La direttiva dell’Unione Europea va nella direzione giusta, ma si rivolge a Paesi che hanno un tasso di copertura contrattuale inferiore all’80% e in quelle situazioni si chiede ai Governi di legiferare definendo soglie minime di retribuzione. L’Italia ha una situazione invece molto diversa – dichiara Francesco Marinelli segretario generale della CISL Romagna – perché la copertura contrattuale è oltre il 90% e la direttiva indica che in queste situazioni bisogna rafforzare ed estendere la contrattazione”.
In Italia, secondo i dati CNEL su flussi UNIEMENS, sono 12.914.115 i lavoratori coperti da contratti collettivi e 729.544 quelli non coperti.
Analizzando i dati Istat 2019 relativi alle retribuzioni in Italia, emerge come la paga media oraria sia di 11.75€ per gli uomini e 10.96€ per le donne. Ovviamente, all’aumentare della professionalità aumenta anche la retribuzione. In Emilia Romagna la media è più alta rispetto al resto del paese, di 12.35€ per gli uomini e 11.26€ per le donne, ma non in Romagna dove la media è di 11.69€ per gli uomini e 10.93€ le donne.
In Romagna vi sono differenze sostanziali nelle tre province, come più volte evidenziato dalla CISL. Infatti i lavoratori della provincia di Ravenna sono coloro che hanno la media retributiva più alta nel territorio romagnolo, 12.10€ per gli uomini e 11.03€ per le donne, segue la provincia di Forlì-Cesena 11,83€ per gli uomini e 11.05€ per le donne. Si conferma fanalino di coda la provincia di Rimini con 11.15€ per gli uomini e 10.72€ per le donne.
Le motivazioni di tali differenze sono da ritrovare nei diversi settori produttivi che caratterizzano l’economia di ogni provincia. Infatti mentre nel settore dell’energia la retribuzione media è di 20,30€, nell’industria è di 13,02€, mentre in edilizia di11,30€ all’ora e nelle attività di servizi di alloggio e ristorazione è di 10,20€.
“Intervenire sui salari deve essere una priorità – afferma Marinelli – soprattutto ora vista la crescente inflazione. Il bonus dei 200€ è una misura corretta ma non sufficiente, poiché servono misure più strutturali. Quello che serve è il rinnovo di tutti i contratti collettivi nazionali pubblici e privati, alcuni scaduti da oltre 10 anni, che possano permettere ai lavoratori di ricevere stipendi riallineati all’inflazione, agire sul cuneo contributivo per incrementare il netto delle retribuzioni e contenere gli aumenti delle tariffe. Un salario minimo imposto per legge potrebbe invece fare perdere ai lavoratori alcune tutele negoziali che sono state introdotte nei contratti grazie alla contrattazione. Sappiamo infatti che la retribuzione complessiva del lavoratore non è fatta solo di compenso orario minimo, ma si aggiungono altri istituti contrattuali: tredicesima, quattordicesima in alcuni casi, trattamento di fine rapporto, maggiorazioni, previdenza complementare o sanità integrativa”.
“Inoltre è necessario – sottolinea il Segretario cislino – aumentare i controlli nei luoghi di lavoro in modo da contrastare i casi di lavoro illegale e la non applicazione dei contratti collettivi nazionali”.