Combinare sostenibilità e innovazione, coinvolgendo attori della società civile e orientandosi verso una nuova governance e modelli di assistenza centrati sui bisogni reali delle persone. Questi gli elementi principali dei quindici punti del programma di riforma della sanità dell’Emilia-Romagna lanciato oggi dalla candidata civica Elena Ugolini.

“Finché continuiamo a raccontarci che siamo i primi in tutto, tra cui la sanità, non guarderemo mai alla vita reale e alle richieste dei cittadini. Dobbiamo realizzare una grande riforma del servizio sanitario regionale, partendo innanzitutto da un nuovo metodo basato sulla “presa in carico” dei cittadini. La nostra società sta attraversando due tipologie di transizioni: da una parte siamo una società con sempre più persone anziane e sole; dall’altra, ci sono forme di cronicità crescenti e che oggi rappresentano il 75% della spesa del servizio sanitario nazionale. L’obiettivo principale è sostenere un Servizio Sanitario Nazionale pubblico e universalistico, garantendo uguali opportunità di salute per tutti. Dovremo cambiare il modello di governance regionale, applicando il principio di sussidiarietà e promuovendo la partecipazione dei professionisti e delle loro rappresentanze, che non sono mai stati realmente inclusi nelle scelte gestionali. Una programmazione partecipata è l’unica via di fuga per far tornare i giovani ad essere innamorati di queste professioni; ma, ancor più importante, è l’unica via per far sì che non ci siano più dimissioni di massa” ha dichiarato Ugolini durante la conferenza stampa.

“Per com’è strutturato oggi il sistema sanitario regionale, il cittadino si trova a vagare tra enti e strutture senza una guida precisa che lo accompagna. È questo che dobbiamo cambiare, adottando il modello della “presa in carico”. L’adozione di tale paradigma rappresenta il contesto favorevole per applicare sistematicamente la medicina di iniziativa, che è una delle sfide più avanzate che il Servizio Sanitario Regionale deve fare propria. Dobbiamo passare dal paradigma “dell’attesa” ad un approccio pro-attivo per intercettare vulnerabilità e rischi di instabilità delle patologie croniche o di decadimento psico-fisico quando ancora non si sono tradotti in una domanda esplicita.
Adottare il modello della “presa in carico” significa seguire le persone nel percorso sanitario. I mezzi per farlo sono diversi: penso alla telemedicina, alla rete dei medici di famiglia, alle farmacie e ai pediatri. La nuova sanità dovrà seguire la persona nelle loro terapie. Per farlo è primario il ruolo degli infermieri, integrando la medicina di specialistica con la medicina generale. Finché il paziente ha una complessità grave, allora li è fondamentale la medicina specialistica; poi, però, dobbiamo transitare il paziente sulla medicina territoriale. La presa in carico comporta che metteremo in relazione i professionisti e le strutture sanitarie con percorsi chiari. Significa ricomporre il percorso dei cittadini senza lasciarli soli. Non prevedo per questo modello un unico regista. Chi fa da regia ha un solo obbligo: quello di essere comunque collocato sul territorio e di volta in volta, in base alle richieste, può essere il medico di medicina generale, il medico di libera scelta, il care-giver… l’aspetto fondamentale è che il regista abbia a sua completa disposizione le risorse e che sia sul territorio” prosegue la candidata civica appoggiata dal centrodestra.

“Questo programma di riforma è chiaramente un percorso di mandato di cinque anni. Per affrontare le necessità della nostra sanità non possiamo dare soluzioni semplici e immediate, prenderemmo in giro i cittadini. De Pascale dice che servono più soldi? Non ha di certo scoperto l’acqua calda, ma dobbiamo ricordarci due punti fondamentali. Innanzitutto, il governo Meloni ha finanziato il Fondo Sanità di 128 miliardi e 869 milioni di euro per il 2023, di 134 miliardi per il 2024 e di 135 miliardi e 400 mila euro di 2025. Si tratta di un record assoluto. De Pascale dove pensa di trovare quei soldi? Aumenta le tasse? Il governo di centrodestra non lo farà. Vuole aumentare il debito? Alla faccia del “candidato giovane” che guarda alla generazione dei quarantenni e degli “under”. Vuole ridurre la spesa pensionistica? Dica come lo vuole fare. Non passa tutto da avere più soldi, anche se anche io chiederò più finanziamenti alla sanità. Avere a disposizione più soldi ma al medesimo tempo mantenere la stessa gestione è inutile”.
Tra gli altri punti del programma della sanità, “è fondamentale rafforzare i Dipartimenti di Salute Mentale per prevenire il disagio emotivo e psicologico fin dalla pre-adolescenza. È cruciale dare priorità alla disabilità e alla non autosufficienza nella riforma dei servizi sanitari territoriali, incrementando il Fondo Regionale della Non Autosufficienza per innovare i servizi. La creazione di un ecosistema digitale è fondamentale per migliorare l’accessibilità e la fruibilità dei servizi sanitari, in particolare quelli territoriali, secondo il principio della presa in carico” ha concluso Ugolini.

IL DOCUMENTO PRESENTATO AGLI OPERATORI DEL SETTORE E AGLI ELETTORI

Una necessaria riforma del servizio sanitario regionale

Il Servizio Sanitario dell’’Emilia Romagna è stato in passato il punto di riferimento per la Sanità nazionale, in virtu’ della capacità di garantire servizi sanitari e sociosanitari di qualità’ mantenendo al contempo la sostenibilità economica. Oggi però questo stesso sistema mostra i limiti dovuti alla mancanza di una innovazione necessaria, che sta progressivamente erodendo il patrimonio di fiducia dei cittadini e l’entusiasmo dei professionisti.

Il tumultuoso incedere dei cambiamenti sociali, culturali, epidemiologici, demografici, ha ampiamente superato la capacità del sistema di tenere il passo e di affrontare le riforme necessarie, evidenziando le debolezze di una politica divenuta con il tempo sempre più in difficoltà a legare innovazione del sistema e lettura profonda dei mutamenti dei bisogni di cura e salute.

Per questi motivi oggi riteniamo necessaria una riforma del sistema sanitario regionale. Una riforma che presuppone una nuova concezione e un nuovo paradigma, che coniughi sostenibilità e appropriatezza, applichi logiche di innovazione e investimento sociale, costruisca nuovi modelli di governance che includano decisamente i tanti attori della società civile, che definisca un nuovo ruolo più aperto e inclusivo della Regione e della Pubblica Amministrazione, con la consapevolezza di pensare e progettare in modo nuovo servizi e politiche disegnate sul governo della domanda di salute e sulle esigenze di cura delle persone, su logiche di presa in carico e non sul solo sistema di offerta.

Le ragioni di un cambiamento necessario

La necessità di una discontinuità con le politiche del passato deriva dalla lettura dei fenomeni in corso che hanno trasformato la nostra società in modo estremamente più rapido della capacità che il sistema stesso ha avuto sino ad oggi di evolversi, e che hanno modificato comportamenti, bisogni, aspettative.

