“Accademia di Belle Arti e Istituto musicale Verdi arrivano in centro storico, nuova sede in piazza Kennedy di oltre duemila metri quadrati”. Letto come titolo di un comunicato dell’ufficio stampa del Comune è per lo meno ingannevole. Accademia e Verdi resteranno infatti a lungo nelle loro “vecchie” case: la prima, notoriamente fuori posto, disdicevole e scomoda, in via delle Industrie, in un contesto tutt’altro che bello e artistico; la seconda, anch’essa con problemi cronici, in via di Roma, quindi già in centro storico. Bisogna leggere il chilometrico panegirico dato alla stampa per dedurne che quella nuova sarà solo la “sede di rappresentanza” delle due istituzioni, dove non saranno collocate le loro attività formative identitarie, lasciate dov’erano, bensì alcune attività in condivisione: la direzione amministrativa, alcuni insegnamenti comuni (inglese, informatica, ad esempio) e i servizi per il diritto allo studio, la promozione e l’orientamento, fruendo anche di un cortile interno di 460 metri quadrati. Certamente un passo in avanti, logicamente accettato con soddisfazione dagli istituti beneficiati, fino a prima maltrattati, rinviando però per almeno 12 anni l’ambizioso obiettivo, condiviso da maggioranza ed opposizione, di un vero unico Politecnico delle Arti in cui raccogliere interamente l’Accademia e il Verdi federati.
Fin da quando la Giunta De Pascale decise solitariamente, lanciando il bando, di perseguire questa soluzione, Lista per Ravenna non ha cantato nel coro, ritenendo che, rispetto a tre sedi sparpagliate per due istituzioni, si dovessero dedicare da subito le energie politiche e le ingenti risorse di denaro di cui il Comune dispone largamente verso un Politecnico vero. Comprare un affitto è un modo facile per strappare applausi in campagna elettorale. Governare una città verso un futuro almeno prossimo è più impegnativo, di cui Ravenna ha però un enorme bisogno.
L’affare maggiore l’ha fatto la banca del Monte dei Paschi di Siena, la quale, chiusa nel 2018 la filiale di piazza Kennedy angolo Garatoni, senza apparentemente sapere che farsene in un centro storico pieno di “affittasi”, è stata di lì a poco beneficiata dal Comune con un contratto di locazione di 12 anni, prorogabile di altri 6, al prezzo di 168 mila euro l’anno. Due o tre milioni in tutto, quanti ne servirebbero per un’opera in proprietà. Certo, c’è stata una gara pubblica, nella quale però non poteva correre nessun altro concorrente, essendosi richiesto, più unico che raro, un immobile “all’interno del Centro Storico del Capoluogo”, di almeno 1.500 metri quadrati, “disponibile immediatamente” e con “agevole fruibilità di aree parcheggio”. L’offerta presentata non avrebbe neanche rispettato tutte le regole senza una “giuria” per lo meno bendisposta (su cui sorvoliamo, pronti però a discuterne), come dimostra il fatto che il bando è andato lungo un anno, con lavori di adattamento ancora tutti da farsi. L’ex filiale bancaria non è peraltro un edificio così “prestigioso” come è stato osannato. Legittimo dunque che, in una repubblica democratica, sottoposta peraltro ad una feroce crisi pandemico/economica, qualcuno possa chiedersi se il gioco valga la candela, libero ogni altro di cantare nel coro.