Lo scorso mese di giugno, Italia Nostra, tramite l’avvocato Giuliano Picchio del Foro di Perugia, ha presentato un ricorso al Capo dello Stato per opporsi alla demolizione dei capanni balneari storici sancita dal Comune di Ravenna con l’Ordinanza di abbattimento di gennaio 2024.
Ordinanza che non è stata applicata se non da pochi capannisti che hanno frettolosamente eseguito quanto consigliato loro, ovvero di demolire tutto subito pena gravi ripercussioni sul piano penale ed economico.
“L’Ordinanza, che resta tuttora inspiegabile circa le reali motivazioni (Bolkestein? Insofferenza del progetto “Parco Marittimo” rispetto ai capanni storici? Altro?) ha presentato un serie incredibile di aspetti poco chiari: dalla mancanza della Valutazione dell’impatto (VIncA) sulle demolizioni, autorizzate in un periodo in cui i lavori sono vietati nelle aree tutelate dal punto di vista ambientale; privo di un piano della sicurezza e di destinazione dei materiale di risulta con demolizioni a carico dei capannisti stessi che dovevano entrare nel concomitante cantiere del “Parco Marittimo” e, ciò che è più grave, privo di qualsiasi valutazione da parte degli organi competenti (leggasiin primis Soprintendenza) sul fatto che si tratta sia di manufatti di valore storico, sia di elevato valore paesaggistico.
Valutazione che all’oggi ancora non c’è stata, poiché anche la Soprintendenza si è trincerata dietro al motivo che i capanni sarebbero privi di concessione, quindi sorvolando sul dato oggettivo che si tratta di manufatti storici quasi sempre in ottimo stato di conservazione e di altissimo valore paesaggistico, costituendo una caratteristica peculiare del paesaggio costiero ravennate che invece oggi si vuole cancellare”.
“Ci sia permesso il paragone: anche i monumenti antichi probabilmente sono stati realizzati senza licenza edilizia o concessione, ma nessuno pone questo fatto come dubbio sulla loro esistenza. Concessione, che, peraltro, per i capanni era esistente e per cui è sempre stato pagato al Comune quanto dovuto. Senza considerare che molti capanni hanno costituito, nel tempo, un vero e proprio presidio puntuale che ha consentito la conservazione e l’accrescimento delle dune (vi sono numerose prove al riguardo), evitando che potessero venir spianate a favore di nuove concessioni e stabilimenti balneari.
Infine, un aspetto davvero singolare: i capanni sono restati privi di concessione per ben 23 anni. Nel 2014, infatti, fu emesso dal Comune un atto che, in base a quanto a nostra conoscenza, non sarebbe servito come nuova concessione, ma per regolarizzare (si presume retroattivamente) un periodo di concessione “a posteriori”, dal 1° gennaio 1998 al 31 dicembre 2001”.
Il ricorso ora è stato trasposto al TAR e la speranza “è che venga finalmente fatta tutta la necessaria chiarezza affinché questo prezioso patrimonio di cultura e di tradizione, di capanni, di dune e di paesaggio ormai scomparsi in ogni altra parte d’Italia, possa venir protetto e tramandato”.