“Per tracciare un quadro dell’attuale situazione economica occorre partire dalle tre crisi globali registrate negli ultimi 20 anni: Torri gemelle nel 2001, crisi finanziaria nel 2008, Coronavirus nel 2020. Aspettando la prossima crisi, che in realtà è già in atto ed è la crisi climatica e sociale, abbiamo dovuto anche mettere in conto i tragici effetti generati dall’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina. Solo alcuni mesi fa avevamo celebrato il 2021 come l’anno della ripresa, che alcuni economisti avevano definito non come semplice rimbalzo ma come vera e propria fase di espansione in grado di gettare le basi per una crescita stabile e duratura.
È ovvio che in questo contesto drammatico e complesso, la situazione economica attuale presenta segnali di forte ridimensionamento rispetto al 2021: per il 2022 le previsioni di crescita del PIL nazionale già ridotte di circa due punti rispetto alla crescita dello scorso anno (+6,6%) sono state ulteriormente tagliate al 2,2%. Le motivazioni sono note: boom costi energetici, minor disponibilità e aumento dei costi per materie prime e prodotti intermedi, difficoltà delle catene di produzione, restrizioni al commercio, maggiore inflazione e minore reddito disponibile.
È quindi prevedibile che per l’Emilia-Romagna e la nostra Provincia il quadro previsionale possa essere addirittura più negativo rispetto a quello nazionale” è quanto affermanoMatteo Leoni eMassimo Mazzavillani, rispettivamente Presidente e Direttore generale della CNA di Ravenna.
In questa fase, anche lo scenario locale (regionale e provinciale), come emerge dalla nostra indagine congiunturale, è destinato a subire un drastico ridimensionamento.
Non ci stiamo riferendo solo agli andamenti del PIL a tutti i livelli al ribasso nelle previsioni riguardanti il 2022, stiamo pensando, in particolare, alla movimentazione aziendale che avendo finalmente registrato nel corso del 2021 una buona performance nella provincia di Ravenna (con un saldo complessivo positivo pari a +102 imprese mentre l’artigianato ha chiuso con +68 unità) ha invertito un trend negativo che durava da ben nove anni. Riteniamo che questa tendenza, vista la situazione, sarà difficilmente replicabile nel corso del 2022.
Pertanto oggi si pone spontaneo un interrogativo: che fare per cercare di recuperare quei livelli di sviluppo indispensabili per trainare il sistema economico?
Partendo dal presupposto che in questa fase servono soluzioni rapide ed efficaci, come CNA abbiamo individuato due linee principali di intervento: la prima riguarda la questione energetica, la seconda i bonus in edilizia.
Per uscire totalmente dalla dipendenza energetica dalla Russia occorre rafforzare il polo energetico ravennate attraverso la ripresa delle attività estrattive di gas naturale nell’Alto Adriatico; posizionamento di un rigassificatore galleggiante al largo delle coste ravennati; realizzazione di un parco eolico offshore con impianto fotovoltaico galleggiante annesso; creazione di un sistema per la cattura, lo stoccaggio e l’utilizzo dell’anidride carbonica da immettere nei giacimenti di metano esausti o per l’utilizzo nell’economia circolare. Progetti che condividiamo e che riteniamo vadano attuati il prima possibile. Ma come CNA riteniamo ancora più strategico favorire con incentivi mirati e procedure semplificate la realizzazione di impianti di autoproduzione di energia elettrica da parte delle piccole imprese. Secondo le nostre stime, su scala regionale, è possibile coinvolgere in tempi brevi oltre 10.000 micro e piccole imprese (di cui circa un migliaio nella Provincia di Ravenna) che realizzando impianti tra 12 e 200 kW potrebbero assicurare una consistente produzione aggiuntiva di energia elettrica da rinnovabili, un forte taglio delle emissioni di CO2 e un buon risparmio di metri cubi di gas. Per favorire la realizzazione di piccoli impianti da fonti rinnovabili riteniamo sia necessario estendere gli incentivi anche alle PMI, prevedendo un credito d’imposta che non può essere inferiore al 50% dell’investimento iniziale e che dovrà durare almeno un triennio.
Riteniamo che gli incentivi all’edilizia abbiano bisogno di una programmazione a medio lungo termine, certezza e stabilità nel tempo. L’esatto contrario delle oltre 30 modifiche alle norme che alimentano soltanto incertezza e confusione. Come CNA abbiamo chiesto al Governo e al Parlamento di evitare il possibile fallimento di decine di migliaia di imprese della filiera delle costruzioni. Oggi ci troviamo di fronte a un paradosso economico dove le aziende rischiano di chiudere a causa di continui cambiamenti di regole che hanno paralizzato il mercato dei crediti di imposta legati ai bonus edilizi.
Gli incentivi per la riqualificazione degli edifici prevedono la possibilità dello sconto in fattura e l’impresa deve anticipare al cliente l’ammontare del bonus per conto dello Stato. Per pagare fornitori, stipendi e imposte deve poter cedere quel credito altrimenti diventano praticamente inevitabili crisi di liquidità e fallimento. A livello nazionale abbiamo lanciato l’allarme che oltre 60.000 imprese artigiane non riescono a vendere quei crediti (che sfiorano i 3 miliardi di euro) e circa 33.000 di queste rischiano la chiusura con una perdita stimata in 150.000 posti di lavoro. Sul nostro territorio le imprese coinvolte in questo rischio default sono circa 200 per oltre 1.000 addetti. Per questo occorrono soluzioni rapide ed efficaci che evitano il blocco di un settore che nel 2021 ha contribuito per un terzo al recupero del PIL, ha registrato un aumento del 14% dell’occupazione, del 16% degli investimenti, del 24% della produzione.