La transizione demografica con l’effetto combinato del progressivo aumento della aspettativa di vita, del calo della natalità e del conseguente rapporto (che passerà da circa 3 a 2 nel 2022 a uno a uno nel 2050) fra donne e uomini ancora attivi nel mondo del lavoro e individui in carico al sistema pensionistico. L’Italia è uno dei paesi più ‘‘vecchi’’ del mondo: la percentuale delle persone con più di 65 anni in Italia è oggi del 23,8 sul totale della popolazione e si stima che al 2050 questa fascia potrebbe rappresentare tra il 33-35%, cifre che si possono ripetere per la nostra Regione.
La transizione epidemiologica, la grande avanzata della cronicità e delle fragilità connesse all’invecchiamento, la non autosufficienza: in Italia il 39,9 della popolazione ha almeno una patologia cronica, il 75 % delle persone in età 65-74, l’85 % degli over 75, il 21 % ha più di una patologia cronica e il dato ovviamente cresce nelle più avanzate classi di età, 3,9 milioni di anziani sono i non autosufficienti , in 7 casi su 10 fanno affidamento su caregiver, in larghissima parte donne, il 40% degli over 75 presenta gravi difficoltà motorie, co-morbilità, compromissioni nelle attività della vita quotidiana. In Emilia-Romagna circa il 60% degli ultra 64enni ha almeno una patologia cronica, entro il 2030 le malattie croniche rappresenteranno il 70% delle condizioni patologiche e la causa dell’80 % delle morti. Queste due transizioni rappresentano lo scenario che è sotto gli occhi di tutti ed evocano la necessità di una riforma profonda del sistema sanitario.

Oggi però non è solo l’assetto demografico ad essere cambiato, ma anche quello sociale e in particolare l’organizzazione familiare, che in pochi decenni ha visto scardinati modelli che erano rimasti immutati per centinaia di anni: è ormai avvenuto il passaggio da una struttura sociale di famiglie plurinucleari ad una di famiglie mononucleari, determinando una crescente condizione di vulnerabilità del sistema familiare (rischio di povertà, genitorialità difficili, riduzione della rete di aiuto parentale e aumento del carico assistenziale e del ricorso a caregiver esterni). I contesti familiari odierni sono quindi caratterizzati da una crescente solitudine degli anziani: del totale delle famiglie composte da “persone sole”, il 48,7% sono anziani (di cui 11,1% di 85 anni o più) e il 52,2% degli ultra ottantacinquenni vive solo (ISTAT).
All’evoluzione demografica ed epidemiologica si sommano ulteriori elementi di complessità, come l’emergere del disagio psicologico anche in età giovanile, esigenza di porre maggiore attenzione alle malattie rare ed alla ricerca in questo ambito, la disabilità e la cronicità anche in età pediatrica (pressoché inesistente fino ad un recente passato tale da richiedere competenze nuove da parte dei Pediatri), la “cronicizzazione” di molte patologie oncologiche grazie alla straordinaria innovazione in ambito farmacologico. Sono solo alcune delle esigenze emergenti che rendono insufficiente, sempre meno equo e universalistico un sistema per il quale la peggiore delle scelte possibili sarebbe quella di non scegliere affatto, di puntare alla autoconservazione solo perché è sempre la scelta più’ facile e meno rischiosa.

Punti di programma

• Sostenere il Servizio Sanitario Nazionale, Pubblico ed Universalistico, cambiando il modello di governance regionale.
Mantenere un Servizio Sanitario pubblico, universalistico, in grado di garantire le stesse opportunità di salute per tutti i cittadini, è il nostro primo obiettivo. Per farlo è indispensabile da parte del governo centrale proseguire l’impegno a destinare risorse economiche adeguate, in linea con quelle stanziate per il triennio 2025-2027, 135, 4 miliardi di euro, che rappresentano la somma in assoluto piu’ alta destinate alla Sanita’ nell’ultimo decennio pur in una congiuntura macroeconomica sfavorevole. Al pari, è indispensabile che questi finanziamenti siano utilizzati dalle Regioni in modo da generare valore e non siano considerati unicamente la copertura dei costi del sistema uguale a sé stesso, per come è immaginato oggi, senza alcuna azione di riforma: al contrario le risorse devono essere ancorate a una forte azione di cambiamento del sistema sanitario per evolvere e mutare in modo profondo, come l’evoluzione dei bisogni e delle opportunità richiedono. La sanità in questo modo diventa investimento e non un costo, produce coesione sociale e può rappresentare un motore anche economico per il paese e per la nostra Regione.
Relativamente alla governance sanitaria, è necessario cambiarne il modello. Rendere concreto in ambito sanitario il principio di sussidiarietà attraverso un modello di amministrazione condivisa, valorizzando gli strumenti della programmazione partecipata e della co-progettazione, con la partecipazione di tutti i soggetti della società civile ed i legittimi portatori di interesse. In questa prospettiva intendiamo favorire la nascita e lo sviluppo di organizzazioni sanitarie e socio sanitarie non profit, con il più ampio coinvolgimento dei soggetti in campo sin dalla fase di progettazione, riconoscendoli come parte integrante del sistema. Un cambiamento di ruolo da parte della Regione, necessario per affrontare sfide di governo sempre più complesse che non possono essere risolte rimanendo nel perimetro del tradizionale ambito esclusivamente pubblico in cui si governa di fatto in modo non inclusivo. Un sistema incentrato sulla collaborazione e cooperazione che deve vedere l’Amministrazione Regionale regista di un sistema più ampio di attori profit e non profit, enti locali, garante dei diritti sociali e finalizzatore del contributo di ognuno a obiettivi e fini di interesse generale e comuni.

• Disegnare un Sistema Sanitario permeato da una cultura “di servizio”.
Per quanto possa apparire scontato, il Servizio Sanitario regionale deve essere pensato ed agito “al servizio” delle persone, ispirando l’organizzazione alle esperienze dei cittadini, al “punto di visuale” dell’individuo che esprime un bisogno di salute. Un Sistema Sanitario animato nei suoi principi guida da un “nuovo umanesimo”, nel quale le conoscenze scientifiche e le scelte organizzative siano improntate da una cultura orientata in modo olistico all’individuo e non alle “categorie”, o ancor peggio alla malattia come condizione spersonalizzante ed anonima o a priorità dettate da modelli di organizzazione sempre eguali e calati dall’alto. L’approccio scientifico e l’approccio “scientista” devono divergere. Nel primo il sistema si innova secondo l’evolversi delle conoscenze, ma con modalità che pongano la relazione con le persone come elemento guida. Nel secondo non è più l’individuo ma la patologia a diventare il principio ordinatore del modo di agire dell’organizzazione. Ma gli individui non sono “patologie”, sono prima di tutto persone. Un esempio è rappresentato proprio da quella che oggi viene definita come “medicina personalizzata”, grazie alla quale abbiamo la possibilità di orientare il trattamento – specie in ambito oncologico – al profilo genetico del singolo individuo. Perfino questa avanzatissima frontiera della diagnosi e della cura, a dispetto del nome, rischia di diventare un tecnicismo se non è affiancata da una attenzione delicata alla persona, alla comunicazione e a una adeguata informazione, al “prendersi cura” in tutte le dimensioni. Attenzione al singolo vuol dire al contempo perseguire l’equità, principio guida dei sistemi universalistici, nel rispetto delle differenze: geografiche, sociali, di opinione, di genere, di cultura, di etnia, consentendo al singolo pari opportunità di pervenire a eguali risultati di salute.

