Promossa a pieni voti l’Emilia-Romagna per l’alternanza scuola-lavoro. Nella classifica delle regioni più “attrezzate” per queste esperienze che coinvolgono gli studenti delle ultime tre classi delle scuole superiori, l’Emilia-Romagna è al quarto posto tra i territori con una maggiore offerta di opportunità per le esperienze degli studenti. Se si prendono in considerazione le sole imprese come soggetti ospitanti, però, la regione scende in sesta posizione.
A livello provinciale, primeggia Modena al 5° posto con 1.396 strutture disponibili. A seguire Reggio Emilia all’11° posto con 976 strutture. Quindi Forlì-Cesena al 14° posto con 698 strutture, Ravenna al 16° con 651 strutture, Rimini al 25° posto con 514 strutture, Ferrara al 28° posto con 499 strutture, Piacenza al 49° posto con 299 strutture, Bologna al 64° posto con 853 strutture e Parma all’80° con 321 strutture. Il posizionamento in classifica non dipende dal numero assoluto delle strutture, ma da questo dato rapportato naturalmente al numero dei residenti e degli studenti.
A livello nazionale è il territorio della provincia di Firenze quello più “attrezzato” per l’alternanza scuola-lavoro, a cui fanno seguito Sondrio, Pisa, Trento e Modena. A livello regionale al primo posto si conferma la Toscana, seguita da Trentino-Alto Adige e Veneto.
A chiudere la classifica, Sicilia, Campania e l’Abruzzo fanalino di coda, che conferma l’ultimo posto anche per offerta delle sole imprese, dove primeggiano Veneto, Trentino-Alto Adige e Lombardia.
A passare sotto la lente d’ingrandimento l’alternanza scuola-lavoro, dal 2015 obbligatoria per le ultime tre classi di tutte le scuole superiori e dal 2019 ribattezzata Pcto prima della sosta forzata per la pandemia, è il sindacato datoriale Unsic, con oltre tremila sedi in Italia tra Caa, Caf e sedi di Patronato. In occasione del tavolo tecnico ministeriale del prossimo 26 gennaio sul tema, a cui prenderà parte anche Giampiero Castellotti dell’Unsic, l’organizzazione datoriale ha redatto un dossier ricco di numeri e di proposte.
Le “pagelle” ai territori, che ne evidenziano le difformità, sono frutto principalmente del volume dell’offerta di strutture disponibili ad ospitare gli studenti rispetto al numero di residenti e di studenti. Infatti a fronte delle rilevanti richieste scolastiche costituisce una delle criticità ataviche dell’esperienza proprio l’esiguità dell’offerta, che non include solo “imprese” ma anche enti pubblici e privati, musei, associazioni, sindacati, biblioteche, enti sportivi, ecc. Con un problema in più. “I dati emersi e da noi elaborati possono tenere conto unicamente degli aspetti quantitativi, ma non possono includere gli elementi qualitativi, difficili da individuare anche per l’assenza di monitoraggi istituzionali – precisa Domenico Mamone, presidente dell’Unsic. “Ad esempio, sotto la generica definizione istituzionale di ‘impresa’ si va dalla multinazionale al piccolo bar e ciò potrebbe parzialmente inficiare l’elaborazione finale, per quanto la fotografia della tendenza provinciale e regionale resta comunque affidabile – conclude Mamone.
Nel quadro della “appetibilità territoriale” emersa, spiccano alcuni elementi. Se in linea generale sono i territori più industrializzati a garantire maggiori opportunità agli studenti degli istituti tecnici e professionali, e naturalmente le province a maggiore vocazione culturale e turistica garantiscono buone occasioni ai licei (ciò spiega il ventesimo posto di Agrigento e il trentasettesimo di Matera), si segnalano il settimo posto di Fermo per la tradizione artigianale e l’ottavo posto di Trapani per la filiera marinara.
Oltre a ricostruire la storia dell’alternanza, con i riferimenti normativi, il dossier si concentra sui vantaggi (in primisl’apprendimento pratico, l’orientamento, i contatti con l’azienda e l’eventuale opportunità di lavoro) e gli svantaggi (problemi logistici, disarmonia con il percorso scolastico, sfruttamento e insicurezza) dell’esperienza ed elenca anche gli incidenti, alcuni mortali, che hanno funestato l’alternanza, elencando i dieci più gravi dal 2017 ad oggi, accaduti a La Spezia, Faenza (Ravenna), Pavia di Udine, Montemurlo (Prato), Genola (Cuneo), Rovato (Brescia), Lauzacco (Udine), Fermo, Merano (Bolzano) e Noventa di Piave (Venezia).
Infine l’Unsic avanza sedici proposte per riformare la materia, dalla non obbligatorietà almeno nei licei e dall’estromissione come requisito di ammissione agli esami di Stato agli sgravi per le aziende coinvolte che dovrebbero avere certificazioni aggiuntive sulla sicurezza, oltre a quelle di prassi. L’organizzazione propone anche un accordo scritto tra struttura ospitante e scuola con l’impegno a fornire un programma formativo allineato con le finalità di orientamento e formazione, un albo per i tutor, lo status dello studente per distinguerlo dal lavoratore, il feedback standard sull’esperienza vissuta, la conciliazione tra l’alternanza e le interrogazioni e le verifiche scolastiche a garanzia degli studenti e l’incremento delle esperienze presso aziende e organismi italiani all’estero. Infine, oltre a chiedere un ruolo per sindacati e organismi rappresentativi di settore sul fronte della prevenzione della sicurezza e della regia locale per la co-progettazione e a proporre l’inserimento della formazione sulla sicurezza nel programma di educazione civica, l’Unsic lancia l’idea di un dibattito aperto sull’eventuale “minisalario” allo studente per l’alternanza (sul modello tedesco), “benché i ragazzi siano in formazione e non dovrebbero lavorare” e un monitoraggio ministeriale, oggi assente.