Per rendere concrete queste opportunità, tuttavia, dobbiamo risolvere il problema del credito per le Micro Piccole Medie Imprese (il dato per la provincia di Ravenna nel 2021 è stato positivo +2,1% di finanziamenti concessi rispetto all’anno precedente). La pandemia, prima, e la crisi internazionale, poi, hanno fatto aumentare l’indebitamento degli imprenditori con le banche. Gli imprenditori lamentano, inoltre, grandi difficoltà con gli Istituti di credito in tema di prestiti o accessi ai fondi. Pertanto, è necessario rivitalizzare il sistema dei Confidi, che ha dato prova di sostenere con efficacia l’imprenditoria diffusa nella crisi in corso, e ottimizzare l’operatività del Fondo di Garanzia per le PMI valorizzando la relazione tra pubblico e privato.
In conclusione, per noi è indispensabile, oggi più che mai, ricostituire un patto forte tra il mondo dell’impresa e quello del credito così da dotare le imprese di tutti gli strumenti utili e necessari per affrontare le impegnative e inedite sfide di un mercato che oggi viaggia a doppia velocità rispetto al passato.
“IL QUADRO ECONOMICO NAZIONALE, REGIONALE, PROVINCIALE DEL 2021 E LE PRIME TENDENZE DEL 2022
IL QUADRO ECONOMICO NAZIONALE
L’andamento del PIL e delle sue componenti
Nel 2021 il PIL ai prezzi di mercato è stato pari a 1.781.221 milioni di euro correnti, con un aumento del 7,2% rispetto all’anno precedente. In volume, il PIL è cresciuto del 6,6%. L’insieme delle risorse disponibili è aumentato in volume del 8,3% rispetto all’anno precedente.
In particolare, la crescita del PIL è stata accompagnata da un incremento delle importazioni di beni e servizi del 14,5%. Il contributo alla variazione del PIL della domanda nazionale al netto delle scorte è risultato ampiamente positivo (6,2%).
Nello specifico hanno fornito un apporto positivo di 3 punti percentuali la spesa delle famiglie residenti e delle istituzioni sociali private al servizio delle famiglie (ISP), di 0,2 punti la spesa delle Amministrazioni Pubbliche, di 3 punti gli investimenti fissi lordi e oggetti di valore e di 0,2 punti la variazione delle scorte. Il contributo della domanda estera netta è stato positivo per 0,2 punti percentuali.
Nel 2021 il deflatore del PIL è aumentato dello 0,8%, con incrementi del 2,2% per gli investimenti fissi lordi, dell’1,6% per la spesa delle Amministrazioni Pubbliche e dell’1,7% per la spesa delle famiglie residenti.
Nel 2021 si è registrato un peggioramento nella ragione di scambio con l’estero, quale risultante di una crescita del deflatore delle esportazioni di beni e servizi (+4,8%) decisamente inferiore a quella registrata per il deflatore delle importazioni (+8,7%), trainato dal forte aumento dei prezzi dei beni energetici.
La domanda interna e la domanda estera netta
Nel 2021 la spesa per consumi finali delle famiglie residenti è cresciuta in volume del 5,2% (-10,5% nel 2020). Sul territorio economico, la spesa per consumi di beni è aumentata del 6,1% e quella per servizi del 4,6%. Per tutte le funzioni di consumo si rilevano incrementi: i più accentuati, in volume, riguardano le spese per alberghi e ristoranti (+19,1%), per mobili, elettrodomestici e manutenzione della casa (+11,0%), per trasporti (+10,9%) e per istruzione (+10,5%).
La spesa delle Amministrazioni Pubbliche ha registrato una crescita in volume dell’1% e quella delle Istituzioni sociali private (ISP) del 3,7%.
Gli investimenti fissi lordi hanno segnato un incremento del 17% (-9,1% nel 2020), con aumenti generalizzati a tutte le componenti: +22,3% gli investimenti in costruzioni, +19,6% in macchinari e attrezzature, +10,2% in mezzi di trasporto e +2,3% in prodotti della proprietà intellettuale.
Per quel che riguarda i flussi con l’estero le esportazioni di beni e servizi sono aumentate in volume del 13,3%, le importazioni del 14,5%.
I settori produttivi
Nel 2021 il valore aggiunto complessivo è aumentato in volume del 6,5%; nel 2020 aveva registrato un calo dell’8,8%. L’incremento è stato dell’11,9% nell’industria in senso stretto, del 4,5% nei servizi, del 21,3% nelle costruzioni, mentre il settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca segna un calo dello 0,8%. Nel settore terziario aumenti particolarmente marcati si registrano per commercio, trasporti, alberghi e ristorazione (+10,7%), attività professionali, scientifiche e tecniche, amministrative e servizi di supporto (+6,2%) e servizi di informazione e comunicazione (+3,7%).
Occupazione e redditi da lavoro
Nel 2021 le unità di lavoro (ULA) sono aumentate del 7,6%, a sintesi di una crescita del 7,4% delle ULA dipendenti e dell’8,0% delle ULA indipendenti. L’aumento è stato generalizzato a tutti i macrosettori: +3% nell’agricoltura, silvicoltura e pesca, +10,4% nell’industria in senso stretto, +18,9% nelle costruzioni e +6,3% nei servizi.
I redditi da lavoro dipendente e le retribuzioni lorde sono aumentati rispettivamente del 7,7% e del 7,8%. Le retribuzioni lorde per unità di lavoro hanno registrato un incremento dello 0,4% nel totale dell’economia; nel dettaglio, vi è stato un aumento dell’1,5% per le costruzioni e dello 0,7% nei servizi, un calo dell’1,2% per l’industria in senso stretto e del 2,6% per il settore agricolo.
Indebitamento netto e saldo primario delle Amministrazioni Pubbliche
Nel 2021 l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche in rapporto al PIL è stato pari a -7,2% (-9,6% l’anno precedente). In valore assoluto l’indebitamento è di -127.389 milioni di euro, in miglioramento di circa 31,6 miliardi rispetto a quello dell’anno precedente. Il saldo primario (indebitamento netto meno la spesa per interessi) è ancora negativo e pari a -64.526 milioni di euro, con un’incidenza sul PIL del -3,6% (-6,1% nel 2020). Il saldo di parte corrente (risparmio o disavanzo delle Amministrazioni Pubbliche) è negativo e pari a -29.662 milioni di euro (-74.663 milioni nel 2020). Tale miglioramento è il risultato di un aumento delle entrate correnti di circa 68,7 miliardi di euro, a fronte di un calo delle uscite correnti di circa 23,7 miliardi.
