Il pubblico, attento e composto, che ha risposto alla “chiamata alle urne” del Comune di Ravenna per scegliere il logo della nostra città nel prossimo centenario dantesco non meritava uno spettacolo così deludente. Ne ho raccolto di persona molti sconforti e qualche sdegno. Sono tra coloro, non pochi, che sono usciti senza neppure votare. Quelli che hanno accettato il prendere o lasciare sono stati 291, un numero – raggiunto peraltro grazie alla concomitanza con la “chiamata pubblica” per la messa in scena del Purgatorio nella Divina Commedia di Ravenna Teatro – tale da smentire che sia stato il popolo di Ravenna “a scegliere – come ha scritto il Comune – l’immagine e la frase più significativi e capaci di trasmettere l’insieme dei valori, delle attività e degli spazi che concorrono al programma delle celebrazioni dantesche nel 2020 e 2021”. Altri, se mai, sarebbero stati i modi con cui far pronunciare significativamente la città, a partire dallo strumento, pratico e snello (da non confondere col referendum), della “Consultazione della popolazione” prevista dallo Statuto comunale, purché su tutti i 29 progetti partecipanti al concorso, non solo su tre.
Oppure sarebbe stato giusto, forse meglio, e anche non dispendioso, che la Giunta comunale, avvalendosi dei molti tecnici della comunicazione di cui dispone in proprio e nelle società partecipate, si assumesse la responsabilità della scelta, senza ricorrere ad esperti esterni nominati ad hoc il cui prodotto ha sollevato molti dubbi. Gli amministratori pubblici sono eletti per questo.
Il 60% dello scarso elettorato pubblico sembra comunque aver voluto premiare la proposta d’impatto visivo più immediata ed efficace. Non mi pronuncio sugli aspetti tecnici del design, che non mi competono, ma il nome scelto, “Viva Dante”, mi pare che valorizzi poco il rapporto del Poeta con Ravenna, segnalato sotto con la scritta in piccolo “Ravenna 1321-2021”; né che risponda bene all’intenzione, dichiarata dallo studio cesenate che l’ha redatto, di rappresentare “un punto di riferimento vivo per la città sia in termini di valori che di ispirazione artistica”. Butto là, liberi tutti di dire la propria almeno sui concetti, che avrei allora preferito: “Dante vive a Ravenna” su due righe.
Tra i perdenti, sarebbe stata interessante la proposta dello studio fiorentino secondo arrivato con il motto “RAVENNA CITTÀ DEL PARADISO”, azzeccato per la città in cui Dante ha scritto la terza cantica del Poema, e stilisticamente raffinata, se non fosse di difficile lettura.
Il Comune non ha rivelato, forse pudicamente, come si siano distribuiti i 115 voti assegnati al secondo e al terzo logo, legittimando la domanda su come quest’ultimo, tutto centrato sul motto: “LET’S DANTE!”, possa entrato nella terna scartando 26 proposte. Ne avevo scritto alla stampa parlando di inopportunità nella formazione della commissione di gara. La risposta resterà sotto chiave perché – è stato detto ieri sera al Rasi – occorre rispettare i diritti di proprietà. Almeno ne avessero richiesto ai concorrenti, nel bando di gara, la rinuncia. Trasparenza non sia mai.