Il disastro ambientale e l’omicidio colposo, oggetto dell’indagine penale avviata dalla Procura della Repubblica di Ravenna sul crollo parziale della diga di San Bartolo sul fiume Ronco, mi aveva subito richiamato alla mente una mia personale “indagine” amministrativa compiuta due anni fa, della quale diedi ampia informazione pubblica. Si trattava della nuova centrale idroelettrica di Mensa Matellica, entrata in funzione nell’agosto 2015, la quale aveva subito prodotto un processo di erosione delle sponde del fiume Savio, nei tre chilometri a monte del paese, che via via aveva assunto forme sempre più preoccupanti, fino a sfociare in un vero e proprio dissesto idrogeologico. Scrissi allora: “Le sponde sono progressivamente franate, abbattendo terreni agricoli privati per oltre dieci metri, fin quasi ad arrivare al alcune case, e non accennando a rallentare. La loro forma si è verticalizzata, con altezze anche di sei metri, ponendosi a strapiombo col residuo suolo agricolo, sul quale, d’altra parte, l’uso dei mezzi agricoli è ad alto grado di insicurezza dato il rischio di franamento del terreno sabbioso-argilloso. Il sommovimento franoso ha trascinato nel fiume alberi di prima grandezza quali salici, pioppi e ontani, nonché specie arbustive che assolvono le vitali funzioni idrogeologica e di trattenimento del suolo attraverso gli apparati radicali. L’alveo del fiume si è ridotto notevolmente, con minaccia di ostruzione, causa gli alberi precipitati per franamento della sponda. Ne deriva un pregiudizio idraulico a danno della sicurezza pubblica”.
Avendo la Procura della Repubblica sottoposto ad indagine l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) rilasciata dalla Provincia per la realizzazione della centrale, mi limitai a lanciare l’allarme, affinché fosse evitato il peggio. Mentre avevo già acquisito dal servizio Ambiente del Comune copia di tutti gli atti dei procedimenti autorizzativi di tale impianto, altrettanto avevo però fatto sull’altra nuova centrale, ancora in fase istruttoria, di San Bartolo, appunto quella che avrebbe dovuto ricevere il collaudo finale il giorno stesso in cui è parzialmente crollata. Le due centrali sono state costruite dalla stessa impresa di Forlì, tre esponenti della quale figurano tra gli indagati per la tragedia di giovedì scorso.
La causa fondamentale del fenomeno erosivo verificatosi a Mensa Matellica consisteva nella messa in funzione delle paratoie per la produzione di energia elettrica. Avendo creato a monte un innalzamento del livello idrico di almeno due metri, esse facevano sì che il terreno sabbioso di sponda, già per natura vulnerabile, si imbevesse dell’acqua del fiume tendendo a franare nell’alveo con tutta la vegetazione. Nel caso poi di una piena, che innalzava viepiù il livello del fiume a monte di Mensa Matellica, i conduttori della centrale erano costretti ad aprire le paratoie facendolo bruscamente scendere anche oltre due metri in poche ore, con effetto molto dirompente su notevoli porzioni delle scarpate.
Le indagini di allora dovettero concentrarsi sugli effetti ambientali posteriori alla costruzione della centrale, probabilmente trascurati. Ma per quella di San Bartolo, si sarebbe dunque dovuto, come chiesi esplicitamente, “porre una lente di ingrandimento sull’istruttoria autorizzativa”, oltreché poi sui lavori di costruzione.
Anche stavolta è dovuta intervenire la magistratura penale ad accertare il malfatto, a danni, e purtroppo anche tragedia, avvenuti.
La riflessione amara è che l’amministrazione pubblica dovrebbe far sì, specialmente quando i campanelli di allarme vengono suonati per tempo, che i malfatti non avvengano.