La chiusura delle scuole e dei centri sociali a causa del coronavirus ha prodotto disagi generalizzati nelle famiglie, ma ha creato situazioni spesso insostenibili laddove la lunga costrizione in casa si è abbattuta sui soggetti con disabilità il cui progetto di relazioni e di integrazione sociale è sostenuto dalla figura degli educatori.
Nel Comune di Ravenna il disagio si riflette sulla fitta serie di servizi che, finanziati dal Fondo sociale e dal Fondo per la non autosufficienza, accolgono complessivamente circa 374 soggetti, minori e no, certificati dalla legge quadro 104 del 1992, “per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone diversamente abili”. Un’ottantina di questi frequentano le scuole. 67 sono inseriti nei sette centri diurni socio-riabilitativi, 216 nei sedici centri diurni socio-occupazionali, 11 nei due nuclei aziendali.
Si possono calcolare in almeno 180 gli educatori che lavorano in questi servizi. Nonostante svolgano un’attività specialistica complessa, che di norma richiede il possesso di una laurea, non hanno un rapporto di lavoro con il Comune, bensì con delle cooperative private, che significa essere sottopagati ed avere pochi diritti. Stando a casa da sei settimane, non ricevono lo stipendio, come invece i dipendenti comunali dell’Istruzione e del Servizio sociale loro colleghi, essendo invece pagati con il Fondo d’Integrazione Salariale (FIS) per tre quarti dello stipendio, con un massimo di 938 euro. Questa situazione è ingiusta nei loro confronti, ma ne risente negativamente il progetto educativo di cui sono il punto di riferimento essenziale,
Perché il lavoro agile, consente di rimetterli in servizio la direttiva ministeriale della Funzione pubblica n. 2 del 12 marzo 2020, la quale stabilisce che, durante l’emergenza coronavirus, il “Lavoro Agile” (o “Smart Working”) sia la forma organizzativa ordinaria per le pubbliche amministrazioni. Si tratta di lavoro eseguito in totale autonomia di orari e luoghi di svolgimento delle prestazioni, organizzato per obiettivi, fasi e cicli. Lo favorisce la disponibilità di strumenti quali computer, tablet e smartphone. Applicandolo agli educatori ex legge 104 non si pone all’amministrazione comunale alcun problema di cassa, perché può utilizzare i fondi che ha già stanziato a bilancio per questi servizi, come previsto nel contratto d’appalto con le cooperative e come ora prevede il decreto “Cura Italia”, liberando così risorse del FIS per i molti settori lavorativi che non hanno altre possibilità. Serve solo un accordo tra il Comune e, per conto degli educatori, le cooperative datrici di lavoro, con cui definire i termini e le condizioni delle prestazioni. Per i bambini con disabilità, lo imporrebbe peraltro l’art. 23 della Convenzione di New York del 1989, ratificata dalla legge italiana (https://www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/Legge%20176%20del%201991.htm).
Gli educatori hanno offerto disponibilità per un programma educativo da attivare a distanza, svolgendo videochiamate, videoregistrazioni, video dimostrazioni di attività fattibili per gli utenti, ecc., tessendo relazioni di cura, sostegno, mediazione e rete tra i diversi enti in campo e le famiglie, integrando il loro lavoro con corsi di formazione ed ore di programmazione e di confronto con i servizi: attività che ora sono tanto più utili e necessarie dato il mese e mezzo di interruzione del loro rapporto di lavoro e del progetto che hanno in carico.
La domanda che, sulla base di quanto sopra esposto, rivolgo dunque al sindaco è di conoscere a che punto i settori dell’Istruzione e del Servizio sociale, dietro indirizzo dell’Amministrazione, siano pervenuti nella prospettiva di applicare, ora con urgenza, il lavoro agile agli educatori in attività nelle scuole e nei centri diurni.