Ancora missive che portano in primo piano condizioni di lavoro ad elevato rischio clinico in assenza di risposte aziendali soddisfacenti a medici e ad utenti.
Questa volta è il turno della Struttura Complessa Aziendale di Ostetricia e Ginecologia della provincia di Ravenna a lanciare un grido di allarme ed a presentare una denuncia dal forte impatto.
Come si evince da una delle due missive, inviate tra gli altri al Sindaco De Pascale, il personale medico addetto ai reparti nei due presidi di Lugo e di Faenza scrive chiaramente di non sentirsi sicuro proprio nella delicata fase finale delle gestazioni, a causa della elevata diminuzione dei parti in quei presìdi, mentre il reparto di Ravenna è oberato dal numero dei parti che in numero crescente vi vengono inviati da Faenza e Lugo.
La situazione sembra il risultato di inappropriate decisioni di politica sanitaria: si è favorito il lento declino dei punti nascita di Lugo e Faenza volto a far scendere sotto i 500 parti i due nosocomi, al fine di perdere il requisito che la legge prevede affinché un punto nascita possa rimanere aperto.
Pertanto è stato scientemente disposto che, sin dalle fasi iniziali delle gestazioni, non soltanto i casi complessi, ma il maggior numero possibile di parti venisse inviato a Ravenna.
Grazie a questo “gioco” la Direzione Generale della ASL avrebbe potuto tentare di raccontare che, essendo scesi sotto i 500 parti, i punti nascita di Lugo e Faenza si sarebbero dovuti chiudere.
Con tali infelici scelte si è ottenuto un duplice risultato negativo: ridurre la “clinical competence” degli operatori di Lugo e Faenza ad un potenzialmente grave livello di insicurezza – ovvero ci si ritrova con un sempre maggior numero di operatori non più abituato a livello pratico ad effettuare “manovre” ed “operazioni” tecniche o chirurgiche sulle pazienti, mettendo a serio rischio loro stessi, ma soprattutto la vita di gestanti e nascituri – e sovraccaricare inopinatamente i ritmi di lavoro dei professionisti di Ravenna, non solo da un punto di vista meramente clinico, ma a causa altresì delle richieste di sostegno formativo nei confronti dei colleghi di Lugo e Faenza, senza tener conto che essi non sono titolati per ottemperare alla formazione professionale altrui, aumentando quindi di non poco il livello di stress fisico e mentale di tutto il comparto medico in questione.
Va da sé che il non aver chiuso i punti nascita di Lugo e Faenza, e l’aver però assicurato una guardia pediatrica notturna in entrambi i presidi, non può avvenire con un semplice atto amministrativo, ma impone di garantire tutti i livelli di sicurezza che un reparto operativo di Ostetricia e Ginecologia richiede.
Se questo non viene realizzato l’alternativa è solo chiudere i due punti nascita in questione come stabilito dagli accordi sanciti dalla Conferenza Stato/Regioni.
Continuare con l’attuale organizzazione comporterà uno stato di insicurezza clinica sia per il personale addetto che per le pazienti.
Questo può spiegare in gran parte perché non si riesca a reperire medici per Ravenna-Faenza-Lugo: lavorare in tali condizioni è come giocare alla roulette e non è concepibile dover confidare quotidianamente nella dea bendata.
Quello che andrebbe fatto invece, come è intuibile, è rilanciare i reparti avendo ripristinato la guardia pediatrica. Con ciò anche l’ospedale principale, quello di Ravenna, tornerebbe a trattare un numero di pazienti gestibile; nello stesso tempo il personale medico di Lugo e Faenza riacquisterebbe quella “expertise” di cui oggi lamenta il venir meno.
Lugo, in particolare, potrebbe anche diventare centro di riferimento della fisiopatologia della riproduzione, che caratterizzerebbe, con un’eccellenza, il reparto di ginecologia di quella città rendendo più equilibrata anche la gestione dei parti su tutto il territorio provinciale.
Ma per fare questo serve una politica in grado di prendere decisioni e interessarsi del territorio e delle persone come utenti e non ossessionata solo dal numero di “pedine in quota” collocate nei reparti di questo o quel nosocomio.