Movimentazione delle imprese
Il 2021 si è chiuso con un ritrovato slancio delle attività imprenditoriali che, tra gennaio e dicembre, hanno fatto registrare 332.596 nuove iscrizioni (il 14% in più rispetto all’anno precedente). Dopo la frenata imposta nel 2020 dal lockdown e dalla fase acuta dell’emergenza Covid, il rimbalzo della natalità non ha però coinciso con un pieno recupero del dato pre-pandemia, mantenendo un gap di circa 20mila aperture in meno rispetto al 2019 e di circa 50mila in meno rispetto alla media del decennio ante-Covid. Alla ripresa delle iscrizioni non ha fatto eco il ritorno a un fisiologico flusso di cancellazioni dai registri camerali. Come dall’inizio della pandemia, anche nel 2021 le sospensioni o le restrizioni all’esercizio di diverse tipologie di attività economiche determinano un effetto “surplace” nelle chiusure di aziende. Le 246.009 cessazioni di attività rilevate tra gennaio e dicembre dello scorso anno costituiscono il valore più basso degli ultimi quindici anni, persino più contenuto di quello già record registrato nel 2020. Il saldo annuale è quindi positivo e pari a +86.587 unità (+1,42%), ancora influenzato dagli effetti della congiuntura sanitaria. In particolare, la perdurante tendenza alla contrazione del flusso delle cancellazioni suggerisce molta cautela nella valutazione degli scenari di medio termine dell’evoluzione della struttura imprenditoriale del Paese. Lo stock delle imprese al 31 dicembre 2021 è pari a 6.067.466 unità. Il Mezzogiorno è l’area del Paese che registra nel 2021 il maggior numero di iscrizioni: quasi 109mila le nuove imprese nate lo scorso anno, a fronte di circa 72mila cessazioni. Il risultato mostra un saldo positivo di poco meno di 37mila unità, che per un terzo si deve al risultato della Campania (+12.732). Il Nord Ovest segna un incremento dello stock di imprese di oltre 20mila unità, grazie a 91mila iscrizioni e 70mila cancellazioni. A spiccare in quest’area è la Lombardia con 14mila imprese in più in un anno. A seguire il Centro, con un saldo complessivo di poco meno di 20mila imprese dovuto a 72mila iscrizioni e 52mila cessazioni. Il Lazio traina la crescita di imprese tra le regioni centrali, con 14mila imprese in più. Il Nord Est, infine, registra il minor incremento dello stock di imprese con oltre 9mila unità, differenza tra 60mila iscrizioni e 51mila cessazioni. Veneto ed Emilia-Romagna sono le regioni con i saldi più elevati.
IL QUADRO ECONOMICO REGIONALE
PIL e conto economico
Nelle stime la ripresa dell’economia regionale del 2021 dovrebbe avere raggiunto il 7,3%, un dato parziale rispetto alla caduta del 2020, ma un ritmo di crescita senza precedenti che è andato ben oltre al boom dell’anno 2000. Ma la ripresa del prodotto interno lordo prevista per il 2022 (+2,4%) è stata sensibilmente ridotta, un punto e sette decimi in meno, per le conseguenze del conflitto in Ucraina maggiori costi e minore disponibilità di materie prime e prodotti intermedi, difficoltà delle catene di produzione, restrizioni al commercio, maggiore inflazione e minore reddito disponibile. Da uno sguardo al lungo periodo emerge come la crescita sia rimasta sostanzialmente ferma da più di 20 anni. Il PIL regionale in termini reali nel 2022 dovrebbe risultare inferiore dello 0,2% rispetto al livello massimo toccato nel 2007 e superiore di solo il 10,1% rispetto a quello del 2000.
L’andamento dell’attività in regione ha mostrato un profilo analogo a quello nazionale, ma con una maggiore capacità di riprendersi. La crescita del prodotto interno lordo italiano è risultata del 6,6% nel 2021, ma non dovrebbe andare oltre il 2,2% nel 2022. Ne deriva che il PIL nazionale in termini reali nel 2022 risulterà inferiore del 4,4% rispetto a quello del 2007 e superiore di solo 3,3 punti percentuali rispetto al livello del 2000. Nel 2021, la ripresa è stata trainata dalle regioni del nord est (+7,2%) e ha visto l’Emilia-Romagna porsi alla testa della corsa al recupero. Nel 2022 la crescita dell’attività sarà decisamente più contenuta, ma più omogenea sul territorio nazionale, sostenuta dal Nord Ovest, con l’Emilia-Romagna sul terzo gradino del podio nella classifica per ritmo di crescita delle regioni italiane insieme con il Veneto.
Data la maggiore forza con la quale l’epidemia ha colpito in regione, la ripresa del PIL nel 2021 è stata ben superiore a quella dei maggiori Paesi dell’area dell’euro e nel biennio 2021-2022 l’andamento dell’attività regionale risulterà analogo.
Dopo la pandemia, anche l’inflazione e le conseguenze economiche della guerra determineranno una limitazione del reddito disponibile e un aumento della diseguaglianza nella sua distribuzione, sia tra redditi fissi e variabili, sia in funzione della diversa incidenza della spesa alimentare e per l’energia, a danno delle fasce di popolazione a minore reddito.
I consumi delle famiglie nel 2021 hanno avuto una ripresa ben più contenuta (+5,5%) rispetto al PIL, ma più sostenuta della crescita del reddito disponibile per una tendenza al recupero dei consumi dilazionati.
