“A fronte degli svariati casi, almeno cinque, sollevati da Lista per Ravenna su case famiglia per anziani finite sotto procedimento giudiziario per l’accusa di reati per malagestione, l’11 giugno 2019 la lista stessa ne denunciò politicamente uno nuovo e più grave di caporalato, reato introdotto in Italia nel 2011 per combattere un fenomeno molto diffuso in agricoltura” afferma Alvaro Ancisi, capogruppo di Lista per Ravenna.
“Erano stati infatti arrestati in flagranza due coniugi, uomo e donna, di mezza età, accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro dei loro dipendenti, impiegati in una casa famiglia di Mezzano ed in una di Bagnacavallo: cinque persone straniere, di vari continenti, che avevano subìto in passato violenze e abusi o povertà, certuni fuggiti dal paese d’origine. Uno di questi e alcuni ex dipendenti della medesima “azienda” avevano dichiarato alla Finanza che l’uomo li aveva di fatto ingaggiati da un centro di accoglienza di immigrati, facente capo alla cooperativa Cefal, nel quale egli lavorava con un ruolo importante, guadagnando circa 2.700 euro al mese” continua Ancisi.
“Ieri pomeriggio, il Giudice delle Udienze Preliminari ha condannato a 3 anni e mezzo di reclusione la donna, titolare della ditta individuale, e a 5 anni e 4 mesi l’uomo, amministratore di fatto della stessa e responsabile della gestione dei centri di accoglienza per rifugiati della Cefal con sedi ad Alfonsine e Fusignano. Il risarcimento chiesto dalla Cefal quale parte civile sarà quantificato in altra sede giudiziaria” spiega Ancisi.
“In Emilia-Romagna, le case famiglia per anziani sono disciplinate dalla Regione e dai Comuni, di fatto sopperendo alla grave carenza di strutture pubbliche atte ad ospitare anziani in difficoltà, sia pure non autosufficienti solo parzialmente. Il regolamento del Comune di Ravenna, fatto proprio da tutti i Comuni della provincia, recitava come queste “case” private fossero inserite “nella rete integrata dei servizi sociali residenziali di supporto alle famiglie”, sottoposte ai controlli di quattro servizi pubblici: Sportello Unico per le Attività Produttive, Polizia municipale, AUSL e Servizi Sociali. Avrebbero dovuto verificare tra l’altro “le condizioni organizzative, assistenziali e di personale” e “i requisiti strutturali, impiantistici e igienico sanitari”. Chiedemmo allora come fosse stato possibile scoprire fatti così gravi, capitati in due case famiglia, solo con un’indagine giudiziaria di carattere penale: “Non sono serviti a niente – dicemmo – i precedenti fattacci avvenuti nel Comune di Ravenna, da Sant’Alberto in poi, di cui solo alcuni pubblicizzati?” prosegue Ancisi.
“La stretta regolamentare che Lista per Ravenna aveva richiesto già nella primavera 2018, arrivata in Consiglio oltre un anno dopo, si è però risolta introducendo nel “nuovo” regolamento un solo punto credibile, tra quelli da noi proposto: l’obbligo che la segnalazione di avvio di ogni nuova casa famiglia sia fatta prima che inizi l’attività, e non più entro sei mesi. Il resto è una congerie di declamazioni politiche di principio, ma inapplicabili o confuse. Lista per Ravenna ha votato quindi no al regolamento, insieme ai due soli consiglieri della Lega Nord presenti” afferma Ancisi.
“Resta perciò necessario che questo regolamento sia rivisto per introdurvi obblighi, controlli e sanzioni seri, effettivi ed efficaci, tuttora mancanti, capaci da un lato di far lavorare bene e senza inutili cavilli burocratici le molte case famiglie “buone”, ingiustamente penalizzate dal discredito che le incapacità dell’amministrazione pubblica riversano immeritatamente su di loro; ma dall’altro di stroncare quelle “cattive” sul nascere, evitando che debbano farlo i carabinieri o la finanza molto dopo che gli anziani ospiti e gli addetti subiscano angherie, maltrattamenti o anche solo gravi limitazioni alla condizione di benessere. che è la regola prima da far valere nelle case famiglia. Come appunto in famiglia, lager esclusi” conclude Alvaro Ancisi.