Fin dalla sua approvazione del 29 ottobre 2016, la legge sul Capolarato, contenente “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”, ha subito attacchi da più fronti. Ultimi in ordine di tempo, quelli che arrivano da importanti esponenti del governo giallo-verde. “Se la legge sul caporalato è così bella ed efficace perché esiste ancora il caporalato?”, si chiede il ministro per le Politiche agricole Gian Marco Centinaio. Una legge che “invece di semplificare, complica” secondo il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini.
La Flai Cgil, in collaborazione con l’ufficio studi della Camera del lavoro di Ravenna, ha valutato l’impatto sul mercato del lavoro agricolo che questo provvedimento (conosciuto anche come Legge 199) ha avuto nel primo anno di applicazione in provincia di Ravenna. A fronte di superfici agricole e produzioni che nel 2017 toccano i livelli più bassi fatti registrare dal 2012, il numero di giornate complessivamente lavorate nelle aziende agricole private è in costante aumento.
Se nel 2016 le giornate complessive erano state 678.599 (per una produzione di oltre 17 milioni di quintali), nel 2017 a fronte di “soli” 14,5 milioni di quintali sono state necessarie 729.146 giornate, senza che siano avvenute grosse variazioni di piani colturali (ovviamente la frutticoltura necessita di molta più manodopera rispetto, ad esempio, alla cerealicoltura). L’aumento di giornate di lavoro è aumentato, nonostante il calo della superficie agricola: passata dai 108.282 ettari del 2016 ai 98.235 ettari del 2017.
“Sembra quindi azzardato affermare che la legge 199 imponga insopportabili “lacci e lacciuoli” alle aziende oneste – commenta il segretario della Flai Cgil di Ravenna, Raffaele Vicidomini -. Al contrario i dati fanno emergere l’effetto deterrente della Legge 199, non solo per le aziende che si affidano ai caporali, fenomeno radicato anche nel nostro territorio come dimostrano le recenti inchieste della magistratura, ma anche per tutto quel segmento di imprese agricole che tendono, più o meno frequentemente, a rivolgersi al mercato del lavoro grigio e nero. Andando a danneggiare tante aziende che operano nel rispetto della legge e dei contratti”.
Il progetto “Ancora in campo”
In provincia prosegue il progetto “Ancora in campo” che la Flai Cgil di Ravenna, assieme al coordinamento Immigrati della categoria, sta facendo vivere nelle campagne. Dallo scorso luglio incontriamo i lavoratori in campagna, nel loro luogo di lavoro, soprattutto per informarli sui diritti e sulla corretta applicazione dei contratti nazionali e provinciali. Non siamo poliziotti e non ci sostituiamo alle autorità competenti. Semplicemente esercitiamo quello che riteniamo essere il ruolo del sindacato: informare e organizzare i lavoratori, specie quelli socialmente più deboli e che, potenzialmente, operano in contesti e in condizioni al limite della regolarità o del tutto irregolari. Fino ad oggi, l’accoglienza da parte degli imprenditori agricoli, ai quali ci presentiamo senza preavviso chiedendo di poter parlare con i loro dipendenti, è stato (tranne qualche sgradevole eccezione) abbastanza collaborativo. Abbiamo visitato alcune aziende del territorio di Massa Lombarda, di Conselice, di Savarna, S.Alberto, della zona del Cervese e tante altre abbiamo in programma di visitarle. Abbiamo contattato decine di lavoratori che hanno apprezzato l’iniziativa, informandoli sui loro diritti normativi ed economici. L’iniziativa continuerà anche nei prossimi mesi. Allo slogan ruffiano e strumentale di chi grida “Prima gli italiani!”, contrapponiamo “Prima gli sfruttati!”, nella certezza che sia più inclusivo, vitale per la difesa dell’economia e del “Made in Italy” e soprattutto coerente con la storia della Flai e della Cgil.
“Altro obbiettivo del progetto è difendere l’egregio lavoro che ha portato finalmente alla definizione della legge 199/16 contro sfruttamento del lavoro e Caporalato – conclude Vicidomini -. La legge, a oggi ancora attuata non integralmente e solo in merito alla parte repressiva, che va difesa soprattutto dalle fake news diffuse da chi non ha a cuore gli interessi dei lavoratori, siano essi di origine straniera o italiani”.