“I dati definitivi dei porti italiani nel 2023, prodotti da Assoporti (Associazione delle Autorità portuali),  mentre mostrano un lieve calo del traffico merci nazionale (-3,2%) a fronte di un alto tasso di crescita del traffico passeggeri (+16,3%) e crocieristico (+48,3%),  documentano una serie di disfatte per il porto di Ravenna, che le istituzioni pubbliche tengono tuttavia nascoste.
Diciamo subito che gli osannati 330.952 crocieristi del 2023 (+71,3% sul 2022) sono stati l’unico dato positivo per la nostra città,  che appare tuttavia gonfiato, come la rana di Esopo di fronte al bue, constatando che rappresentano appena  il 2,4% del dato nazionale, pari a 13 milioni e 357 mila. Il resto è notte fonda, a partire dalle rinfuse solide, su cui restiamo il primo porto italiano avendone però perso il 14,1%, cioè oltre 10 milioni di tonnellate, e proseguendo con le rinfuse liquide, in calo del 5,8%, cioè  4 milioni e mezzo di tonnellate in meno.

Le sorti magnificate e progressiste del porto di Ravenna si concentrano però tutte sul traffico container, vero cor business del suo vagheggiato futuro. Se va male, il porto riaffonda dalla serie B alla C dei primordi, anziché promosso in A. Per raggiungere subito questo esaltante traguardo si è passati di corsa alla Fase 2 del progetto “Hub portuale di Ravenna”, mentre è ancora indietro la Fase 1, che abbasserà i fondali dello scalo dai 10 metri storici a 12,5, il solo obiettivo condiviso all’unanimità dal Consiglio comunale.  Fase 2 significa scavare invece il canale portuale fino a 14,5 metri, non solo nel Candiano, ma anche per 17 chilometri in mare, prima della sua imboccatura. Significa, soprattutto, spendere centinaia di milioni per costruire, nell’area Trattaroli Destra, su 360.000 metri quadrati di terreno vergine, un nuovo maxi terminal container con un chilometro di banchina, destinato, dichiaratamente, a “movimentare 500 mila unità di TEU” nel porto di Ravenna. 22 anni fa, quando la SAPIR, oligopolista pubblico del porto, costituì la società pubblico-privata TCR (Terminal Container Ravenna), l’obiettivo fu di raggiungere rapidamente i 300 mila TEU, quanti ne può contenere lo storico terminal della darsena San Vitale, di proprietà della  stessa Sapir, che tuttavia ha continuato sempre a veleggiare molto al largo. Ma nel 2023, movimentandone appena 190.343, ne ha perso quasi 10 mila rispetto al 2022, suo massimo risultato. Si è arrivati a 216.981 contando anche il terminal container privato della Setramar.

Si sta forse costruendo una cattedrale nel deserto? Non dicono di no i dati prodotti da Fedespedi (Federazione delle imprese di spedizione nazionali), e da Unctat (Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo), come appena esposti e commentati dal quotidiano on line Shipping Italy. Fedespedi, analizzando gli effetti della crisi di Suez nel primo trimestre 2024 sui container movimentati nei maggiori porti italiani, ne dimostra una buona crescita in Liguria e a Salerno, una leggera diminuzione a Napoli e qualche frana negli altri, ma addirittura dei salassi nei porti adriatici di Trieste (-17,3%), Venezia (-12%) e Ravenna (-15,8%), che “sembrano aver pagato il prezzo più caro del baricentro delle rotte commerciali Asia-Europa”. Unctad,  aggiornando al secondo semestre del 2024 l’indice sul grado di integrazione delle nazioni nella rete mondiale dei trasporti marittimi su container, rivela che esso appare stabile per l’Italia, ponendo però quello del porto di Ravenna in fondo alla graduatoria nazionale, 12° su 15, calato dell’11% rispetto al secondo semestre del 2023. Dati statistici di istituti prestigiosi. Non chiacchiere politiche, che si guardano bene, oltretutto, dal riferire che il porto di riferimento anche solo dell’Emilia-Romagna, cioè di casa nostra – altro che Asia-Europa, altro che “Ravenna: da porto dell’est a porto globale” –  è quello di La Spezia, dove scalano navi da 20.000 TEU, che nel 2023 hanno composto il numero di 1.139.088.”