Parafrasando Andersen, si può ormai dire a voce alta, anche senza l’innocenza di un bambino, che in questa tragica pandemia il sindaco di Ravenna è nudo. Completamente dedito, come l’imperatore nella fiaba, a sollecitare applausi curando gli aspetti esteriori, vorrebbe che la gente non si accorgesse di quanto la salute pubblica della sua gente, messa alla prova da un aggressore che non fa sconti politici, sia precipitata nel disordine e nell’incertezza, mostrando dati angoscianti, tra i peggiori dell’ Emilia-Romagna, a volte non solo.
Nei bollettini giornalieri dell’Emilia-Romagna, pur reticenti sulle differenze tra province e province, e tanto più al loro interno, dov’è il distretto capoluogo a fare il peggio rispetto all’intero bacino ravennate, si leggono giorno per giorno dati che dovrebbero portare il sindaco a chiedersi piuttosto com’è possibile, cos’è che non ha funzionato, cos’è necessario fare e cosa cambiare per risalire. L’ultimo dato drammatico sono i 14 morti di ieri, il numero più alto tra le province dell’Emilia-Romagna, dove Ravenna ha un terzo degli abitanti di Bologna e la metà di Modena, meno anche di Reggio Emilia, che ne ha avuti due, di Parma, uno , e di Forlì-Cesena, nessuno.
Lista per Ravenna, pur seguendo passo per passo questa dolorosa resa dei conti, messa in luce, come cartina tornasole, dalla riesplosione dell’epidemia dopo il cicaleggio estivo, non ha mai gridato al lupo, mentre tuttavia svolgeva a fondo il proprio servizio di fanale sulla verità, di denuncia dei fatti, di proposta e di richiamo a far meglio, di microfono pubblico dei cittadini, spauriti dal non sapere a che santo votarsi. Bisognerebbe però riprenderne i molti interventi, puntuali e documentati, sul bailamme del pronto soccorso e sulle carenze o sui vuoti del servizio ospedaliero e ambulatoriale pubblico, da un lato; nel mezzo, sugli anziani ospitati in troppe case per anziani cosiddette “protette” sbarrate ai loro cari, ma non al virus; e non da ultimo sulla decantata “medicina del territorio”, quella dei medici che una volta erano di famiglia, abbandonati a se stessi dalle loro gerarchie, della guardia medica al massimo telefonica, delle Case della Salute topolino o di carta, dell’assistenza domiciliare a spizzichi o latitante. Basterebbero a definire un quadro che impone alle autorità della salute, sindaco in primis, un esame di coscienza, giacché sono le stesse, anche politicamente, da cinquant’anni, quanti ne ha la Regione. Sia il presupposto per comprendere la necessità di un cambio di passo radicale. Si cominci dalla trasparenza, perché ospedali e strutture sanitarie siano una casa di vetro, non un carrozzone impenetrabile. Ci si apra all’ascolto diretto della voce dei cittadini e al confronto aperto con le loro rappresentanze sociali e politiche. Queste ultime, rappresentate dal consiglio comunale, non siano più l’ultima ruota del carro, a malapena sopportata. Si ci liberi dal restringere l’interesse pubblico dentro il cappelletto magico in cui è stato ridotto. Lista per Ravenna non aspetta altro per collaborare con chi governa la sanità pubblica al fine di ricondurla ad umanità ed efficienza.