Abbiamo appreso dalla stampa di un ventenne di colore, originario del Gambia, Dawda Ceesay, che la notte della vigilia di Ferragosto è stato arrestato a Marina di Ravenna dai carabinieri della locale caserma, in uno stradello pinetale vicino alla Duna degli Orsi, in possesso di 30,5 grammi di marijuana contenuti in quattro involucri di cellophane. Gli sono stati sequestrati anche uno spinello di tabacco/marijuana e 130 euro in banconote di vario taglio, corrispondenti a quanto appena sborsato dai suoi clienti. Era stato sorpreso mentre operava in zona verosimilmente come fornitore di droga al dettaglio per giovani in vacanza o in transito al mare. Si è letto anche che i carabinieri gli hanno sequestrato, nella sua abitazione, altri 30 grammi di marijuana e un bilancino. Venerdì 16 agosto, in Tribunale, ha patteggiato 1.200 euro di multa che non pagherà e 8 mesi di carcere con pena sospesa. Tanto che due giorni dopo, tornando presumibilmente al lavoro in quel di Marina di Ravenna, ha avuto modo di farsi nuovamente denunciare dai carabinieri a piede libero, sull’autobus della linea 70, per interruzione di pubblico servizio. Insieme a lui sono stati denunciati altri quattro africani tra i 19 e i 23 anni, che, a causa di una furibonda lite, hanno obbligato l’autista a fermare la corsa, chiamando ad intervenire i militari della vicina caserma di Marina. Quelli di ferragosto. Fin qui, quanto la cittadinanza ha potuto conoscere.
Età e provenienza del soggetto mi hanno però consigliato, in veste pubblica di amministratore comunale, di vederci più chiaro. Pur senza entrare nei dettagli, posso dunque dire che Dawda Ceesay è un richiedente asilo che gode di accoglienza umanitaria appaltata ad una cooperativa sociale. Di conseguenza, è in possesso di un permesso di soggiorno biennale, avendo finora beneficiato di vitto, alloggio, vestiario, smartphone e assistenza varia finanziati con denaro pubblico. È domiciliato in un bello e spazioso appartamento della città, dove vive in comunità con altri tre giovani stranieri richiedenti asilo. Tutti dunque senza problemi di sostentamento.
Da qui alcune mie sintetiche considerazioni politiche di ordine locale.
- Sono troppi i casi, anche solo quelli posti in evidenza dal sottoscritto, in cui gli extracomunitari richiedenti asilo, dimostrando di non avere alcuna volontà di integrarsi correttamente nella comunità locale, né di rispettare almeno la legge, vengono scoperti solo dalle forze dell’ordine quando delinquono. Per il calcolo delle probabilità, altri numerosi restano al coperto.
- Inesistenti appaiono i controlli preventivi, che non dovrebbero mai mancare quando si spende denaro pubblico. Tale opera di vigilanza è in capo alle imprese, in genere cooperative sociali, che gestiscono in appalto l’accoglienza umanitaria nelle strutture abitative messe da loro a disposizione. Se latitante, dovrebbero renderne conto all’ente pubblico appaltante.
- Quando qualcuno viene scoperto dalle forze dell’ordine, eventuali e mai divulgati provvedimenti di uscita dall’accoglienza umanitaria sono limitati alla persona stessa. Non vengono chiamati a risponderne i conviventi nello stesso alloggio, quando appare evidente che fossero quanto meno a conoscenza delle sue attività illecite, senza averlo fatto presente a chi di dovere. Si può vivere a contatto di gomito e dormire in stanza con altri, senza accorgersi di “strani” bilancini, pacchetti cellophanati, frequentazioni, compere, stili di vita, disponibilità di denaro, ecc.? Alle 23.00 non si deve essere tutti a casa? Non è dunque tempo di un giro di vite, chiamando in causa per omessa vigilanza anche i gestori degli appalti “umanitari”?
Tornando al caso, le richieste sono perciò le seguenti.
- Il permesso di soggiorno di Dawda Ceesay scade, a quanto ho saputo, a fine mese. Non deve essere prorogato, avviando da subito la procedura del rimpatrio.
- Verificare le corresponsabilità o connivenze dei tre che convivono nello stesso appartamento, provvedendo di conseguenza.
- Chiedere ragione del rispetto dei propri doveri di vigilanza alla cooperativa sociale appaltatrice del servizio.
- Dare sempre comunicazione pubblica di come si agisce perché questi casi siano puniti, almeno come ammonimento che a Ravenna l’accoglienza umanitaria si fa sul serio, altrimenti non lo è.