Nonostante il rallentamento della ripresa nel 2022, la crescita dei consumi (+2,2%) risulterà di nuovo al di sotto della dinamica del PIL e decisamente inferiore rispetto a quella del reddito disponibile. Gli effetti sul tenore di vita saranno evidenti. Nel 2022 i consumi privati aggregati risulteranno inferiori del 3,1% rispetto a quelli del picco del 2011. Rispetto ad allora, inoltre, il dato complessivo cela anche un aumento della diseguaglianza, derivante dalle asimmetrie degli effetti dei blocchi dell’attività e dell’inflazione sul reddito disponibile di specifiche categorie lavorative e settori sociali.
Gli investimenti fissi lordi nel 2021 hanno registrato un vero “boom” (+19,8%) grazie alla ripresa dell’attività produttiva e ai massicci interventi di sostegno pubblici, tale da portarne il livello ben al di sopra di quello del 2019 (+8,8%). Anche nel 2022 la crescita degli investimenti fissi lordi continuerà a trainare la ripresa (+6,5%), nonostante l’aumentata incertezza abbia imposto una revisione al ribasso della stima. I livelli di accumulazione dell’economia nel 2022 saranno comunque inferiori del 10,7% rispetto a quelli del precedente massimo risalente ormai al 2008, prima del declino del settore delle costruzioni.
Lo scorso anno, grazie alla ripresa del commercio mondiale, l’export regionale ha recuperato pienamente la riduzione del 2019 (+11,5%). La revisione al ribasso della crescita del commercio mondiale per il 2022 ha portato a dimezzare anche la dinamica delle esportazioni regionali (+3,4%) che offriranno un più contenuto sostegno alla ripresa. Ciò nonostante al termine del 2022 il valore reale delle esportazioni regionali dovrebbe risultare superiore del 7,7% rispetto a quello del 2019 e addirittura del 38% se confrontato con il livello massimo precedente la lontana crisi finanziaria, toccato nel 2007. Si tratta di un chiaro indicatore dell’importanza assunta dai mercati esteri nel sostenere l’attività e i redditi regionali.
La formazione del valore aggiunto: i settori
Lo scorso anno sono state le costruzioni a mettere a segno la più rapida crescita del valore aggiunto che è stata quasi doppia rispetto a quella realizzata dall’industria, che, a sua volta, ha aumentato il suo valore aggiunto più di due volte più rapidamente di quanto sperimentato dal complesso dei servizi uscito dalla recessione con maggiore difficoltà. Nel 2022, stante la crescita dell’inflazione, le difficoltà nelle catene produttive e le conseguenze della guerra in Ucraina, la ripresa dell’attività si arresterà nell’industria, proseguirà più contenuta per i servizi e continuerà, non più esplosiva ma sostenuta, solo per le costruzioni, l’unico settore che ha già superato ampiamente lo scorso anno i livelli di attività del 2019 e che continuerà a trarre vantaggio dalle misure adottate a favore della ristrutturazione edilizia e dai piani di investimento pubblico.
In dettaglio, nel 2021 la ripresa a “V” dell’attività ha condotto a una crescita del valore aggiunto reale prodotto dall’industria in senso stretto (esclusi i servizi) regionale del 11,9%. Ma nel 2022, le difficoltà nelle catene di produzione internazionali, l’aumento delle materie prime e dei costi dell’energia e le conseguenze del conflitto azzereranno la crescita del valore aggiunto reale prodotto dall’industria regionale in senso stretto, che al termine dell’anno corrente risulterà ancora inferiore seppure di meno di un punto percentuale rispetto a quello del 2019 e superiore di solo il 4,5% rispetto al massimo precedente la crisi finanziaria del 2007.
Grazie ai piani di investimento pubblico e alle misure di incentivazione adottate dal Governo a sostegno del settore, della sicurezza sismica e della sostenibilità ambientale il 2021 ha registrato un vero boom del valore aggiunto reale delle costruzioni (+22,1%), che ha trainato la ripresa complessiva. Anche nel 2022 le stesse ragioni sosterranno un’ulteriore crescita per le costruzioni, ma con una sensibile riduzione della dinamica, che traineranno la crescita complessiva con un aumento del valore aggiunto reale dell’8,6%. Al termine del corrente anno il valore aggiunto delle costruzioni risulterà superiore del 25,9% a quello del 2019. Ciò nonostante, sarà ancora inferiore del 26,1% rispetto agli eccessi del precedente massimo del 2007.
Dopo avere risentito più a lungo e duramente degli effetti negativi dello shock da coronavirus, il settore dei servizi nel 2021 ha avviato la ripresa (+4,7%), la più contenuta rispetto agli altri macro settori. Purtroppo, il modello non ci permette di osservare in dettaglio i settori dei servizi che hanno attraversato la recessione e la successiva ripresa in modi decisamente diversi. La dinamica dell’inflazione e l’incertezza porranno un freno alla ripresa dei consumi che insieme con lo stop alla crescita industriale conterranno la tendenza positiva dei servizi nel 2022 (+3%). Nemmeno alla fine del 2022 il valore aggiunto dei servizi avrà recuperato il livello del 2019 (-1,5%) e risulterà superiore di solo l’1,4% rispetto al precedente massimo antecedente la crisi finanziaria toccato nel 2008, soprattutto per effetto della compressione dei consumi e dell’aumento della diseguaglianza.
Il mercato del lavoro
Nel 2021 l’occupazione ha ripreso a crescere e, nonostante un rientro parziale sul mercato del lavoro di chi ne era uscito temporaneamente, il tasso di disoccupazione si è ridotto. Al contrario, nel 2022 un aumento delle forze lavoro più rapido di quello dell’occupazione tenderà a fare risalire lievemente il tasso di disoccupazione, che dovrebbe ridursi nuovamente nei prossimi anni. In dettaglio, nel 2021 le forze di lavoro sono cresciute solo modestamente (+0,2%), nonostante la ripresa dell’attività e le riaperture possibili, mentre sono rimasti fuori dal mercato del lavoro diversi lavoratori non occupabili e scoraggiati dei settori maggiormente colpiti dalla recessione. Nel 2022 le forze di lavoro cresceranno più rapidamente (+0,9%), nonostante il rallentamento della ripresa, ma non potranno ancora compensare il calo subito nel 2020.
