Venerdì 17 aprile il sindaco di Bagnara di Romagna Riccardo Francone, insieme agli agenti della Polizia locale e alla responsabile del Servizio famiglia e minori dell’Unione dei Comuni della Bassa Romagna Margherita Dall’Olio, ha visitato il casolare che era la sede operativa per lo sfruttamento di manodopera in diverse aziende agricole dell’Emilia Romagna.
“In questi giorni, il pensiero della orrenda vicenda di caporalato è stato costante – ha dichiarato il sindaco Francone -. Abbiamo raccolto informazioni, contatti e fatto approfondimenti, per quanto possibile ovviamente nel rispetto dell’indagine ancora in corso. Questa visita ci ha permesso di renderci meglio conto dell’attuale condizione, esprimere solidarietà a nome dell’intera comunità bagnarese, conoscere i ragazzi e confermare la nostra presenza per aiutarli nel tornare a condurre una vita dignitosa. Abbiamo inoltre consegnato loro mascherine donate dall’Avis di Bagnara, sufficienti per tutti, con la prospettiva di aggiornarci e incontrarci nuovamente nei prossimi giorni”.
Appena le indagini lo hanno consentito, la situazione è stata presa in carico dai Servizi sociali dell’Unione della Bassa Romagna, in collaborazione con il Centro di solidarietà. Oltre al Comune di Bagnara di Romagna e all’Unione dei Comuni della Bassa Romagna, si sono subito mossi anche la Regione Emilia-Romagna e la Cgil-Flai per assicurare assistenza e difesa alle vittime del caporalato. Per questo alla visita di venerdì erano presenti anche un rappresentante della Cgil e l’avvocato fiduciario Andrea Ronchi di Bologna, che seguiranno le singole situazioni dei 20 ragazzi presenti nel casolare.
I ragazzi, pochi dei quali parlano italiano, si sono mostrati rassicurati e grati per la nuova condizione in cui si trovano, “anche se si legge certamente in loro ancora la sofferenza e il disagio per le vicende trascorse”, racconta il primo cittadino, “e vorrebbero, col lavoro, costruirsi un futuro”.
Il casolare è di 350 metri quadri, con spazi esterni coperti e scoperti, sei camere da letto e due cucine (la casa consta di due appartamenti abitati fino allo scorso autunno dai proprietari). Certamente l’altro numero di domiciliati, uniti alle privazioni cui erano costretti per avidità di guadagno dei caporali (non venivano acquistati neppure i necessari prodotti per la pulizia), avevano reso precarie le condizioni igienico-sanitarie dei lavoratori.
“Ho avuto modo di verificare che, una volta pulito con cura e una volta distribuiti meglio i posti letto utilizzando anche le stanze dei caporali ora in carcere, la situazione abitativa è, anche a giudizio dei residenti cui l’ho espressamente chiesto, adeguata”, ha sottolineato il sindaco Francone.
Il casolare era una sorta di dormitorio, scelto per la sua posizione isolata e poco tracciabile: gli “ospiti” la mattina venivano condotti a lavorare fuori dal territorio di Bagnara (i ragazzi parlano di viaggi medi di un’ora), per tornare solo alla sera. Il numero dei lavoratori ospitati a Bagnara era mediamente da 15 a 20, ultimamente 23, compresi i caporali, con passaggi temporanei di alcuni lavoratori che poi venivano spostati. Solo l’emergenza coronavirus li ha spinti, non essendo nemmeno più minimamente pagati e non lavorando, a prendere i primi contatti, da una decina di giorni, anche con il Comune di Bagnara, che ha subito attivato una verifica con Polizia locale e Carabinieri, oltre ad aiuti alimentari.
“Sono convinto che sia necessario andare a fondo in questa vicenda, non solo per fare giustizia per queste persone sfruttate, ma anche affinché indagine e processo siano da esempio – afferma il sindaco Francone -. Questa terribile vicenda deve farci fare un passo in avanti di equità e civiltà, ma anche di consapevolezza, alzando l’attenzione di tutti e svegliandoci dall’illusione di non essere interessati da simili fenomeni nella nostra Romagna e nel nostro paese”.