Mettere in vita un classico e mettere in scena Ravenna: sono queste le coordinate della Chiamata pubblica – la prima nel 2016 – con cui ancora una volta Ermanna Montanari e Marco Martinelli, fondatori e direzione artistica delle Albe, hanno invitato cittadine e cittadini a prendere parte a una creazione corale, “segno che il teatro mantiene la sua forza dirompente quando, alla verticalità solitaria dell’arte, sa intrecciare l’orizzonte plurale dei corpi,” sottolineano. Dal 26 al 30 giugno e dal 2 al 7 luglio, l’appuntamento con Don Chisciotte ad ardere opera in fieri 2024 è alle 20 a Palazzo Malagola (via di Roma 118) sulle tracce del cavaliere errante di Cervantes; così, dopo essersi misurata con il viaggio ultraterreno della Commedia dantesca, la Chiamata permette al pubblico di Ravenna Festival di varcare la soglia di un’altra opera-mondo attraverso uno spettacolo composto dalla ripresa della prima “anta” del trittico donchisciottesco, andata in scena nel 2023, e l’inedita seconda anta che raggiungerà il Palazzo di Teodorico. Il Cantiere Malagola, battezzato come il palazzo dove ha sede il Centro di ricerca vocale e sonora fondato e diretto da Montanari accanto ad Enrico Pitozzi, raccoglie il testimone del Cantiere Dante – e l’immutato entusiasmo delle migliaia di cittadini coinvolti nel progetto anno dopo anno – per una rilettura che pone l’accento sulla relazione articolata e drammatica tra realtà e sogno, senza evitare il confronto con la più bruciante attualità. Per l’occasione, Ravenna Festival ha commissionato musiche originali al gruppo Leda, che le eseguirà live. Lo spettacolo è una coproduzione Albe/Ravenna Teatro, Ravenna Festival e Teatro Alighieri in collaborazione con i Musei nazionali di Ravenna e l’Opera di Religione della Diocesi di Ravenna. Al momento tutte le date sono sold-out, ma la sera stessa è possibile mettersi in lista d’attesa alla Biglietteria del Teatro Alighieri per i posti che potrebbero rendersi disponibili.
La seconda e nuova anta del Don Chisciotte segue a ruota l’episodio conclusivo della prima anta, che parte e si sviluppa negli spazi di Palazzo Malagola. Gli “erranti” fuggono il rogo dei libri: insieme a Don Chisciotte, Dulcinea e Sancho (rispettivamente Roberto Magnani, Laura Redaelli e Alessandro Argnani), i maghi Hermanita e Marcus – gli alias di Montanari e Martinelli, a cui si deve l’ideazione, la regia e la drammaturgia – raggiungono le rovine di un “palazzo”. Sul prato i maghi e le maschere preparano la storia centrale della seconda anta: è la “schiava di Algeri”, novella fondamentale nella polifonia del romanzo di Cervantes. Così l’hidalgo, simbolo irriducibile di sognatore che non si rassegna alle ingiustizie di un sistema fondato sull’ipocrisia e il sopruso, continua ad ardere, appunto, anche se tutti lo considerano folle, patetico e ridicolo. Ma più ci addentriamo nell’opera e più il cavaliere e i suoi folli e stonati compagni di viaggio ci appaiono più saggi e percettivi di quella maggioranza che, pretendendo di avere il monopolio della ragione e della verità, è loro nemica.
“Grazie a una sapienza e a una capacità collaudata nel corso di tanti anni di lavoro, si rinnova un’avventura che coinvolge tutta la città – sottolinea Franco Masotti, co-direttore artistico di Ravenna Festival – sia i suoi luoghi, anche i più segreti e appartati come quest’anno il Palazzo di Teodorico, sia i cittadini che rispondono, fedeli e sempre entusiasti, alla Chiamata. Arte e cittadinanza, un binomio che diventa ancora una volta protagonista trovando sempre nel Ravenna Festival il suo immancabile ‘compagno di strada’”. Anche quest’anno il progetto vedrà la partecipazione di alcune “tribù”, vale a dire gruppi composti da ragazzi e ragazze che hanno partecipato a laboratori di non-scuola, non solo da diverse parti d’Italia – da Torino fino a Matera e Lecce – ma anche dall’estero, ad esempio da Pristina e da Londra.
Le rovine all’incrocio fra via di Roma e via Alberoni, in prossimità della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, sono tradizionalmente conosciute come “Palazzo di Teodorico”, alludendo alla maestosa residenza del re ostrogoto rappresentata anche nei mosaici della vicina basilica. In realtà, gli studiosi si dividono nel riconoscervi i resti di un corpo di guardia eretto al tempo degli esarchi bizantini o l’ardica della chiesa di San Salvatore. La natura enigmatica e sfuggente di questo spazio lo rende la scena ideale per esplorare l’interstizio, la ferita che Cervantes apre fra realtà e sogno e che costantemente ci interroga.