Il tasso di attività, calcolato come quota sulla popolazione presente in età di lavoro, è sceso lievemente al 72,4% nel 2021, ma migliorerà nel 2022 riportandosi al 73%. Nonostante le misure di salvaguardia adottate, la pandemia ha inciso sensibilmente sull’occupazione, colpendo particolarmente i lavoratori non tutelati e con effetti protratti nel tempo. Lo scorso anno la ripresa ha arrestato la tendenza negativa e l’occupazione si è leggermente ripresa (+0,6%), un recupero contenuto dall’aumento delle ore lavorate con il rientro dei lavoratori nelle attività. Nell’anno in corso non si avrà una sostanziale accelerazione della crescita dell’occupazione (+0,8%) che a fine anno rimarrà ancora al di sotto del livello del 2019 di oltre un punto e mezzo percentuale.
Nel 2021 le misure adottate a tutela dell’occupazione durante la pandemia hanno contenuto il recupero del tasso di occupazione (calcolato come quota sulla popolazione presente in età di lavoro) al 68,5%. Nel 2022 il recupero sarà solo leggermente più ampio e non permetterà di raggiungere il livello del 2019 (70,4%), che dovrebbe restare lontano anche al termine del 2023.
Il tasso di disoccupazione era pari al 2,8% nel 2002 e era salito fino all’8,5% nel 2013 per poi gradualmente ridiscendere al 5,5% nel 2019. Le misure di sostegno all’occupazione introdotte e l’ampia fuoriuscita dal mercato del lavoro ne hanno contenuto l’aumento nel 2020. La forza della ripresa e il contenuto aumento delle forze lavoro lo hanno ridotto nel 2021 al 5,4%, ma nel 2022 un più deciso rientro sul mercato del lavoro evidenziato dall’aumento delle forze di lavoro, e la ridotta dinamica della ripresa spingeranno di nuovo al rialzo il tasso di disoccupazione che dovrebbe risalire lievemente al 5,6%, prima che un rafforzamento della tendenza positiva dell’attività sostenga maggiormente l’occupazione e avvii una fase di rientro del tasso di disoccupazione.
Movimentazione delle imprese.
Al 31 dicembre 2021 le imprese registrate in Emilia-Romagna sono risultate 451.242 e rispetto al 31 dicembre 2020 sono aumentate di 1881 unità (+0,41%). È stata quindi interrotta su scala regionale la tendenza alla contrazione delle imprese registrate che proseguiva senza interruzione dal 2012. Nel 2020 le iscrizioni sono risultate 24.136 e sono sostanzialmente aumentate rispetto all’anno precedente (20.714), quando fu stabilito il nuovo minimo assoluto. Il tasso di natalità è quindi risalito al 5,4%. Le cessazioni volontarie sono state 22.255 (diminuite rispetto alle 23.445 del 2022) e hanno fissato il nuovo minimo assoluto con il tasso di mortalità che è sceso al 5,0%.
Per quanto riguarda i settori di attività economica, la disaggregazione dei dati evidenzia gli effetti della pandemia, dei provvedimenti adottati a tutela delle imprese e della ripartenza.
La base imprenditoriale dell’agricoltura, silvicoltura e pesca-acquacultura si è ridotta di 671 unità (-1,2%), una variazione determinata dalla prima (-717 unità, -1,4%).
L’industria ha perso 109 imprese (-0,2%). Nella sola manifattura il calo negli ultimi 12 mesi è stato di 112 unità (-0,3%). In quest’ambito, è sostanziale l’incremento nella riparazione e manutenzione di macchine (+87 unità, +2,4%). I contributi negativi sono giunti dall’industria della moda (-90 imprese), in particolare, delle confezioni (-51 unità, -1,2%) e tessile (-2,9%).
L’insieme del commercio all’ingrosso e al dettaglio e della riparazione di autoveicoli e motocicli ha subito una lievissima flessione (-115 unità, -0,1%): a determinarla unicamente l’ingrosso (-299 unità, -0,9%), mentre nel dettaglio si registra un leggero aumento (+183 unità, +0,4%), invariate le altre componenti.
Le costruzioni hanno rafforzato la tendenza positiva già avviata con una crescita di 1.605 unità nel 2021 (+2,5%) grazie agli evidenti benefici degli incentivi governativi. Trainanti le imprese che effettuano lavori specializzati (+1.222 unità, +2,5%), per ristrutturazioni e piccoli interventi, poi quelle impegnate nelle edificazioni (+2,4%).
L’incremento del complesso dei servizi (+2.088 unità +0,9%), registra le difficoltà del settore del trasporto e magazzinaggio che ha mostrato il segno rosso (-266 unità, -2,0%), determinato dal trasporto terrestre (-273 unità, -2,5%). Decisa, invece, l’accelerazione delle attività professionali, scientifiche e tecniche (+498 unità, +3,0%) e dell’immobiliare (+452 unità, +1,7%). A seguire, l’aggregato noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (+405 unità, +3,1%). Un segnale di ripresa è giunto dai servizi di ristorazione e alloggio (+320 unità, +1,1%). In accelerazione i servizi di informazione e comunicazione (+298 imprese, +3,3%), determinato da produzione di software, consulenza informatica (+161 unità, +4,4%). Bene le attività finanziarie e assicurative (+235 unità, +2,5%), in ripartenza quelle artistiche, sportive, intrattenimento e divertimento (+159 unità, +2,7%).
