Un ragazzo realizza con perizia una scultura in sabbia. Rappresenta un cane che protegge il proprio cucciolo e lo copre affettuosamente con il muso. È successo mercoledì pomeriggio in via Corrado Ricci, a lato della via, senza alcun impedimento al transito. Apprendiamo dalla stampa che si è trattato di «Un’opera apprezzata dai passanti, che ha azionato le fotocamere degli smarphone di molti curiosi, a fronte però di pochi spiccioli racimolati dall’autore: un giovane mendicante, pantaloncini rossi, tuta e non una parola d’italiano. La Polizia municipale, che da sempre vigila la zona, ha constatato l’assenza di permesso, previsto in questi casi per gli artisti di strada. E, regolamenti alla mano, ha redatto un verbale e identificato il giovane, indotto a disfare la sua opera, raccogliere la sabbia dentro a un sacco e andarsene». Potremmo discutere, e ce ne sarebbe motivo, sull’accanimento dell’Amministrazione Comunale contro gli artisti di strada, nell’applicazione di regole che non sono universali, valgono sono a Ravenna, regole che molti che le subiscono non conoscono, in tutela di un senso del decoro che avremmo definito di centrodestra se non avessimo saputo che è sponsorizzato dal centrosinistra. Ne abbiamo già detto e non ci ripetiamo: resta il frutto malato della stagione di sceriffi e vicesceriffi contro la quale ci siamo opposti, come Ravenna in Comune, al momento del voto in Consiglio Comunale del Regolamento di Polizia Urbana. Gli unici. Nessun altro voto contrario né di centrodestra né di centrosinistra.

Oggi però ci soffermiamo piuttosto sul seguito della vicenda. Leggiamo infatti che «Attorno si è formato un capannello di persone, alcune perplesse per il trattamento riservato al ragazzo, con tanto di multa. Uno dei presenti, che avrebbe scattato foto in cui comparivano gli agenti, è stato sottoposto a sua volta a identificazione dagli stessi, avendone facoltà». Pochi giorni fa avevamo appreso che era stata la volta di un altro nostro concittadino richiesto di identificarsi senza altra ragione se non il fatto di trovarsi seduto in Piazza San Francesco. Leggiamo anche in questo caso: «Sono arrivati i carabinieri, una pattuglia, mi hanno salutato e poi mi hanno detto: “Come mai è qui?”. Vedevo tanta gente attorno a me magari dall’altro lato dove magari stanno le persone giuste. “Mi dia i documenti, noi siamo obbligati perché avrà saputo cosa è successo”». Quello che è successo, cioè otto agenti impegnati contro un ragazzo cui era imputato di ascoltare musica a volume eccessivo, ha dato origine ad una manifestazione contro la repressione. Una bella manifestazione, con tanto di corteo, composta essenzialmente da ragazze e ragazzi, ben organizzata, pacifica e riuscita. A cui diverse associazioni e forze politiche hanno aderito. Ravenna in Comune tra queste.

Non si discute qui sul fatto che la normativa vigente consenta di procedere all’identificazione di chiunque da parte di chi possiede l’autorità di farlo praticamente senza bisogno di alcuna giustificazione. Resta il fatto che, l’identificazione di una persona da parte di chi, da parte sua, invece non si identifica né è identificabile, non è, a tutta evidenza, un normale atto amministrativo. Mette piuttosto in evidenza come i rapporti tra comune cittadino e forze cosiddette dell’ordine siano sbilanciati a favore dei secondi. E che se questo sbilanciamento è agito deve avere una valida ragione.

Nei casi citati si sono richiesti i documenti a chi stava immortalando un’azione di polizia non condividendone l’operato. Si sono anche richiesti anche a chi, racconta: «Stavo seduto nella parte sbagliata della Piazza San Francesco e sono arrivati i carabinieri e mi hanno chiesto i documenti».