• Costruire salute.
La salute non è un bene assegnato una volta per tutte ed immodificabile, ma un capitale individuale sul quale investire per conservarne il piu’ a lungo possibile il valore, in ogni ambito di vita personale e collettiva ed in tutte le età. Questo e’ possibile, sia attraverso interventi principalmente sanitari (vaccinazioni, screening, fino alla medicina predittiva) sia costruendo contesti intra ed extrasanitari che favoriscano la cultura della prevenzione, nella più’ ampia dimensione di tutela “globale” della salute (One Health), favorendo i corretti stili di vita, la tutela dell’ ambiente, prendendosi cura della salute animale, sostenendo le pratiche sportive, la sicurezza sui luoghi di lavoro, la mobilità sostenibile, la corretta programmazione urbanistica, la cultura e le relazioni sociali, agendo cioè su quelli che sono definiti “determinanti della salute”, tutti ambiti strettamente interdipendenti. Ecco perché vogliamo assumere l’impegno di considerare la salute come elemento di cui considerare l’impatto in tutte le politiche pubbliche. Oltre il 70 % dei risultati di salute dipendono da fattori diversi dai servizi sanitari. Riteniamo vada inoltre sostenuta con sistematicità la realizzazione di patti per la salute territoriali su impulso degli Enti Locali che comprendano Aziende Sanitarie, Istituzioni, mondo del lavoro e della Istruzione e tutti i soggetti del terzo settore. La promozione della salute va integrata con la programmazione territoriale poiche’ non riguarda solo i servizi sanitari ma è il cuore del “welfare generativo” cioè della capacità di rigenerare e far fruttare le risorse di partecipazione già presenti e disponibili nelle nostre comunità, per aumentare il rendimento degli interventi delle politiche, a beneficio di chi riceve aiuto e dell’intera collettività.

• Sviluppare la “presa in carico” come modello per la cura delle persone con malattie croniche/complesse, la principale sfida dei sistemi sanitari odierni.
La “presa in carico multidimensionale” da parte dei Servizi Sanitari e Sociosanitari per le persone affette da patologie croniche e fortemente invalidanti, con alto carico assistenziale, le patologie oncologiche, le malattie rare, la non autosufficienza e’ in grado di garantire semplificazione, integrazione, multidisciplinarietà e continuità delle cure e dell’assistenza, a partire dal ruolo della Medicina Generale (se del caso in collaborazione con lo specialista) per la definizione del piano/percorso di cura e di assistenza. La logica della presa in carico come paradigma del sistema prevede punti di riferimento sanitari certi per le famiglie in grado di affiancare le persone con una attivita’ di garante della continuita’ e facilitatore nella fruizione dei servizi (case manager), la programmazione delle attività cliniche direttamente a carico degli operatori del servizio sanitario (esami e visite programmate e prenotate direttamente dai servizi), il monitoraggio delle condizioni di salute, della aderenza alla terapia, con il supporto delle tecnologie facilitanti -come le diverse forme di telemedicina – contrastando in tal modo il fenomeno delle prestazioni ripetute, spesso inutili ed inappropriate, alleggerendo le liste di attesa ed evitando al contempo il ricorso inappropriato al Pronto Soccorso, espressioni di un approccio prestazionale. Oggi l’assistenza centrata sulle prestazioni, che è l’opposto del modello della presa in carico, genera frammentazione, consumi sanitari inutili e costi evitabili, nonche’ disagi rilevanti ai cittadini, che come accade oggi devono cercarsi da soli visite ed esami e affannarsi nel tentativo di collegarle i servizi di cui devono usufruire. Vogliamo un sistema che passi da un modello basato sulla offerta e prestazionale, ad un diverso paradigma di cura, che si basa sull’accompagnamento e sulla modulazione personalizzata della domanda. La logica della “continuità” della assistenza e della presa in cura può produrre maggiore qualita’ e sostenibilita’ per il Servizio Sanitario. E’ però essenziale che nella presa in carico si valorizzino e si assegnino compiti chiari e definiti a tutti i professionisti coinvolti (MMG, Pediatri di libera scelta, medici specialisti ambulatoriali e ospedalieri, professioni sanitarie e figure assistenziali) in funzione degli stadi di patologia, integrati gli uni con gli altri con sistematicità, eliminando i compiti burocratico-amministrativi a scarso o nullo valore aggiunto che oggi sono a loro carico, presupposti per l’efficacia e la qualità del processo di cura. La presa in carico è infine anche lo strumento per ricomporre da parte della organizzazione i diversi luoghi dell’assistenza (le tante strutture sanitarie e socio-sanitarie) che il cittadino deve attraversare per la risposta ai suoi diversi bisogni, onere che oggi ricade faticosamente e con grande costo sociale in gran parte sulle spalle delle famiglie.
Al pari un rinnovato impegno va oggi condiviso con la Pediatria di Libera Scelta. La transizione epidemiologia ha visto capovolgersi anche l’ambito dell’infanzia, con la ricomparsa di malattie infettive che sembravano debellate, il conseguente nuovo impegno in ambito vaccinale, la sopravvivenza di lungo periodo dei bambini con gravi disabilità paradossalmente determinata dall’evolversi delle competenze perinatali che consegnano alla professione Pediatrica, alle famiglie ed alle comunità nati prematuri che richiederanno gestioni gravose, complesse e multi disciplinari centrate sulla competenza nella cronicità e nella palliazione pediatriche.

• Coltivare la salute mentale. Non esiste salute senza salute mentale.
È indispensabile potenziare i Dipartimenti di Salute Mentale per prevenire il disagio emotivo e psicologico fin dall’età pre-adolescenziale ed in ogni contesto di vita, favorendo la costruzione di rapporti sociali in grado di tessere reti relazionali virtuose, di contrastare l’isolamento, la disregolazione emotiva, il degrado culturale, lo sviluppo delle dipendenze prima che queste diventino patologiche. E’ prioritario intercettare precocemente il manifestarsi i segnali di malessere e sofferenza emotiva, garantendo al contempo cure proporzionate per i disturbi più gravi del comportamento, ed evitando la segregazione sociale, contrapponendole la cultura dell’inclusione, favorendo le tecniche e le attività riabilitative in tutte le età della vita. Promuovere l’ulteriore utilizzo della pratica del Budget di Salute già proficuamente utilizzata in questo ambito, con la finalità di de-istituzionalizzare la domanda, domiciliarizzare le cure e promuovere il protagonismo delle persone. Le risorse per potenziare lo strumento del Budget di Salute possono essere ottenute privilegiando soluzioni abitative supportate alternative alla residenzialità tipica, favorenti l’inclusione sociale lavorativa, con particolare attenzione ai pazienti più giovani e con maggiori potenzialità di recupero.
Il contrasto al disagio psichico, la prevenzione delle dipendenze, esattamente come la costruzione di salute, non sono una responsabilità esclusivamente sanitaria, ma al contrario riguardano la società tutta, che va coinvolta, informata, ingaggiata proattivamente in tutti i luoghi di vita e di aggregazione fin dalle generazioni più giovani, lavorando insieme alle comunità per favorire il contrasto allo “stigma” e lo sviluppo della sensibilità che in tutti i contesti aiuti i servizi sanitari nel cogliere i disagi emergenti. Al pari, è indispensabile l’impegno della Regione per tutelare la salute mentale delle persone che vivono in condizioni di restrizione della libertà, che oggi rappresenta una drammatica emergenza sociale, prima ancora che sanitaria. Un impegno inter-istituzionale nel quale è indispensabile oltre ad una azione volta ad intercettare precocemente le condizioni a rischio, sperimentare forme di limitazione della libertà alternative alla detenzione in contesti ad orientamento psico-riabilitativo dedicati a soggetti particolarmente vulnerabili per tipologia di disturbo e per particolare fragilità (es. i minori).

