Udienza conoscitiva sul piano faunistico-venatorio regionale dell’Emilia-Romagna 2018-2023 in commissione Politiche economiche, presieduta da Luciana Serri.
Il piano faunistico venatorio regionale è il principale strumento di programmazione che definisce le linee guida per la gestione della fauna selvatica e la regolamentazione della caccia. Il piano è quindi il mezzo per conseguire una pianificazione razionale del territorio, perseguire gli obiettivi di tutela e conservazione della fauna selvatica, tutelare l’equilibrio ambientale e gli habitat presenti, oltre a prevederne la riqualificazione, e disciplinare l’attività venatoria (prelievo sostenibile). Queste azioni si realizzano attraverso l’articolazione sul territorio di comprensori omogenei, la localizzazione e l’estensione degli istituti faunistici, la disciplina degli appostamenti fissi di caccia, i criteri per la determinazione del risarcimento dei danni causati dalla fauna alle attività agricole e quelli per l’incentivazione degli interventi di miglioramento ambientale.
L’assessora all’Agricoltura, caccia e pesca, Simona Caselli, ha ribadito che “il piano è il risultato di un anno e mezzo di concertazione con le associazioni”.
Diversi gli interventi dai rappresentanti delle associazioni.
Per Lorenzo Bruschi del Wwf Emilia-Romagna “doveva essere un documento innovativo e attento alla tutela, così non è stato”. Poco è stato fatto, ha evidenziato, “per diminuire la pressione venatoria sulla fauna migratoria”. Il relatore ha lamentato anche “una riduzione delle aree protette”. Inoltre, ha poi sottolineato, “nel piano non è stato affrontato il tema della vigilanza del territorio”. Sui danni causati da ungulati, infine, ha chiesto l’applicazione, in agricoltura, di sistemi dissuasivi.
Piero Peri di Agrinsieme Emilia-Romagna ha parlato di “problemi che in agricoltura, negli ultimi anni, si sono aggravati, per l’aumento della fauna selvatica e per la continua diminuzione di cacciatori”.
Lilia Casali, presidente dell’associazione Animal liberation, ha dichiarato che “più si spara agli ungulati, più aumentano”. Occorre, ha quindi rimarcato, “adottare strategie diverse”.
La responsabile delle Ggev Reggio Emilia, Maria Luisa Borettini, ha lamentato problemi nella gestione e nell’organizzazione dell’attività sul territorio. Ha poi chiesto l’attivazione di un tavolo per affrontare il tema della vigilanza, “rivedendo anche i numeri della polizia provinciale”.
Stefano Merighi, presidente regionale Federcaccia, ha parlato di due punti centrali: la soglia del danno da cinghiale troppo bassa e il rischio che in certe aree si concentri l’attività privata.
Roberto Fabbri di Libera caccia ha parlato del confronto con le associazioni, “il cacciatore diventa una figura importante dell’attivismo gestionale dell’ambiente”. Ha poi affrontato il tema della riduzione degli ungulati: “Una parte del mondo venatorio si è dedicato alla gestione di questi animali, abbandonando, e questo è positivo, la fauna migratoria”.
Dario Pirazzi, dell’Unione generale coltivatori Cisl regionale, sugli ambiti protetti ha chiesto una gestione migliore, per ridurre i danni da animali selvatici. Sui controlli, ha poi dichiarato: “Vanno responsabilizzati gli Atc”.
Annalisa Amadori, responsabile Lav Bologna, ha criticato la riduzione delle tutele alla fauna migratoria, ribadendo, inoltre, la necessità di affrontare nel piano il tema della vigilanza. In questo piano, ha quindi evidenziato la relatrice, “non c’è nulla di innovativo”. Ha chiesto, inoltre, l’attivazione di sistemi alternativi alle uccisioni, “è una gestione fallimentare, va cambiata”.
Luigi Parisini del consiglio direttivo Lav ha chiesto maggiori tutele per il lupo.
Silvano Toso, presidente dell’Ente produttori selvaggina, ha parlato degli accordi con gli agricoltori: adempimenti che “sgravano l’ente pubblico, anche dal punto di vista economico”. Negli ultimi anni, ha poi evidenziato, “il numero dei cacciatori è diminuito di oltre il 25 per cento”.