IL QUADRO ECONOMICO PROVINCIALE
In crescita l’economia della provincia ravennate sia nel 2021 che per le previsioni 2022, mentre il 2020 si era chiuso, a causa dell’impatto della pandemia, con una caduta della ricchezza pari a -8,4%, con una discesa leggermente inferiore rispetto a quella regionale (-8,8%) e nazionale (-8,7%). Per il 2021 si stima una rapida ripresa del valore aggiunto complessivo ravennate pari a +7,9%. Il quadro previsivo conferma anche che la crescita in provincia di Ravenna nel 2021 sarà superiore sia a quella stimata per l’Emilia-Romagna (+7,3%) sia a quella italiana (+6,6%). La ripresa attesa sarà quest’anno più contenuta, più uniforme nei vari territori (+2,3% per Ravenna, +2,4% per l’Emilia Romagna e +2,2% per l’Italia). Nel 2023, la crescita si dovrebbe normalizzare su un +2,8%, come per l’Italia (+2,8%), leggermente più sostenuta in Emilia-Romagna (+3%), salvo ulteriori fattori di crisi, oltre il Covid, che già sono in corso. Senza dimenticare che incombe il caro energia, l’aumento dei prezzi delle materie prime è fuori controllo, facendo lievitare i costi delle imprese e a tutto ciò si è aggiunta la grave crisi Russia- Ucraina: l’incognita della durata del conflitto rende difficilissimo prevedere gli effetti sul tessuto economico.
Relativamente ai dati settoriali emerge che nel 2021 la ripresa condurrà a una crescita stimata del valore aggiunto prodotto dall’industria provinciale del +11,8%; esaurita la spinta del recupero dei livelli di attività precedenti, nel 2022 la crescita prevista si ridurrà (+1,9%), tenuto conto anche delle difficoltà delle catene di fornitura e dell’aumento dei prezzi delle materie prime e delle commodity e del caro-bolletta energetica. Nel 2023 la ripresa del settore industriale ravennate dovrebbe proseguire con un +2,8%.
Grazie in particolare alle misure di incentivazione adottate dal Governo a sostegno del settore, superbonus e bonus vari, nel 2021 si conferma un vero boom del valore aggiunto del settore delle costruzioni della nostra provincia (+28,2%), che trainerà la ripresa complessiva. Nonostante un ragionevole e fisiologico rallentamento, la tendenza positiva continuerà con decisione anche nel 2022 (+9,6%), come le misure di sostegno adottate anche se più restrittive, e sarà ancora il settore delle costruzioni a trainare la crescita ravennate, per poi proseguire nel 2023 con un +7,7%.
Gli effetti negativi dello shock da Coronavirus si sono fatti sentire più a lungo e duramente nel comparto dei servizi. Nel 2021 la ripresa del valore aggiunto settoriale sarà solo parziale (+5,9%) e la più contenuta rispetto agli altri macro-settori. La tendenza positiva non dovrebbe smorzare il suo ritmo di crescita in maniera accentuata nel corso del 2022 (+4,3%), assestandosi su un +2,5% per il 2023.
Il mercato del lavoro
Il tasso di disoccupazione in provincia di Ravenna nel 2020 era salito al 7% ed era pari a 4,6% nel 2019 e 5,8% nel 2018; le stime 2021 fanno registrare l’inizio di un miglioramento del valore provinciale al 6,3%, attorno al quale si dovrebbe assestare anche nel 2022 (6,2%; 6% in Emilia-Romagna e 10,4% il tasso di disoccupazione in Italia); ma per gli strascichi e le incertezze legati alla pandemia, non sarà sufficiente per livellarsi ai valori più contenuti pre-pandemia. Si attendono quindi le nuove stime basate sui nuovi scenari economici.
Movimentazione delle imprese
L’analisi statistica mostra che il 2021 si è chiuso con un ritrovato slancio delle attività imprenditoriali che, tra gennaio e dicembre, hanno fatto registrare 1.857 nuove iscrizioni (quasi il 14% in più rispetto all’anno precedente). Dopo la frenata imposta nel 2020 dal lockdown e dalla fase acuta dell’emergenza Covid, il rimbalzo della natalità non ha però coinciso con un pieno recupero del dato pre-pandemia, mantenendo un gap di circa 78 aperture in meno rispetto al 2019 (- 4% in termini di variazione percentuale) e di circa 386 in meno rispetto alla media del decennio ante-Covid. Alla ripresa delle iscrizioni non ha fatto riscontro il ritorno ad un fisiologico flusso di cancellazioni dai registri camerali. Fin dall’inizio della pandemia, infatti, anche nel 2021 le sospensioni o le restrizioni all’esercizio di diverse tipologie di attività economiche hanno determinato un effetto “surplace” (o di temporeggiamento) nelle chiusure di aziende. Le 1.755 cessazioni volontarie di attività, rilevate tra gennaio e dicembre dello scorso anno, costituiscono il valore più basso degli ultimi dodici anni, persino più contenuto di quello già record registrato nel 2020. Il saldo netto annuale è quindi positivo e pari a +102 unità, ma ancora influenzato dagli effetti della congiuntura sanitaria. In particolare, la perdurante tendenza alla contrazione del flusso delle cancellazioni suggerisce molta cautela nella valutazione degli scenari di medio termine dell’evoluzione della struttura imprenditoriale del nostro territorio, così come per l’intero Paese. Inoltre, normalmente le cancellazioni di attività dal Registro delle Imprese si concentrano nei primi tre mesi dell’anno ed è in questo periodo che si potrebbero attendere maggiori ripercussioni. A fine dicembre 2021, lo stock complessivo delle imprese registrate a Ravenna ammontava a 38.389 unità e si registra un tasso di crescita relativa, rispetto all’anno della piena pandemia, pari a +0,27% (+0,76% mediamente in Emilia-Romagna e +1,42% in Italia). I risultati delle analisi mostrano che l’andamento delle iscrizioni è certamente correlato alle prospettive dell’economia ma anche determinato da andamenti settoriali diversificati e dalle politiche di aiuti pubblici. La congiuntura favorevole delle principali attività economiche ed il ritrovato slancio dell’imprenditoria che nel 2021 ha fatto registrare la nascita di 1.857 nuove imprese in provincia di Ravenna (+14% rispetto all’anno dello scoppio della pandemia) ed un saldo netto annuo positivo di 102 unità, tuttavia, potrebbero nuovamente essere frenati dall’infiammata dei prezzi delle materie prime, dal caro-bolletta dei costi energetici e dal conflitto in corso.
