“Il “record storico” del 2022 per le tonnellate di merci movimentate nel porto di Ravenna, il secondo consecutivo esibito dall’Autorità Portuale di Ravenna, è sicuramente un risultato positivo, di cui bisogna ringraziare gli operatori portuali (case di spedizioni e agenzie marittime), che hanno lavorato molto, con intensità e profitto, a favore del nostro scalo. Che questo sia merito del “porto che stiamo costruendo”, cioè il progetto  “Hub portuale”, capace “di rappresentare al meglio proprio questo valore aggiunto della comunità portuale ravennate e […] di raggiungere traguardi ancora più sfidanti nei prossimi anni”, è invece tutto da dimostrare. Intanto, sono estranei ai vagheggiati successi del futuro porto traghetti, con “l’ottimo risultato della linea Ravenna–Brindisi–Catania”, e i 193.120 passeggeri delle crociere, che non sono neanche merce, tanto meno del “nuovo porto”. Ma soprattutto remano in direzione contraria i cantieri destinati a scavare dai fondali, e poi a trattare e a movimentare, una montagna di fanghi, indicata approssimativamente in 13 milioni di tonnellate tra la Fase 1, sostenuta da sempre in Consiglio comunale da Lista per Ravenna, che porterà il pescaggio del porto-canale dagli attuali 10 metri a 12,5, e la Fase 2, che lo porterebbe, senza che il Consiglio comunale ne sappia niente, a 14,50.

 

MAXI NUOVO TERMINAL CONTAINER

In effetti, alla “comunità” che lavora nel porto e a vantaggio del porto non per ragioni di potere politico, appare incomprensibile che, in aggiunta ai 235 milioni di soldi pubblici della Fase 1, si voglia, per la Fase 2, gettarne altri 165 nel Candiano, addirittura anche in mare aperto, dovendosi scavarvi, per 17 chilometri fuori dell’imboccatura del porto, un canale profondo 14,5 metri, almeno finché il mare non se lo inghiotta. Scopo pressoché esclusivo di questa Fase aggiunta è infatti la costruzione di un nuovo maxi terminal container di 360.000 metri quadrati nell’area Trattaroli Destra, a diretto beneficio non del porto, ma della Sapir, che ne è proprietaria. Ai 165 milioni dell’Unione Europea a debito dell’Italia vanno peraltro aggiunti un chilometro di nuova banchina per il terminal, pagato coi soldi della Fase 1, e l’investimento a carico della Sapir stessa che, essendo per la massima parte di proprietà pubblica, impiega in proporzione soldi dei cittadini. Il traguardo dichiarato è che il nuovo terminal sappia “movimentare 500 mila unità di TEU” (cioè container). Quando la Sapir partorì la mitica società pubblico-privata TCR (Terminal Container Ravenna), l’obiettivo era di raggiungere rapidamente i 300 mila TEU, quanti ne può contenere il vecchio terminal San Vitale. Negli oltre 15 anni da allora, ne siamo rimasti sempre lontani. Nel 2021 e 2022, suddetti anni record del porto di Ravenna, i TEU sono stati rispettivamente 212.926 e 228.435. Tuttavia, come dimostra il grafico allegato, si è sempre veleggiato, più o meno, intorno ai 200.000. Le cifre degli ultimi due anni sono inferiori a quelle raggiunte svariate volte in passato, particolarmente nel 2015 e nel 2016.

OPERA INUTILE E FORSE DANNOSA

Dove sono dunque i grandi numeri prospettati per la Fase 2 dell’Hub portuale? Si tenta forse di portare al nuovo maxi terminal le due grosse compagnie che ne sono rimaste fuori, cioè Evergreen e Tarros? Perché allora non si è partecipato attivamente alla vendita del Gruppo Setramar dei Poggiali, acquistato invece da una finanziaria americana? Quali sono gli affari non detti? E comunque, come si pensa che le grandi navi larghe 400 metri, a cui servirebbero i fondali da 14,50 metri, possano entrare dall’imboccatura assai più stretta del porto? Se casomai entrassero, come potrebbero superare la ‘curva’ di Marina? E potrebbero forse uscirne in retromarcia? L’Autorità Portuale stessa dichiarò il 9 dicembre 2012: “Le navi container da 400 metri qui, per la conformazione del nostro porto, non arriveranno. Abbiamo fatto delle simulazioni e al massimo possono arrivare quelle di 300-330 metri”. E il Comandante del Porto, il 19 ottobre 2012: “Il dragaggio potrà aumentare il pescaggio, ma le imbarcazioni non potranno mai superare i limiti oggettivi di questo porto”.

Un dragaggio a 14,50 metri andrebbe dunque ad incidere unicamente come costo enorme per le casse pubbliche, senza alcuno sviluppo del porto, se non per la SAPIR, società più di politica che d’impresa, e per pochi altri del giro. La “comunità portuale”, scettica sui nuovi record storici attribuiti al progetto di un siffatto nuovo porto, si chiede perché non possa beneficiare di tanti soldi estratti da fondi pubblici, anziché sprecarli in un’opera inutile e forse dannosa.”