Il giudice del tribunale civile di Ravenna Alessia Vicini ha condannato la clinica ravennate Domus Nova e due medici della struttura a risarcire con oltre 700mila euro, accogliendo la richiesta della difesa dei familiari di una donna, morta a 81 anni, l’11 maggio 2018.
Nel valutare il danno non patrimoniale il giudice ha concordato con l’esito della consulenza tecnica d’ufficio: sussiste il nesso causale tra l’errata ed eccessiva somministrazione di un farmaco, che ha provocato gravi effetti collaterali e la morte dell’anziana.
Alla donna, ricoverata nella clinica, è stata infatti somministrata quotidianamente la dose del medicinale che doveva invece assumere in una settimana: questo, aveva stabilito la consulenza, ha agito come causa scatenante dell’alterazione di un equilibrio clinico-funzionale della paziente, innescando una cascata di eventi che ha portato al decesso e riducendo pesantemente le possibilità di sopravvivenza. I familiari della donna sono difesi dagli avvocati Chiara Rinaldi e Maria Federica Celatti. La clinica è assistita dall’avvocato Donatella Dalmonte, i due medici dall’avvocata Francesca Giardini.
Sul piano penale i due medici, difesi dall’avvocato Giovanni Scudellari, sono stati condannati a novembre, uno a otto mesi, l’altro a sei mesi e una terza dottoressa, che ha chiuso il procedimento civile con una transazione, è stata rinviata a giudizio.
ll Gup Andrea Galanti nella motivazione della sentenza sottolinea come “l’evento di danno” è concretamente derivato “sotto il profilo della concatenazione causale dall’inazione degli imputati”. Segnala inoltre il “grossolano errore” nella predisposizione del piano terapeutico, già evidenziato dalla perizia medico-legale, quindi le omissioni e il ritardo della diagnosi da parte di chi ha avuto in cura la donna, cioé i due imputati. Inoltre il giudice ritiene siano da valutare responsabilità anche del primario del reparto e di personale infermieristico e per questo ha rimandato gli atti alla Procura: il primario non avrebbe mai visitato la paziente, né preso posizione sul trattamento terapeutico e anche gli infermieri avrebbero contribuito a causare la morte della paziente, con imperizia e negligenza “nel mai segnalare ai medici curanti, ancor più miopi, la clamorosa erroneità del piano terapeutico”.