“La stampa locale ha scritto molto sull’arresto in flagranza, avvenuto martedì scorso ad opera della Guardia di Finanza, di due coniugi di mezza età, accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro dei loro dipendenti” afferma Alvaro Ancisi, capogruppo di Lista per Ravenna, tornando sul tema delle case famiglia, tema che, nell’ultimo consiglio comunale, ha dato vita ad un’accesa discussione fra maggioranza e opposizione. Proprio Alvaro Ancisi si è dimostrato fra i più strenui contestatori del nuovo regolamento approvato dal consiglio comunale “I dipendenti erano cinque persone straniere, di vari continenti, che avevano subìto in passato violenze e abusi o povertà, certuni fuggiti dal paese d’origine. Uno di questi e alcuni ex dipendenti della medesima “azienda” hanno dichiarato alla Finanza che l’uomo li aveva di fatto ingaggiati da un centro di accoglienza di immigrati, facente capo alla cooperativa CEFAL, nel quale egli lavora, in un ruolo certo importante, guadagnando circa 2.700 euro al mese.
CAPORALATO IN FAMIGLIA – Il reato ipotizzato è stato introdotto in Italia nel 2011, con l’art. 603-bis del codice penale, per combattere il fenomeno del caporalato nei campi, non più solo del meridione. Tuttavia, l’azienda indagata dalla Finanza di Ravenna non ha niente a che fare con l’agricoltura, essendo invece titolare di due case famiglia per anziani, rispettivamente a Mezzano e Bagnacavallo. I lavoratori in questione – sintetizzo da quanto si è letto – venivano utilizzati come tuttofare: cucinare, pulire, assistere agli anziani e ogni altra incombenza necessaria per il quotidiano funzionamento delle due strutture, il tutto ininterrottamente, 24 ore su 24, per più giorni e a fronte di poche ore di riposo per notte; non c’ era nemmeno una stanza con un letto per riposare, ma dovevano usare i divanetti; non potevano contare su uno spogliatoio, né su un servizio igienico autonomo, essendocene solo uno per tutti; una delle lavoratrici era finita al pronto soccorso per un malore da stress; anche gli anziani, secondo quanto riferito da un’ ex dipendente, sono stati in ospedale diverse volte: “A un certo punto venne assunto personale non qualificato che non sapeva come dare i medicinali agli anziani e faceva confusione. Per questo motivo ci sono stati più ricoveri”.
IL REGOLAMENTO COMUNALE – Ma in Emilia-Romagna le case famiglia per anziani sono disciplinate dalla Regione e dai Comuni. Di fatto sopperiscono alla grave carenza di strutture pubbliche atte ad ospitare anziani in difficoltà, sia pure non autosufficienti solo parzialmente. Il regolamento del Comune di Ravenna, molto celebrato dal governo locale e fatto proprio da tutti i Comuni della provincia, recita che queste “case” private sono inserite “nella rete integrata dei servizi sociali residenziali di supporto alle famiglie” (art. 1). I controlli, facenti capo a quattro servizi pubblici: Sportello unico per le attività produttive, Polizia municipale, AUSL e Servizi Sociali, dovrebbero verificare tra l’altro “le condizioni organizzative, assistenziali e di personale” e “i requisiti strutturali, impiantistici e igienico sanitari” (art. 8). Com’è stato allora possibile scoprire i fatti di cui sopra solo con un’indagine giudiziaria di carattere penale? Non sono serviti a niente i precedenti fattacci avvenuti nel Comune di Ravenna, da Sant’Alberto in poi, di cui solo alcuni pubblicizzati?
BATTAGLIA IN CONSIGLIO COMUNALE – La stretta regolamentare invocata dal sottoscritto già nella primavera 2018, anche come presidente della commissione Salute pubblica e Qualità della vita, con l’interrogazione: “Quale vigilanza sulla casa famiglia degli orrori”, e con la richiesta di una “Formulazione di indirizzi per una più adeguata disciplina delle case famiglia a livello di legge regionale e di regolamento comunale”, promessa dalla Giunta comunale per il settembre successivo, è arrivata in consiglio comunale solo martedì scorso, quando non si conosceva il caso successo il giorno stesso. Ma nel “nuovo” regolamento l’unico punto credibile, esplicitamente caldeggiato dal sottoscritto, è l’obbligo che la segnalazione di avvio di una nuova casa famiglia sia fatta prima che inizi l’attività, e non più entro sei mesi, che però è anche l’unica modifica introdotta nella legge regionale, e già nell’estate scorsa. Il resto è una congerie di declamazioni politiche di principio, magari virtuose, ma inapplicabili o confuse, a volte incomprensibili, che stanno in un regolamento come i cavoli a merenda, a fronte di cui e del muro opposto dalla maggioranza ad ogni mio razionale tentativo di renderle delle norme, hanno obbligato Lista per Ravenna, con la solidarietà dei due soli consiglieri della Lega Nord, a votare contro.
UN CAMBIO DI MARCIA – Mi riprometto di proporre al consiglio comunale una serie di modifiche al regolamento delle case famiglia che introducano norme, controlli e sanzioni seri, effettivi ed efficaci, oggi mancanti, capaci da un lato di far lavorare bene e senza inutili salameccherie amministrative e burocratiche le molte case famiglie “buone”, ingiustamente penalizzate dal discredito che l’imbelle atteggiamento dell’amministrazione pubblica riversa immeritatamente su di loro; ma dall’altro di stroncare quelle “cattive” sul nascere, evitando che debbano farlo i carabinieri o la finanza molto dopo che gli anziani ospiti e gli addetti subiscano angherie, maltrattamenti o anche solo gravi limitazioni alla condizione di benessere che sono la regola prima da far valere nelle case famiglia. La legge nazionale che le ha istituite richiede la presenza di figure parentali che le eleggono a loro famiglia, facendone la propria casa a tutti gli effetti e dove i rapporti interpersonali sono quelli di una famiglia, non già di apparati business che, anche senza assimilarli al “Sistema Roma” delle cronache penali più feroci, producono cartelli aziendali composti, come anche a Ravenna, da una decina di alloggi sparsi ovunque, concentrabili anche in complessi condominiali”.