• Sviluppare la medicina di iniziativa. La presa in carico oggi si deve avvalere dei copiosi dati epidemiologici a disposizione (l’utilizzo e l’impatto in tal senso della Intelligenza Artificiale sarà enorme) per individuare il bisogno e soprattutto per intercettarlo andandogli incontro. L’adozione di tale paradigma rappresenta il contesto favorevole per applicare sistematicamente la medicina di iniziativa, che è una delle sfide più avanzate che il Servizio Sanitario Regionale deve fare propria: passare dal paradigma “dell’attesa” che I bisogni si manifestino, re-attivo (come per decenni accaduto per gestire le patologie acute) ad un approccio pro-attivo per intercettare vulnerabilità e rischi di instabilità delle patologie croniche o di decadimento psico-fisico quando ancora non si sono tradotti in una domanda esplicita. Questo modello rappresenta non solo l’approccio più efficace, in grado di contrastare, ridurre e ritardare il decadimento dello stato di salute del malato cronico, ma anche un più razionale ed efficiente utilizzo delle risorse. La sua applicazione sistematica consente di promuovere ed agire le misure di prevenzione secondaria e terziaria in modo attivo. Allo stesso tempo riconoscere precocemente il bisogno contribuisce a ridurre gli esiti del conclamarsi di una patologia che provoca un accesso potenzialmente evitabile al pronto soccorso – che rappresenta il luogo meno adatto per la gestione del malato cronico che manifesti segni di aggravamento al loro insorgere – ovvero ancor peggio di una ospedalizzazione inappropriata ed evitabile. Lo sviluppo della medicina di iniziativa richiede tuttavia una diversa relazione fra le differenti competenze professionali impegnate nella gestione del patrimonio di salute degli individui e delle comunità. Le malattie acute trovano oggi una risposta adeguata nelle reti ospedaliere, come ad esempio per le patologie tempo-dipendenti (quali l’infarto, l’ictus, il politrauma), ma esse non rappresentano l’ambito epidemiologicamente più rilevante e numeroso come decenni fa. La domanda di salute ha visto manifestarsi la transizione epidemiologica in cui le patologie croniche rappresentano il problema principale per la salute pubblica. A puro titolo di esempio pensiamo a quello che oggi è una malattia come il diabete. Si tratta di una vera e propria “epidemia” che si diffonde nella popolazione con modalità diverse dalle malattie infettive (per le quali possediamo ed utilizziamo strategie di prevenzione (vaccinazioni) o di protezione e mitigazione (dai dispositivi individuali ai farmaci antivirali o agli anticorpi monoclonali). Come è possibile prevenire, contenere, mitigare una epidemia che è soprattutto frutto di una diffusione di abitudini e stili di vita che non producono salute? E’ possibile, proprio grazie alla combinazione degli interventi di prevenzione primaria (costruire salute) e di mitigazione (medicina di iniziativa) che coinvolgono diversi e molteplici attori della comunità e del mondo professionale, chiamate ad interagire nella cura ed assistenza della persona con patologia cronica, fino alla presa in carico nei casi a maggiore complessità.

• Adottare lo strumento del “budget di salute” e dei Piani di Assistenza Individuali negli ambiti di cura ed assistenza. Il budget di cura/budget di salute nasce nel contesto della assistenza alle disabilita’ psichiche ma il suo potenziale è dispiegabile in ogni contesto sanitario connotato da cronicita’. Il “budget di salute” è rappresentato dall’insieme delle risorse economiche, professionali, umane e relazionali, necessarie a promuovere contesti relazionali, familiari e sociali idonei alla realizzazione di percorsi di cura personalizzati in grado di contribuire a garantire l’esigibilità del diritto alla salute. Il budget di salute, – attraverso azioni che integrino le attività sanitarie con risorse non solo economiche disponibili nella comunità, nel volontariato, cooperazione sociale, reti di relazione con Enti ed Istituzioni non sanitarie, terzo settore, competenze individuali e familiari, i caregiver in particolare, attivabili attraverso l’empowerment (cioè l’abilitazione ed il sostegno alla persona e della sua famiglia) – è in grado di moltiplicare le risorse messe a disposizione di chi ha necessità di cura, assistenza e riabilitazione. Un modello che ha già mostrato la sua efficacia nella salute mentale, che può essere ampliato a ricomprendere le malattie croniche, sostenendo le tecniche di self-care e l’invecchiamento attivo. Il budget di salute può essere lo strumento attraverso il quale riconfigurare il sistema dei servizi socio-sanitari in particolare nella direzione di offrire risposte proattive ai bisogni di salute in modo progressivo e sistematico superando frammentazioni e separazioni tra sociale e sanitario. Rappresenta un vero cambiamento culturale nel ridisegno strategico del “sistema salute”, che affianca, nella vita della persona con malattia cronica, le risorse messe a disposizione dai servizi sanitari con una logica distributiva, quelle individuali e della collettività in modo integrato e flessibile, restituendo centralità e dignità al ruolo della persona limitando gli interventi puramente assistenzialistici che finiscono talvolta per disperdere le energie e cancellare le competenze personali ed il diritto ad autodeterminarsi. La autodeterminazione, la corresponsabilità, il ruolo attivo di tutte le figure impegnate nel processo di cura si concretizzano nei i Piani di Assistenza Individuali ed i Percorsi diagnostico terapeutici-assistenziali, in grado di ridurre le liste di attesa per le singole prestazioni specialistiche e gli accessi inappropriati al Pronto Soccorso rendendo sempre più coincidente l’aspettativa delle persone e il percorso di cura – continuità, accessibilità e semplificazione delle interazioni fra professionisti, con l’intento di “accompagnare” la persona che esprime un bisogno – rispetto a quello che invece le famiglie sperimentano quotidianamente nel ricorso ai servizi, sanitari e sociosanitari. Oggi questa coincidenza è ben lungi dall’essere realizzata.
Non può, in questo contesto, essere dimenticato il rilievo assunto dalla Rete delle cure palliative per soggetti adulti e pediatrici. Il mutamento della storia clinica dei soggetti oncologici e del loro specifico bisogno di assistenza nelle multiple dimensioni che la palliazione riassume, reclamano un deciso intervento culturale ed investimento di risorse professionali, perché chi oggi non può essere guarito, possa essere adeguatamente curato al domicilio e in tutti i setting di cura del territorio (comprese le strutture residenziali per anziani). Potrà così essere ulteriormente sviluppata l’estensione del perimetro d’azione delle cure palliative anche alle patologie non oncologiche.

