È notizia di ieri, che le Confindustria di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini sono diventate un’unica Confindustria Romagna, che raggruppa oltre mille imprese del territorio, con 50 mila dipendenti e un fatturato di 25 miliardi di euro. L’altra notizia è che oggi il consiglio dei ministri dovrebbe decidere la sorte della camera di commercio di Ravenna, su cui c’è invece molto da temere per l’economia e i posti di lavoro della nostro territorio.
Essendo tuttora in corso la riforma di legge del 2015 per la “riduzione del numero delle Camere di Commercio mediante accorpamento e razionalizzazione delle sedi e del personale”, il consiglio dei ministri ha infatti ancora sul tavolo la sciagurata proposta di accorpare innaturalmente le camere di commercio di Ravenna e Ferrara. Sostenuta soprattutto dal PD ravennate per questione di poltrone, Lista per Ravenna la contesta da sempre chiedendo invece di unificare le camere di commercio della Romagna: cioè di quell’Area Vasta che la Regione ha già riconosciuto per la sanità con l’AUSL e per i trasporti pubblici con START, come la più idonea e attrezzata per raggruppare territori omogenei sul piano socio-economico, storico e culturale.
Nel gennaio scorso, dopoché Ferrara aveva detto no, ai piedi dell’altare, a “sposare” la propria Camera di commercio con quella di Ravenna, la Regione stessa ha dovuto fare marcia indietro. Ma questo 3 dicembre il PD ravennate, su iniziativa del suo segretario provinciale Barattoni, ha fatto approvare da tutto il consiglio comunale, contraria solo Lista per Ravenna, un ordine del giorno che chiede di mantenere com’è la piccola e impotente camera di commercio di Ravenna, smentendo il senso stesso di una riforma voluta da questo stesso partito a livello parlamentare. Sole giustificazioni non voler condividere con le altre province romagnole un pacchetto di poltrone remunerate e continuare a spendere i soldi versati dalle imprese ravennati all’attuale loro camera di commercio (4 milioni e mezzo nel 2019, di cui solo 1 e mezzo spesi nella promozione delle loro attività) per gli interessi politici di chi fino ad oggi ha governato la nostra provincia (come i 3 milioni versati al Comune di Ravenna per un palazzetto dello sport bis nel Pala de André). Intanto il numero delle imprese ravennati continua anno per anno a diminuire, avendo raggiunto il minimo storico di 38.722 (-2.012 rispetto al 2014), nonostante sia in crescita il trend nazionale.
Il nuovo presidente di Confindustria Romagna ha detto ieri: “La fusione con la Romagna andava fatta perché abbiamo bisogno di maggiore rappresentatività, servizi più rapidi ed efficaci, una struttura più ampia e organizzata”. Nel segno dell’Area Vasta, la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa ha costituito già dal 2016 “Cna Romagna Servizi”. Altre piccole e medie imprese sono accorpate in Confimi Industria Romagna. Il consiglio provinciale di Ravenna si è più volte espresso unanimemente per ogni possibile fusione di Area Vasta romagnola. Tutti i sindaci della provincia di Forlì-Cesena hanno sollecitato un accordo tra le camere di commercio in questa direzione. Si deve quindi sperare che il governo nazionale non pensi più agli interessi di Botteghe Oscure, come quelli che a Ravenna resistono contro la storia.