È mancato solo il taglio del nastro. Non certo le dichiarazioni trionfanti del presidente e dell’ assessore all’Ambiente della Regione e del sindaco/presidente della Provincia di Ravenna sugli “oltre 3,5 milioni” spesi bene. Ai festeggiamenti per la riapertura della Ravegnana dopo “appena” dieci mesi dal crollo della diga di San Bartolo sul fiume Ronco, mi associo solo con un sospiro di sollievo. Ringrazio sentitamente i dirigenti, i tecnici, le maestranze e la protezione civile che hanno operato al meglio e al massimo delle loro energie, celebrando con commozione la memoria dell’ing. Danilo Zavatta, caduto sul posto nell’esercizio del dovere. Vorrei però che non calasse il silenzio sulle molte altre risposte che gli enti di parte pubblica responsabili di questa vicenda, per l’appunto il Comune, la Provincia e la Regione, in particolare attraverso ASTPC, agenzia per la Sicurezza Territoriale, e ARPAE, agenzia per l’Ambiente, devono dare alla cittadinanza. La prima risposta che chiedo, tra numerose, discende dai fatti seguenti.
Gli sviluppi più recenti della maxi inchiesta giudiziaria hanno posto sotto accusa non più soltanto le otto persone dell’imprenditoria privata indagate per i possibili difetti della centrale idroelettrica costruita sul Ronco, che avrebbero procurato il crollo della diga. La voluminosa relazione tecnica prodotta dai consulenti della Procura solleva infatti responsabilità della parte pubblica, sia sull’approvazione del progetto definitivo dell’opera, causa “totale mancanza di studi su compatibilità idraulica”, sia sul rilascio della concessione idraulica e dell’autorizzazione unica, che avrebbero avuto necessità di “una supervisione delle opere”, sia sul visto finale al progetto esecutivo che “non avrebbe dovuto essere rilasciato” non essendo state “approfondite le problematiche di compatibilità idraulica e geotecnica”. Nel frattempo, a seguito del disastro avvenuto ed essendo venuti meno i parametri minimi di sicurezza della centrale idroelettrica, è stata disposta la decadenza della concessione e del nulla osta idraulico rilasciati alla ditta di Forlì che ne è titolare.
La stessa ditta aveva però già costruito un’altra centrale idroelettrica a Mensa Matellica, sul fiume Savio. Sottoposta di lì a poco ad un procedimento penale, ora giunto a conclusione, stavolta per lesioni colpose, tra pochi giorni scatterà su tale centrale, a seguito dei fatti di San Bartolo, un’analoga decadenza della concessione. Il 30 maggio 2016 fu Lista per Ravenna a lanciare pubblicamente il seguente allarme: “Fin dal mese di agosto 2015, quando la centrale di Mensa Matellica entrò in funzione, si avviò un processo di erosione delle sponde fluviali nel tratto di circa tre chilometri a monte del paese. Questo fenomeno ha via via assunto forme sempre più preoccupanti, fino a sfociare in un vera e propria calamità ambientale” . Diedi al mio comunicato, rintracciabile facilmente on line, questo titolo inascoltato: “Nuova centrale idroelettrica in Procura. Dissesto idrogeologico a Mensa Matellica. Attenzione ad altra centrale da costruire a San Bartolo”.
Non sono per niente fiero di avere annunciato un disastro. Ed è giusto che su questi molteplici avvenimenti l’amministrazione pubblica aspetti i pronunciamenti definitivi della magistratura. Ma non con le mani in mano, e non solo per mettere delle pezze a dei danni rivendicando applausi. Le procedure che hanno consentito di avviare, completare e dar corso a queste opere idrauliche di tanto impatto e complessità vanno messe sotto la lente d’ingrandimento per individuarne pecche ed omissioni e procedere quindi ad una loro organica revisione. Dopo i casi di Mensa Matellica e San Bartolo non deve essercene un terzo. Michele De Pascale, sindaco e presidente della Provincia, ha i titoli per assumere un ruolo di iniziativa e di coordinamento perché sia costituita una commissione tecnica qualificata, rappresentativa degli enti e delle agenzie di parte pubblica competenti in materia, anche statali (ad esempio la Forestale), da incaricare allo scopo.
Gli chiedo dunque se intende, responsabilmente, farsene carico. Un protocollo d’intesa che ne sigillasse proficuamente il lavoro sarebbe una risposta giusta ai cittadini che chiedono garanzie di sicurezza per il loro territorio, non solo accomodature dei dissesti ambientali da 3,5 milioni.