• Riformare la medicina del territorio. Il territorio, ed il proprio domicilio, rappresentano il contesto nel quale ogni persona vive la quasi totalità della propria vita. Al fine di garantire che in quel contesto sia possibile ricevere cure ed assistenza accessibili, tempestive, proporzionate al bisogno con la garanzia della “presa in carico” e della continuità dell’assistenza è indispensabile sviluppare specifici assetti organizzativi, che sfruttando anche le immense potenzialita’ rese fruibili dallo sviluppo tecnologico, consentano di creare i piu’ efficaci livelli di integrazione tra i diversi servizi e di collaborazione interprofessionale, non più episodici ma strutturali, sistematici e continuativi. Riformare la medicina del territorio vuol dire recuperare la virtuosa tradizione della Regione Emilia Romagna, che con largo anticipo su molte altre Regioni ha realizzato le Case della Salute come luogo della integrazione fra professioni e di aggregazione di servizi, una eredita’ poi dispersa per aver smentito quelle premesse, giustapponendo altri luoghi di offerta e frammentando ulteriormente i servizi (e moltiplicando i costi), interrompendo il dialogo con i Medici di Medicina Generale, figura centrale in una medicina che voglia proporsi come medicina della persona e della famiglia. Vogliamo ricollocare al centro del dialogo e della riforma il rapporto con i Medici di Medicina generale ed i Pediatri di Libera Scelta, facendo evolvere in modo condiviso il modello aggregativo (Associazioni Funzionali Territoriali, e forme associative, AFT) secondo le indicazioni del Nuovo Accordo Collettivo Nazionale e Regionale, identificando gli spazi ed i modelli organizzativi più adeguati per l’applicazione del “ruolo unico dell’Assistenza Primaria” pur nella consapevolezza delle problematiche applicative e nella ricerca di modelli che riscontrano il consenso di tutti gli attori interessati. Il Ruolo unico dovrebbe porre le premesse per una medicina del territorio maggiormente integrata, in grado di realizzare concretamente la continuita’ dell’assistenza, sfruttando gli spazi di declinazione locale consentiti alla regione nella identificazione dei modelli organizzativi di servizio piu’ adeguati al nostro territorio. In questa prospettiva riteniamo essenziale una correzione di rotta sui Centri di Assistenza all’Urgenza (CAU) territoriali che devono rientrare nell’ambito della organizzazione della Medicina Generale, che dovrà disporre delle tecnologie e dei percorsi di accesso alle visite specialistiche ed alle prestazioni diagnostiche recentemente istituiti. La prossimità rappresenta il principio ispiratore della medicina territoriale, e per dispiegarne le potenzialità è necessario cogliere proficuamente l’opportunita’ degli strumenti offerti dal Decreto Ministeriale 77/2022 e dal PNRR, che devono generare valore dagli investimenti in corso di realizzazione (Case della Comunità, Ospedali di comunità, Centrali Operative territoriali, telemedicina) integrandoli con nuovi modelli di servizio – il numero unico 116/117 per i bisogni non urgenti, il Punto Unico di Accesso socio-sanitario, un nuovo modello di Assistenza Domiciliare. In questo contesto si inserisce la Farmacia dei Servizi, che rappresenta un nuovo presidio sanitario in grado, con la capillare diffusione sul territorio, di integrare i sevizi già esistenti specie nelle aree a minore densità abitativa, interne e disagiate. Le farmacie in questi ambiti, ma non solo, rappresentano un importante presidio sanitario e possono svolgere un ruolo sempre più rilevante nel garantire la presa in carico dei pazienti, attraverso una molteplicità di attività che spaziano dalla distribuzione dei farmaci, allo screening, al monitoraggio della adesione alle terapie, alle attività vaccinali e di telemedicina. Questa rete, diffusa capillarmente su tutto il territorio regionale, è perfettamente posizionata per diventare spesso il primo punto di accesso alla sanità pubblica, garantendo continuità assistenziale e supporto costante ai cittadini. Un servizio che va considerato a pieno titolo parte del sistema pubblico. Da servizi frammentati e culture organizzative ancora a silos verticali ad un’unica rete.

• Ripensare la rete socio-sanitaria. E’ improrogabile in continuità e in coerenza con una riforma dei servizi sanitari territoriali dare priorità alla filiera della disabilità, della non autosufficienza nel reperimento e nell’uso delle risorse (con la previsione di aumento consistente del Fondo Regionale della Non Autosufficienza da utilizzare per l’innovazione nei servizi e non semplicemente per ampliarli così come sono), ma anche alla vulnerabilità e all’isolamento sociale come fattori facilitanti il degrado delle condizioni di salute e nuova vera sfida dell’efficacia e della sostenibilità dei sistemi sanitari di oggi e del futuro. Anche a seguito della nuova riforma nazionale relativa alla non autosufficienza e quale componente fondamentale della revisione della rete territoriale che proponiamo vanno ripensate la rete socio-sanitaria e i modelli dei servizi che ne rappresentano i nodi, in continuità e coordinamento gli uni con gli altri, considerati una filiera di risorse complementari e non opposte, strutture residenziali e domiciliarità in primis, integrando questi servizi con gli ospedali di comunità e la Rete Ospedaliera. Superando in tal modo il vecchio concetto di integrazione socio-sanitaria mai veramente realizzato e la dicotomia Ospedale-territorio per approdare, come già detto, a un’unica rete che contenga anche gli interventi e le azioni dell’ambito sociale. Ognuno di essi non deve più costituire un “silos” rispetto ad altre opzioni, ma una tappa di un continuum unitario e coordinato del percorso di cura che la persona compie in cui possono succedersi fasi diverse legate all’evoluzione dei propri bisogni. Domiciliarità e strutture residenziali vanno poi innovate nei loro modelli di servizio: la prima che non può restare equiparata alla semplice assistenza domiciliare senza invece evolvere verso una presa in carico che definisca durata, intensità della medesima, si rapporti con le risorse formali e informali attorno alla persona, definisca e valorizzi il team dei professionisti che sono coinvolti. Riunendo in un sistema di risposte unitario e integrato la dimensione delle prestazioni cliniche, quella di carattere sociale di sostegno alle attività della vita quotidiana e quella delle iniziative di supporto ai caregiver. Per le strutture residenziali si deve immaginare non più un unico ma più modelli, articolati in base ai bisogni di cura e che garantiscano risposte a questi in termini di organizzazione, specializzazione, intensità di assistenza necessaria. In generale ci si può orientare verso un modello di Case Residenza Anziani specializzate, con professionalità e competenze che permettano loro di divenire punti di riferimento per determinati tipi di utenza a più alta intensità sanitaria, rafforzando questo compito con risorse professionali coerenti e adeguate e un altro modello di residenze più aperte al territorio, recuperando in questo senso nel sistema “pubblico” anche la grande area delle case di riposo e delle case famiglia, oggi completamente assente nella programmazione, con servizi presenti fuori dalle “mura” e in connessione sinergica con altri attori, in modo da essere ponte con il territorio e in particolare con la dimensione dell’assistenza domiciliare. Un cambiamento che va realizzato con il metodo di governo già proposto della co-programmazione e co-progettazione con le Asp, gli enti Locali, il Terzo Settore e i gestori del privato accreditato che rappresentano la prevalenza dei soggetti di gestione in questi ambiti.