È evidente che identificare qualcuno non è un atto neutro. Non lo è stato nemmeno quando, alla Prima della Scala, il 7 dicembre scorso, è stato identificato uno spettatore che aveva pronunciato, venendo sentito, le parole: «Viva l’Italia antifascista». L’accaduto è stato raccolto dall’ANSA: «iA dire il vero non ho gridato, ho detto quella frase con calma e tranquillità. Mi è venuta di getto, è stato lo sfociare logico di tutta una riflessione precedente. Ma ho detto una cosa lapalissiana, non mi aspettavo proprio tutto questo can-can. È stato tutto un po’ inquietante. Dentro di me ho pensato che allora siamo veramente sulla soglia di un parafascismo, il dubbio non può non venire. Quando mi hanno fermato ero un po’ scocciato, ho spiegato che non avevo fatto niente e non capivo perché volessero identificarmi. Poi l’ho buttata sul ridere, ho detto che il vero reato sarebbe stato dire ‘viva l’Italia fascista’, a quel punto potevano legarmi e portarmi via. Mi ha fatto capire che ho fatto bene. E lo rifare».

Cosa sta succedendo a Ravenna? Parallelamente all’Italia, certo, ma Ravenna è Città medaglia d’oro alla Resistenza per qualcosa, no? Cos’è questo clima repressivo montante contro tutto ciò che, anche solo a prima vista, sembra non allineato al potere? Cambia poco, evidentemente, che sia quello di centrodestra dello Stato centrale o quello di centrosinistra della nostra Amministrazione locale.

A Roma, a Pisa, a Firenze, Catania e Napoli si manganellano con ferocia (sì, abbiamo scritto ferocia!) gli studenti perché chiedono libertà per la Palestina, stop al genocidio e alla collaborazione con Israele. A Bologna le manganellate vanno a chi manifesta per una diversa idea di Città da quella che vuole cancellare i parchi ed asfaltare ogni spazio libero. A Milano contro chi protesta contro il razzismo dilagante.

Oggi, venerdì pomeriggio, alle 15.00, Ravenna in Comune chiede di essere al fianco degli studenti al Campus di Palazzo Corradini, in via Mariani 5, a Ravenna, nella protesta indetta “Contro devastazione ambientale e imperialismo, al fianco della resistenza palestinese”.

Sempre oggi, dalle 18.30 è giusto partecipare al flash mob “Se vuoi la pace prepara la Pace” indetto dalla Casa delle Donne, una protesta silenziosa in via Cavour davanti alla Chiesa di San Domenico per respingere l’idea che dalle guerre si può uscire solo con vittorie armate.

Infine, tra le due manifestazioni, segnaliamo l’incontro promosso dal Comitato In difesa della Costituzione di Ravenna, dall’Istituto storico per la Resistenza e l’età contemporanea di Ravenna, da ’Libertà e giustizia’, circolo di Ravenna, in occasione della presentazione del libro di Davide Conti, ’Fascisti contro la democrazia. Almirante e Rauti alle radici della destra italiana 1946-1976’. È provata la persistenza di radici fasciste che, dalla Repubblica di Salò in avanti, hanno continuato a vivere nella Repubblica Italiana.

L’allarme lo avevamo già lanciato: «Anche a Ravenna si stanno moltiplicando gli episodi in cui la libertà di parola, di espressione, di manifestazione, insomma quei diritti garantiti dalla Costituzione, che distinguono la nostra Repubblica dal Regno fascista che l’ha preceduta, sono soppressi, accantonati. Ci sono piazze che vengono sistematicamente vietate, strade che i cortei non possono percorrere, volantini che diventano prove di presunti reati, manifestazioni che vengono impedite, sanzioni che vengono brandite come spranghe, indagini che colpiscono gli antifascisti e si dimenticano dei fascisti, intimidazioni verso gli studenti che occupano le scuole inneggiando alla libertà per la Palestina, eccetera eccetera».

Come ricordava Pasolini il fascismo è quello del saluto romano ma non è solo quello. Più rispondente alla realtà italiana è chiamarlo “fascismi”, al plurale. Ci sono indizi per riconoscerli anche quando non ostentano i fasci. Una regola importante è quella di ricordare che i fascismi e le repressioni del dissenso viaggiano sempre assieme.

Quando a parlare liberamente sono solo i manganelli vuol dire che si è silenziata la democrazia. Non ci stiamo. Facciamo sentire alta e forte la nostra voce.

Oggi, domani, sia sempre il 25 aprile.” 

Ravenna in Comune