Il 4 luglio scorso, l’amministrazione comunale ha comunicato enfaticamente alla stampa che nel primo semestre 2019 il MAR, Museo d’Arte di Ravenna, ha registrato 27.417 ingressi complessivi, di cui 14.689 alle tre mostre fotografiche, compresa quella di Oliviero Toscani. Considerate le presenze alle mostre di Palazzo Rasponi (8.798) e della biblioteca Classense (“circa 5.000”), non si è nascosta la soddisfazione per “un totale di oltre 40.000 presenze alle mostre”. Al di là dei giochi di carte, si deve invece sapere, scoperchiato il trucco, che questi dati non hanno niente di cui la cittadinanza possa godere.
Teniamo fuori, per essere seri, le mostre di Palazzo Rasponi e Classense, le cui presenze, essendo totalmente gratuite, non sono dimostrabili. Oltretutto, ogni singola persona può aver visto tutte le varie mostre allestite, anche più volte ciascuna, contribuendo ogni volta a gonfiarne il decantato totale: mostre pagate al cento per cento dai cittadini, a prescindere da quanti ne godano. Dalle 27.417 presenze del MAR bisogna detrarre, perché non passano dalla biglietteria del MAR, 4.180 “ingressi mostre dei bambini”, in sostanza scolaresche, e 1.974 (contati peraltro a mano) ad “eventi della Sala Martini”, cioè conferenze, presentazione di libri, incontri di vario genere, non mostre d’arte.
Dimodoché la biglietteria del MAR ha potuto registrare solo i seguenti due dati certi: “ingressi interi: 2.007; incasso: € 12.634”, pari ad un prezzo di biglietto medio di € 6,3, meno che nei cinema di periferia; “ingressi omaggio: 8.665”. Sfido chiunque a trovare, tra i 4.158 musei d’Italia, uno solo in cui il rapporto tra visitatori paganti il prezzo intero e visitatori gratis sia così devastante. Si aggiunge la farsa degli “ingressi ridotti (compreso ingresso con visita guidata e aperitivo): 10.491; incasso: € 56.782”, dove non si capisce quanti di questi soldi “incassati” corrispondano alle spese pagate dal MAR per le visite guidate (€ 37,25 ciascuna) e per gli aperitivi (€ 5,50 a persona).
Quella che si racconta ai cittadini sul nuovo corso politico del MAR voluto appassionatamente dall’odierno governo della città è dunque la favola della rana che, per somigliare al bue, si gonfia a dismisura fino a scoppiare. Talché la morale scritta da Fedro è che “quando gli uomini piccoli vogliono imitare i grandi, finiscono male”. Ogni confronto col vecchio eroico corso del MAR, classificato da tutte le graduatorie tra i primi dieci musei d’Italia per qualità e importanza, sarebbe impietoso. Basterebbe chiedere in Regione e all’Istituto dei Beni Culturali dell’Emilia-Romagna come gli attuali reggitori della cultura ravennate siano giudicati dai loro stessi compagni di partito.
Ai cittadini ravennati interessa però sapere che mentre, nei suoi ultimi e più gloriosi cinque anni, conclusi nel 2016, il vecchio MAR non ha ricevuto un euro dal Comune di Ravenna, i soldi pagati al nuovo corso dal Comune stesso tra il 2017 e il 2018 o da pagare nel 2019 assommano ad oltre 1,2 milioni. Né c’è speranza che vada meglio nel secondo semestre di quest’anno, giacché l’Istituzione, prevedendo nel bilancio del 2019 una diminuzione delle entrate rispetto a quelle pur magrissime del 2018, si giustifica col fatto che in questo periodo ricade la Biennale sul Mosaico, strepitosa macchina mangiasoldi, che non richiama utenti disposti a versarne qualcuno.