Ravenna
Rispetto all’intero tessuto produttivo provinciale, l’incidenza delle imprese artigiane passa dal 26,66% del 31/12/2020 al 26,77% del 31/12/2021, un dato pressoché invariato. Ciò a fronte del fatto che – rispetto ad un incremento del Registro Imprese di 91 unità – le imprese artigiane sono aumentate di 67 unità, assestando per questo l’incidenza percentuale rispetto al Registro Imprese ai livelli registrati nell’ultimo quinquennio, così come a fine 2002.
Come si può facilmente osservare, da fine 2010 a fine 2021, il Registro Imprese registra un calo di 3.944 imprese, delle quali quasi il 20% sono imprese artigiane.
Rispetto all’andamento dell’Albo i comuni della provincia presentano dinamiche e performance molto simili. Tra i comuni principali, si registrano risultati in linea con l’andamento per Lugo (+1,3%) e Faenza (+ 1,1%), mentre Ravenna (+0,0%), Russi (-0,2%) e Cervia (+0,2%) presentano dati pressoché invariati rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda le aree territoriali, la Bassa Romagna segna un +1,64% e la Romagna Faentina, in linea col dato del Comune di Faenza, segna un +0,63%.
Andamento Albo per settori
Relativamente alle Sezioni e alle Divisioni di attività si riscontrano, per l’anno 2021 andamenti in linea con l’anno precedente con qualche differenza nei trend che caratterizzano i diversi settori.
L’agricoltura e l’industria alimentare (dati aggregati), evidenziano rispetto al 2020 un dato in leggera flessione (-1,24%).
Il settore tessile-abbigliamento-calzaturiero registra una ulteriore contrazione e chiude a -1,31% rispetto al 2020. Tale dato è in linea con lo scorso anno ma in parziale controtendenza rispetto al ridimensionamento che ha caratterizzato il comparto nell’ultimo decennio. Indicativi, a tal proposito, i dati relativi al periodo 2009-2021, che riflettono un decremento che si attesta attorno al 25%.
La meccanica di produzione vede un decremento delle imprese del settore pari all’1,95%, confermando – seppure in maniera più contenuta – i trend negativi che hanno caratterizzato gli 8 anni precedenti (-0,78% al 31/12/2020; -4,97% al 31/12/2019; -3,38% al 31/12/2018; -3,27% al 31/12/2017; -3,00% al 31/12/2016; -0,83% al 31/12/2015; -4,13% al 31/12/2014; -5,69% al 31/12/2013 e -4,43 al 31/12/2012). Tuttavia, i trend occupazionali positivi suggeriscono una lettura diversa dei dati legati al Registro Imprese, ovvero una tendenza delle stesse a strutturarsi maggiormente per far fronte ai nuovi paradigmi della competitività.
Per quanto concerne il settore del legno (industria e lavorazione del legno e fabbricazione di mobili), si registra un rallentamento pari al -2,47%. Nonostante la leggera flessione, il settore esprime valori positivi sia nei dati occupazionali (+1,26%), sia nel fatturato (+8,4%).
Ragionando per aggregati, il settore manifatturiero (agroalimentare, sistema moda, meccanica e legno/arredo) registra una diminuzione del 1,71%.
L’edilizia, vero traino della crescita dell’Albo delle Imprese Artigiane fino al 2008, registra un incremento pari 2,12%. Sul risultato incide la partenza degli incentivi in edilizia (Superbonus, Ecobonus, Bonus Casa e Bonus facciate in primis). Dal 2008, il comparto ha “perso” il 17,1% delle imprese registrate.
Nell’ambito del comparto, segno più per gli impiantisti elettrici ed elettronici +1,63%), segno meno per quelli idraulici (-1,50%), dove la componente maggiormente resiliente è ascrivibile quasi unicamente alla manutenzione di impianti di riscaldamento. Nel periodo 2009-2021 i due settori hanno registrato decrementi rispettivamente del 17,34% e del 12,47%.
Per quanto concerne il settore dei trasporti, il 2021 si chiude con un decremento delle imprese iscritte all’Albo del 4,07%, da ascriversi esclusivamente al trasporto merci (90% delle imprese del settore). Oltre a tali dati inequivocabili, si conferma una ulteriore contrazione della redditività delle singole imprese, dovuta all’ormai annoso problema legato alla riduzione delle tariffe di trasporto riconosciute dal mercato, con ripercussioni pesanti sulla sopravvivenza delle stesse a cui, da fine 2021, si aggiunge l’aumento vertiginoso dei costi legati al carburante.
Nella manutenzione e riparazione di auto e motoveicoli si registra una contrazione, rispetto a fine 2020, dell’1,62%, situazione che va a confermare una più generale contrazione in termini di imprese iscritte che caratterizza costantemente questo settore da ormai diversi anni, generato da un lato dalla crisi dei consumi privati che riducono gli interventi sul parco auto, non riparando i piccoli danni o limitando la manutenzione ordinaria del veicolo allo stretto necessario, e dall’altro dall’evoluzione tecnologica dei veicoli che impone una maggiore specializzazione con una conseguente concentrazione delle officine specializzate.
Nell’ambito delle attività professionali, si registra un decremento dello 0,85%, risultato che rappresenta un ulteriore seppur leggero rallentamento rispetto a quanto registrato a fine 2019 (-1,79%).
Nello specifico, per quanto riguarda i servizi alla persona, oltre a un ulteriore decremento delle tinto-lavanderie (-3,49%) e delle imprese di acconciatura (-1,04%), le imprese di estetica continuano ad aumentare (+1,79%). Va ricordato che questi ultimi due settori caratterizzano il comparto per oltre il 90 % delle imprese registrate nell’ambito dei servizi alla persona.
Occupazione
I dati relativi all’occupazione rilevati nel corso del 2021 evidenziano un incremento della forza lavoro del 1,13%.