• Il futuro degli Ospedali. A piu’ di 8 anni dalla adozione del DM 70/2016 che ridefiniva standard e criteri della rete Ospedaliera, la Regione Emilia Romagna manifesta una evidente necessità – oggi del tutto trascurata – di far evolvere ruolo e vocazione delle strutture ospedaliere che siano coerenti con l’evoluzione finora descritta dell’intero Servizio Sanitario. Non è infatti possibile immaginare la riforma del sistema territoriale come una mera giustapposizione alla parte Ospedaliera esistente. Se il territorio diventa, come deve, il luogo principale per la gestione delle patologie croniche, agli ospedali deve essere riconosciuta la competenza per le patologie acute, per le riacutizzazioni dei cronici non altrimenti gestibili in territorio e per le attivita’ chirurgiche di maggiore complessità, per l’emergenza ed urgenza maggiore, per la riabilitazione intensiva, definendo le Reti per patologia ed investendo in modo coerente sull’alta tecnologia, orientando il sistema alla organizzazione per processi e complessità assistenziale, alla ricerca biomedica e traslazionale, sostenendone la vocazione specifica. Occorre portare fuori dagli ospedali le funzioni di lungodegenza e potenziare gli Ospedali di Comunità. Oggi la maggiore criticità degli ospedali è quella di avere nel limitato numero di posti letto enormi difficoltà a restituire al domicilio o alle strutture territoriali i pazienti che hanno superato la fase acuta. Questo comporta il prolungamento della presenza in Ospedale di pazienti che avrebbero potuto essere curati fuori e ciò si riverbera sulla possibilità di ricoverare pazienti acuti (con incremento dei tempi di boarding in Pronto Soccorso e conseguenti gravi disagi per pazienti e personale) e programmati. Nel presente la insufficiente relazione fra gli ospedali e fra Ospedali e territorio sconta ancora un ruolo anacronistico di Ospedale come principale riferimento per tutte le patologie, proprio per l’insufficiente capacita’ di puntare decisamente su riforma territoriale e la presa in carico. Gli Ospedali di alta specializzazione e di ricerca in ambito medico sono gravati, soffocati da malfuzionamenti, diseconomie e insufficienti investimenti proprio in ragione dell’elevatissimo carico di patologie a bassa complessita’ che non trovano altrove la risposta proporzionata. Vogliamo garantire i migliori standard di assistenza ospedaliera, tutelandone l’attività propria, l’adeguamento strutturale ed infrastrutturale e la sostenibilità, liberandoli dal peso di funzioni improprie che devono essere svolte in altri contesti con costi inferiori. La riforma della medicina del territorio è strategica anche per ottenere questa finalita’ che persegue migliori esiti di salute, maggiore efficienza ed opportunità di evoluzione tecnologica adeguata, senza la quale si riduce la competenza, la performance clinica e la attrattività professionale. Non ci potra’ essere una rete Ospedaliera all’altezza dei bisogni senza una compiuta riforma del territorio e la piena integrazione con le strutture per acuti.
Da ultimo, ma di certo non meno importante, dovrà essere sviluppata la valutazione degli esiti delle cure (sia negli Ospedali che sul territorio). Esperienze virtuose realizzate in vari paesi del nord Europa hanno dimostrato che misurare gli esiti e fare benchmarking migliora la qualità delle cure e riduce i costi. Ci si dovrà impegnare per ridurre la variabilità ingiustificata degli esiti delle cure e ripensare gli indicatori sulla base dei quali vengono definiti dalla Regione i finanziamenti alle Aziende arricchendoli di quelli di qualità ed efficacia delle cure. Migliorando l’efficienza e riducendo la variabilità degli esiti, la Regione potrà risparmiare risorse preziose, che potranno essere reinvestite per offrire ancora più servizi e migliorare ulteriormente il nostro sistema sanitario regionale.

• Sostenere la trasformazione digitale per l’innovazione nei servizi. La realizzazione di un ecosistema digitale è un elemento strategico per ripensare l’accessibilita’ e fruibilita’ dei servizi, in particolare i servizi del territorio nella logica della presa in carico già descritta. La Sanità sta infatti affrontando un cambiamento del paradigma “analogico” che si propone come epocale, con lo scopo – tutt’altro che scontato – di trasformare i servizi e la loro fruizione, le opportunità di cura ed assistenza, ma anche le modalità di accesso alle cure, i processi di erogazione, i meccanismi di coordinamento tra i professionisti. L’obiettivo è da un lato di generare valore attraverso soluzioni terapeutiche, riabilitative, diagnostiche in grado di migliorare in modo sensibile gli esiti di salute, ma anche di semplificare la vita ai cittadini aumentando la prossimità e le occasioni di fruizione della medicina e della assistenza più moderne, consentendo di intensificare le relazioni fra professionisti e cittadini (e non all’opposto riducendole, bensì aggiungendole a quelle “fisiche”) mantenendo in tal modo la centralità della persona. Un modello di sanità “digitale” efficace si costruisce infatti anche con la disseminazione sistematica degli strumenti (e delle competenze abilitanti al loro utilizzo che andranno acquisite) che possano sostituire le attività a basso o nullo valore aggiunto che oggi sono svolte dai professionisti, e sottraggono tempo e risorse, con il fine di liberare invece spazi e tempi per le relazioni, da dedicare al dialogo, alla informazione, alla presa in cura della persona, per un umanesimo che sia anche digitale. La piena applicazione di un progetto compiuto di sanità digitale include lo sviluppo degli strumenti previsti dal PNRR, come l’implementazione del Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0, ma è indispensabile che ciò avvenga nell’ambito di quell’ecosistema digitale che la Regione non è riuscito a rendere un sistema compiuto, che ancora oggi risulta frammentato, impedendo l’interconnessione e l’utilizzo evoluto delle informazioni disponibili. La messa in rete i tutti i professionisti del SSR e delle struttur, non solo attraverso lo scambio di files e dati, attraverso una piena interoperabilita’ che permetta a tutti di poter comunicare piu’ agilmente nell’interesse del processo di cura. Il sistema deve rendere accessibili i servizi tramite la tecnologia ai cittadini con adeguata alfabetizzazione digitale, e mantenere i servizi di accesso mediato da interazione fisica per tutti coloro che oggi per eta’ o per patologia hanno necessita’ di un supporto, in modo che ciascuna persona sia messa al centro in una logica di equita’ nella accessibilita’ ai servizi.

