione della rete irrigua e paghino di tasca propria quota parte del prezzo di quell’acqua; dall’altro c’è un evidente problema ambientale che dovrebbe interessare da vicino gli enti pubblici visto che, volente o nolente, quell’acqua prima o poi finisce in mare…”.