Per sconfiggere il caporalato, occorre potenziare la rete del lavoro agricolo di qualità, eliminare gli spazi di manovra concessi a chi lucra sul lavoro nero dall’attuale disciplina sull’ingresso degli extracomunitari in Italia e legare i contributi europei al rispetto dei diritti degli occupati in agricoltura. È la posizione della Coldiretti portata dal presidente nazionale Ettore Prandini e dal responsabile lavoro dell’organizzazione Romano Magrini al tavolo convocato al Ministero del Lavoro, alla presenza del ministro Marina Elvira Calderone e del ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, assieme ai sottosegretari all’Interno, Wanda Ferro, e all’Agricoltura, Patrizio Giacomo La Pietra.
Il primo passo non può che essere la modifica delle attuali regole sul decreto flussi che rappresentano uno dei maggiori canali da cui si approvvigiona di manodopera il sistema del caporalato. In tale ottica, è necessario – spiega Coldiretti – il superamento del sistema del “click day” ma anche escludere dalla possibilità di presentare le domande di ingresso ai datori di lavoro che in passato hanno inoltrato le istanze di nullaosta per gli stagionali e poi non hanno assunto il lavoratore. Serve poi un maggiore coinvolgimento delle associazioni di rappresentanza nelle attività di verifica e controllo, l’introduzione di un limite alle richieste che possono essere presentate direttamente dal singolo cittadino e l’esclusione dal regime delle quote per le conversioni dei permessi di soggiorno stagionali in permessi di soggiorno per lavoro subordinato.
Al tempo stesso, serve un sistema di premialità per le imprese virtuose, attualizzando la legge sul caporalato 199/2016, una legge che Coldiretti è stata l’unica organizzazione di rappresentanza a livello nazionale a sostenere fino in fondo, perché ci potesse essere anche in Italia uno strumento in più per poter intervenire in maniera pesante rispetto a chi ha scelto di stare fuori dalla legalità. È necessario riconoscere un vero vantaggio economico/sociale alle imprese che si iscrivono alla rete del lavoro agricolo di qualità, che va completata a livello territoriale dando un ruolo centrale agli Enti bilaterali agricoli, ma anche garantire al lavoratore che denuncia il caporale di sfruttamento un permesso di soggiorno temporaneo per ricerca di occupazione. Bene la recente legge 101/2024 che ha previsto un sistema informativo unico e la costituzione di una banca dati degli appalti in agricoltura che servirà a combattere forme di caporalato che passano attraverso le cooperative e le imprese senza terra. In questo ambito occorre escludere dalla banca dati i contoterzisti che sicuramente per il livello di investimenti fatti non sono a rischio e che peraltro avranno a breve un proprio albo nazionale.
A livello generale, serve far applicare la condizionalità sociale che vincola la concessione dei pagamenti della Pac (Politica agricola comune) al rispetto di norme relative alle condizioni di lavoro e di impiego dei lavoratori agricoli, inclusa la salute e la sicurezza sul lavoro.
Ma per togliere spazi all’illegalità, occorrono anche azioni efficaci sul fronte delle pratiche commerciali sleali, un “caporalato di filiera” che vede oggi la passata di pomodoro essere pagata meno della bottiglia che la contiene, lavorando sui prezzi di produzione da definire in base anche al costo del lavoro. In tale ottica, va approvata la “Legge Caselli” contro i reati agroalimentari, ancora ferma in Parlamento, per rendere più responsabili e trasparenti le filiere. Serve poi garantire l’applicazione del principio di reciprocità sui prodotti importati per evitare che sulle nostre tavole finiscano cibi ottenuti dallo sfruttamento del lavoro, spesso addirittura minorile, anche attraverso la modifica del codice doganale sull’ultima trasformazione dei cibi e l’obbligo dell’origine in etichetta su tutti i prodotti in commercio nella UE, al centro della battaglia lanciata da Coldiretti al Brennero. Occorre infine – conclude Coldiretti – un piano per recuperare gli alloggi agricoli dismessi per ospitare i lavoratori agricoli dipendenti e un rafforzamento del sistema pubblico di trasporto, anche “stagionale”, nelle aree rurali interessate alle grandi raccolte stagionali, per sottrarre ai caporali una delle principali “armi” a disposizione.