• Contrastare le liste di attesa. L’accessibilità alle cure rappresenta uno degli aspetti di maggior rilievo per un sistema pubblico che voglia garantire equita’, cure proporzionate ed universali. Il fenomeno delle liste di attesa è un elemento di criticità per tutti i sistemi sanitari pubblici, e rappresenta una forma iniqua e distorsiva di razionamento delle risorse. Per affrontarlo non ci sono ricette o singole azioni in grado di ottenere risultati miracolosi, ma un mix di molteplici interventi che hanno in comune una caratteristica: quella di considerare l’accessibilità come “la” vera priorità per tutti gli attori del Sistema, ed al contempo un obiettivo da perseguire in continuo, senza “tregua” e senza pensare che il risultato possa essere ottenuto “una volta per tutte”. Questo è esattamente l’impegno che intendiamo assumere. Tutte le azioni del programma, direttamente o indirettamente, puntano a contribuire a questo obiettivo. La presa in carico delle malattie croniche e complesse, la gestione delle patologie nel contesto di cura più adeguato, l’appropriatezza prescrittiva da parte di tutte le componenti professionali, l’impiego di risorse economiche ed umane adeguate, l’informazione ed il dialogo fra professionisti e tra questi e i pazienti, la collaborazione dei cittadini, l’uso di strumenti tecnologici che consentano di proporzionare in tempo reale la domanda e l’offerta, le soluzioni digitali in grado di orientare i cittadini nella ricerca delle risposte, sono le principali, ma non le uniche azioni da compiere per ottenere risultati tangibili. Al contempo è necessario un nuovo “patto” fra professionisti e cittadini, che da un lato ripristini il rapporto di fiducia, riducendo il ricorso alla “medicina difensiva” (anche attraverso adeguati strumenti legislativi che intervengano sulla colpa medica), e dall’altro al contempo diffonda la cultura della sanità pubblica come un bene costoso e non illimitato, nel quale l’onere degli sprechi ricade come un danno potenziale su tutte le componenti. Oltre alle azioni sopra indicate riferite alle liste di attesa per le prestazioni di specialistica ambulatoriale, ci si dovrà impegnare a mantenere e migliorare ulteriormente le performances per contenere i tempi di attesa per l’accesso agli interventi chirurgici programmati che, purtroppo, in alcune Aziende sono ancora lontani dagli standard attesi.

• Qualificare l’Emergenza Urgenza e decongestionare il Pronto Soccorso. La crisi dell’Emergenza-Urgenza sia sul versante organizzativo che – spesso di conseguenza – su quello professionale, va affrontata insieme al personale sanitario che vi opera. Restituire centralità alle attività dell’’Emergenza Urgenza innanzitutto partendo “dall’interno” dell’organizzazione sanitaria, è una azione spesso intrapresa senza una vera convinzione sulla necessità di un ridisegno delle relazioni che collegano l’Emergenza-Urgenza da un lato al territorio ed all’organizzazione interna agli ospedali dall’altra, ma spesso con interventi spot in risposta a situazioni quando queste diventano insostenibili. Non possiamo stupirci dell’abbandono di questa disciplina fino a che negli Ospedali non vi saranno politiche coerenti nella organizzazione del rapporto fra Pronto Soccorso e attività delle discipline specialistiche, soprattutto elettive. Pari dignità organizzativa che si persegue sia con scelte remunerative che tengano conto delle peculiarità lavorative (orari usuranti, continuità ininterrotta, elevatissimo stress professionale), ma anche riconoscendo la centralità e la alta qualificazione delle attività dei Pronto Soccorso. Al pari, fino a quando le politiche del territorio non saranno sviluppate per dare risposte concrete, tempestive e continue ai pazienti anziani e cronici, gli stessi continueranno a gravare sull’area dell’emergenza, in modo inappropriato e dannoso per i pazienti e per professionisti. E’ velleitario pensare, come è stato fatto fino ad ora e come si continua a fare, di “arginare” questo fenomeno costruendo “dighe” scoordinate dalla restante filiera dei servizi territoriali, con il principale scopo di “arginare” l’accesso al Pronto Soccorso. Vogliamo che venga restituita la dignita’ dello specifico professionale altamente qualificato, quello di tutti i professionisti che operano nell’ambito dell’emergenza urgenza. E’ urgente e inderogabile una netta e vera riorganizzazione di questo sistema tanto nella parte ospedaliera quanto in quella territoriale. I pronto soccorso ospedalieri non possono oggi affrontare con gli stessi organici di 30 anni fa, i bisogni di una popolazione mediamente piu’ anziana con tutti i correlati di questa demografia. L’insieme delle azioni poste in essere sul territorio infatti, non possono rispondere alla totalita’ della domanda che continua a rivolgersi al pronto soccorso, e le l’esperienza dei CAU oramai ne è la cartina al tornasole.
Bisogna lavorare con i professionisti per adeguare con norme anche speciali, l’attrattività del lavoro nelle strutture, mettendo al centro gli operatori ed utilizzando e adeguando ove necessario tutte le forme di lavoro a rapporto diretto con il Servizio Sanitario Regionale, superando il fenomeno di estenalizzazione a cooperative. Il SSR deve essere in grado di attrarre i talenti professionali attravero strumenti adeguati e coordinati.
In un contesto multiprofessionale e con grandi variabilità di background nei nostri servizi, il Sistema Sanitario Regionale dovrà valorizzare e la formazione in emergenza urgenza, sull’intero territorio regionale, in accordo con il mondo universitario, tendendo all’eccellenza formativa della nostra rete. Dal personale volontario e tecnico dei mezzi di soccorso, agli infermieri, ai medici tanto del territorio che dell’ospedale, si vuole rendere disponibile e fruibile la migliore conoscenza scientifica perché possano metterla al servizio dei cittadini.
Il Sistema di Emergenza Territoriale dovrà essere riorganizzato in senso trasversale, con piena responsabilità e coordinamento della regione affinchè il sistema superi le disomogeneità attuali e si sviluppi su parametri armonici in grado di garantire il miglior soccorso possibile a tutti coloro che si trovano nel territorio regionale, nella piena interazione funzionale e con un ruolo a cerniera tra rete territoriale e ospedaliera.

