Alvaro Ancisi, capogruppo di Lista per Ravenna in Consiglio comunale, commenta la notizia dell’arresto del 28enne albanese residente a Castelbolognese, perché ritenuto pericoloso jidaista.
” In Italia – scrive Ancisi – esistono solo quattro moschee propriamente dette, con cupola e minareto. La seconda più grande è a Ravenna, 25.a città per abitanti. L’edificio è costato 1,3 milioni, finanziati anche da paesi non tutti estranei al fenomeno jiadista. Può ospitare al suo interno 700 fedeli, non solo di Ravenna.
Non sembra dunque esserci altra ragione, così come il miele attira le mosche, perché negli anni 2011-2012 (gli anni cruciali!) ondate di magrebini, dopo essere sbarcate a Lampedusa, siano state attratte a riversarsi in massa a Ravenna, dove hanno messo lungamente a soqquadro la città, pochi integrandosi correttamente nella comunità ravennate, gli altri – basta leggere le cronache cittadine – dedicandosi allo droga e allo spaccio. Salendovi poi di grado, hanno fatto presto ad arruolare come pusher immigrati di colore dell’ultima generazione. E i foreign fighters scoperti sono stati più spesso estratti proprio dalle file della droga. Può aver giovato al richiamo della nostra città la sua collocazione geografica, isolata e con ampie fasce incontrollate. Come quelle a lato del porto, niente affatto prive di degrado, nel quale è più facile trafficare.
Se è vero – scrive Ancisi riferendosi ad un’intervista rilasciata da Francesco Marone, ricercatore dell’ Istituto Italiano di Politica Internazionale (ISPI) e studioso di foreign fighters – che un rapporto diretto tra moschea di Ravenna e arruolamento nelle milizie jiadistiche è da escludersi, maggiore cautela dovrebbe dunque aversi nell’escludere che all’origine del fenomeno, vistosamente esploso a Ravenna più che altrove in Italia, non abbia contribuito l’attrazione di una moschea metropolitana accolta a braccia aperte da una troppo ospitale città di provincia”.