Dopo l’inversione dello scorso anno si registra un ritorno ad un dato positivo come dal trend consolidatosi da fine 2017, quando, per la prima volta dal 2008, si era raggiunto un risultato superiore a quello registrato pre-crisi. A fine 2021, rispetto a fine 2008, si constata un aumento occupazionale pari al 5,05%. Questi dati si riferiscono a un campione rappresentativo di imprese artigiane e piccole imprese.
Relativamente ai principali settori dell’economia artigiana, il comparto delle costruzioni, vero traino della crescita occupazionale fino al 2007, interrompe la crescita iniziata nel 2014, dopo la decrescita occupazionale registrata nel quinquennio precedente, evidenziando al 31/12/2021 un lievissimo incremento del 0,14%.
Il risultato è da attribuire al leggero incremento del settore impianti (+ 1,11%) e del settore movimento terra (+6,25%) a fronte di una contrazione del settore costruzione di edifici (-3,41%).
Cala l’andamento occupazionale per le attività inerenti all’auto e moto-riparazione (-1,15%): dato ancora più negativo rispetto a quello del 2020 che già aveva interrotto la sorprendente crescita iniziata a fine 2016.
Il tessile calzaturiero registra un consistente incremento occupazionale (+43,42%). Il dato è influenzato dal settore pelle e cuoio che ha visto un significativo incremento della forza lavoro. Va comunque sottolineato che il settore ha perso, negli ultimi 10 anni, poco meno del 40% di occupati.
La meccanica di produzione continua ad esprimere valori positivi (+5,19%). Questo incremento occupazionale, unito al decremento delle imprese registrate, può essere letto come la conferma alla tendenza delle imprese più strutturate a continuare ad assumere addetti.
L’agricoltura e l’industria alimentare (dati aggregati), registrano un aumento pari al 2,69%, riportando in positivo di fatto il trend avviatosi dal 2015 ed interrottosi lo scorso anno.
In calo l’andamento occupazionale per il settore trasporto merci (-9,14%). Va qui ricordato che il trasporto merci ha perso dal 2008 oltre il 20% della forza lavoro.
Il settore dei servizi alla persona esprime un decremento sia per ciò che riguarda gli acconciatori (-13,56%), sia per gli estetisti (-18,42%). Si tratta delle categorie più colpite dalla pandemia, i dati 2021 risultano comunque migliori rispetto al 2020 anche grazie al fatto che le restrizioni imposte sono state in quest’anno meno impattanti rispetto all’anno precedente. Al netto delle dinamiche dovute alla pandemia, il settore conferma l’andamento altalenante e ciclico dei trend nell’ultimo decennio.
Per quanto riguarda i principali comuni e le principali aree territoriali della provincia, si evidenzia ovunque incremento occupazionale a parte il dato stabile in leggera flessione di Ravenna e dell’area della Bassa Romagna:Ravenna (-0,65%), Cervia (+4,24%), Lugo (+1,64%), Bassa Romagna(-2,11%), Faenza (+1,93%) e Romagna Faentina (+4,35%).
Dopo la battuta d’arresto registrata a fine 2019, torna a crescere il numero diaddetti extra nazionali occupati dalle piccole e medie imprese e dall’artigianato (+13,5%). Dal 2008 si registra una diminuzione di questa forza lavoro di circa il 12%. Le nazionalità più rappresentative in termini di dipendenti extra nazionali sono nell’ordine quella rumena, albanese, marocchina, senegalese e moldava.
Meccanica di produzione, trasporti e impiantistica, si confermano come quelle attività che di più, rispetto ad altre, assorbono manodopera extra nazionale.
Credito e Investimenti
Altri importanti elementi di analisi per cogliere i segnali circa l’andamento dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa nella nostra provincia, si colgono dai dati resi disponibili dalla Banca d’Italia in merito al credito e agli investimenti.
Nel corso del 2021 sono stati concessi in ambito provinciale finanziamenti alle imprese per un valore superiore del 2,10% a quelli registrati al 31/12/2020.
Va inoltre ricordato che negli ultimi 9 anni si riscontra una diminuzione dei finanziamenti erogati di quasi il 18%. Il dato positivo registrato nel 2021 manifesta una ripresa dopo la pandemia.
Il settore industriale è risultato trainante con una crescita dei prestiti, pari al +3,7%, in aumento rispetto allo scorso anno +0,58%). Sembra in ripresa la spinta legata alle misure di agevolazione fiscale sugli investimenti tecnologici contenute nel Piano impresa 4.0.
Cala del 1,38% il dato relativo agli impieghi bancari destinati al settore dei servizi, dopo la ripresa (+2,12%) registrata nell’anno precedente, mentre il settore delle costruzioni segna un -17,57%, che seppur negativo appare meno drammatico di quello dello scorso anno (-37,62%). Il dato risente, probabilmente, delle difficoltà e dei ritardi dell’operatività legata ai Bonus in Edilizia.
Possiamo, inoltre, affermare che, in merito all’operatività dei finanziamenti concessi, mentre nel 2008 i due terzi dei finanziamenti riguardavano investimenti produttivi (beni mobili/immobili strumentali) e un terzo concerneva la liquidità (linee correnti e consolidamento), nel corso degli anni la situazione si è ribaltata e nel 2021 assistiamo ai due terzi di richieste per liquidità aziendale e un terzo per investimenti, a conferma dello stato di difficoltà in cui versa ancora il Paese.
Fatturato
Il 2021 si chiude con una variazione positiva del 10,9%, riportando i valori sopra quelli del periodo di pre-pandemia. Se si confrontano i dati di fine 2021 con quelli disponibili al 31/12/2008 si riscontra un calo del fatturato del 9,76%. I settori analizzati descrivono un generale incremento in termini di fatturato, seppure evidenziando dinamiche diverse. Va infine rilevato che, meccanica a parte, tutti i settori sono lontani dal fatturato che avevano registrato nel 2008.
Fonti: ISTAT, Banca d’Italia, Prometeia, Unioncamere ER, Camera di Commercio di Ravenna”