• Sostenere le politiche per il Personale del Servizio Sanitario e ricostruire la fiducia dei professionisti. I professionisti rappresentano la spina dorsale del Servizio Sanitario pubblico, sono le loro competenze che possono renderlo di qualità avanzata e adeguata alle nuove sfide. Nonostante ciò una delle criticità più rilevanti è ancora oggi rappresentata dal limite (tetto) che la normativa nazionale pone alle assunzioni del personale. Dal 2012, anno della introduzione con la cosiddetta “spending review”, questo limite continua anacronisticamente ad essere sul piano normativo un ostacolo insormontabile nell’arruolamento di personale in relazione al variare dei fabbisogni. E’ indispensabile che questo limite venga rimosso, per rispondere laddove sia opportuno con politiche di assunzione adeguate rispetto alle mutate esigenze del Servizio Sanitario. Al pari è necessario intervenire con politiche nazionali e regionali, in grado di rispondere alla “crisi delle professioni” che stiamo vivendo. Le politiche per la valorizzazione professionale sono al centro di qualsiasi intervento voglia riformare il Servizio Sanitario. La disaffezione verso il sistema pubblico, la fuga verso altri paesi, o verso il privato, sono la reazione ad un sistema che è diventato tossico nelle condizioni di lavoro, oltre che economicamente poco gratificante. Le azioni di contrasto a questo progressivo impoverimento professionale vanno iniziate qui ed ora, per poterne vedere gli effetti in tempi utili. Sarà inderogabile il nostro impegno per sostenere ogni possibile forma di incentivazione ad intraprendere il percorso di studio e lavoro in ambito sanitario, sia per la professione medica che per le professioni sanitarie, e questo impegno deve essere accompagnato da un lavoro che sui temi trattati veda coinvolte tutte le direzioni delle singole Aziende Sanitarie, perché è sul terreno dell’agire organizzativo quotidiano e non in astratto, che vanno praticate le politiche di gestione del personale, il diversity management, il gender management, la conciliazione tra il tempo di lavoro e quello famigliare e di vita proprio ( tema praticamente ignorato), di protezione dei professionisti da odiosi ed inaccettabili atti di aggressione fisica e verbale, che vanno contrastati senza alcuna incertezza, operando fattivamente per la loro sicurezza fisica ed il benessere lavorativo. Qualsiasi politica sul personale, qualsiasi impegno che riguardi il capitale umano, non puo’ tuttavia disattendere la necessita’ di ricostruire la fiducia dei professionisti, che veda una loro maggiore partecipazione alle scelte organizzative, premiando il merito e le competenze fuori da ogni logica di appartenenza, perseguendo la valorizzazione, economica e non, dell’impegno e della dedizione e un sistema di politiche avanzate nella valorizzazione delle carriere. Agli atti di riconoscimento formale che attribuiscano il giusto rilievo negli assetti di governance delle Aziende, che vanno riconosciuti alle differenti professioni, devono associarsi politiche di cambiamento nella distribuzione delle competenze. Oggi al fianco dei medici operano 30 professioni sanitarie, tutte acquisite attraverso percorsi di laurea, che hanno enormemente modificato la combinazione delle competenze che coesistono e partecipano alla risposta ai bisogni dell’individuo con patologia. Questo ha determinato nel tempo importanti cambiamenti nelle titolarità delle risposte al bisogno, garantendo di poter fruire della migliore competenza per la specifica necessita’, laddove in passato questa risposta era limitata a pochissime professioni in un rapporto di gerarchia professionale che oggi non ha motivo di esistere, in ragione della diversità e della complementarietà delle competenze fra infermieri, medici di differenti discipline, ostetriche, tecnici della riabilitazione. Questa complementarieta’ deve rappresentare un valore aggiunto rispetto al passato, in grado di realizzare cooperazioni professionali, in luogo dei conflitti interprofessionali che logorano dall’interno il sistema. La nostra preoccupazione principale non è quella di una anacronistica guerra fra professioni, ma quella, concreta, reale e sempre piu’ vicina, della carenza del personale arruolabile in diverse professioni, quella infermieristica per le dimensioni con le quali si avvicina a grandi passi, e quella di alcune discipline mediche che vedono una profonda crisi di vocazione e disaffezione. Anche in questo ambito, come in quello delle liste di attesa non esistono ricette miracolose ma un impegno concreto, continuo, strategico ed operativo al tempo stesso, in grado di cambiare gli ambienti di lavoro, favorendo la “retention”, e dall’altro in grado di incentivare le vocazioni. Entrambi gli aspetti vanno affrontati con determinazione, sul primo lavorando con le Aziende Sanitarie per una politica orientata a migliorare su ogni versante le relazioni e le motivazioni lavorative, dall’altro valorizzando l’elevato contenuto sociale delle professioni sanitarie, adeguandone le remunerazioni, i percorsi di carriera e la valorizzazione professionale, consentendo il pieno dispiegarsi delle potenzialita’ professionali. L’implementazione delle competenze assegnate – ad esempio – a figure nuove come l’infermiere di famiglia e di comunita’, rappresenta in questo senso una plastica rappresentazione di come sia possibile costruire opportunita’ per modificare, a favore della comunita’ tutta, le relazioni e gli spazi di collaborazione fra competenze diverse e fra professionisti e famiglie, attribuendo responsabilita’ di riferimento per i singoli e per le comunita, nell’esercizio delle attivita’ di enpowerment, di informazione, di co-costruzione di una cultura della salute. La oggettiva difficoltà all’esercizio della professione in ambito sanitario, legata all’evoluzione continua delle conoscenze, richiede che i professionisti ad ogni livello siano sostenuti nelle necessità formative e di aggiornamento permanente: a tal fine è nostra intenzione fornire strumenti non formali di crescita culturale, per esempio favorendo ed incentivando l’attività di passaggio delle competenze all’interno delle equipe, specie in questi anni di notevole rinnovo generazionale; in tal modo sarà possibile migliorare la qualità della prestazione sanitaria fornita e creare un cambiamento di “clima” nei rapporti intraprofessionali e verso l’organizzazione.
Infine un ulteriore elemento che può contribuire e realizzare le traiettorie di cambiamento sopra indicate è la modifica del sistema premiante. Riteniamo si debba premiare:
• chi realizza percorsi di vera e propria presa in carico
• chi documenta standard di efficienza nell’uso delle risorse e con buoni esiti
• il minor impatto dei propri assistiti sul sistema dell’urgenza (codici bianchi/verdi) e sulla specialistica ambulatoriale (per MMG, per Nucleo Cure Primarie e in futuro per AFT)
• l’impegno ad innovare le modalità di lavoro (per esempio telemedicina, valutazione multidisciplinare e multiprofessionale, etc)

• Rilanciare la ricerca, l’innovazione in tutte le scienze della vita. Le Aziende Ospedaliero-Universitarie e gli Istituti di Ricerca e Cura a Carattere scientifico, devono essere sostenuti nel perseguimento delle mission di Centri di Ricerca ed altissima specializzazione e nel ruolo di hub nazionali ed internazionali nel contesto della rete regionale dei Servizi Sanitari, senza svilirne il profilo e le competenze, ma al contrario concentrando la ricerca in ogni ambito delle scienze della vita – inclusa la ricerca sui servizi – anche attraverso la collaborazione con il sistema industriale regionale, che vede nel territorio regionale la presenza del secondo polo bio-medicale al mondo. Vogliamo lavorare per offrire ai ricercatori la possibilità di collaborare a progetti di ricerca nella propria regione, incentivando in tal modo la retention dei ricercatori più competenti, ricercando al contempo ulteriori ambiti di innovazione e trasferimento delle conoscenze, in grado di sostenere lo sviluppo di tutto il settore, e far valere i propri effetti sulla salute della comunita’. La collaborazione multidisciplinare con gli Atenei ci consente oggi di ampliare gli ambiti di collaborazione a nuovi spazi culturali e professionali. Alla ricerca tradizionalmente biomedica deve affiancarsi la ricerca collaborativa con le altre discipline tecniche – ingegneria, bioingegneria, informatica – che hanno intrapreso percorsi di contaminazione che gia’ oggi evidenziano i primi frutti nell’uso della IA, delle innovazioni biomeccaniche, della bioingegneria genetica. Vogliamo quindi sostenere l’ulteriore sviluppo della Medicina Universitaria, anche coinvolgendola a pieno titolo nella elaborazione dei progetti di innovazione e sviluppo delle attività di assistenza, ricerca, didattica e di addestramento professionalizzante dei medici in formazione specialistica. Investire con la Medicina Universitaria sull’ulteriore qualificazione della formazione degli specializzandi, coinvolgendo nelle reti formative le migliori competenze disponibili nell’intera rete dei servizi ospedalieri e territoriali della nostra Regione, potrà rendere ancora più attrattive le Scuole di Specializzazione.”