Lettera inviata alla redazione da due docenti del liceo Oriani di Ravenna, si tratta delle professoresse Rossella Giovannini e Emanuela Serri:
“In qualità di docenti sentiamo il dovere, nonché il diritto, di esprimersi in merito ai fatti occorsi a Pisa il 23 febbraio scorso. Ciò che è successo a Pisa non può essere compreso alla luce di una logica bipolare che condanna o assolve l’una o l’altra parte, dal momento che non si tratta di prendere posizione in modo unilaterale ma di rifocalizzare lo sguardo sulle funzioni ed i ruoli attraverso cui si articola la convivenza democratica. Crediamo nel principio di responsabilità individuale, in base al quale chi ha agito violentemente si è posto al di fuori delle regole istituzionali e della grammatica del discorso democratico. Auspichiamo che queste devianze siano riconosciute tali dalle istituzioni che, vale la pena ricordarlo, nascono per garantire le nostre libertà e proteggere la nostra integrità, mantenendo l’ordine pubblico e la sicurezza. Laddove questo non avvenga, è nostro dovere di cittadini, prima ancora che di educatori, denunciare comportamenti devianti rispetto a tali funzioni originarie, in difesa dei valori che siamo chiamati a rispettare e ad insegnare.
Insieme al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, vogliamo ricordare che il compito più alto della scuola è quello di formare i giovani e le giovani ai valori della democrazia, che non è solo una teoria politica ma anche, e prima di tutto, la pratica di cittadinanza più alta che l’Occidente abbia mai espresso. La nostra Costituzione ha inteso rispecchiare questo straordinario modello di organizzazione politica e civile grazie al quale il lume della ragione si è imposto sull’arbitrio, l’arroganza e la violenza del totalitarismo novecentesco. Ragione, verità e fiducia nell’umanità sono stelle polari capaci di rischiarare l’oscurità ed è proprio in ragione di questi valori che esporsi alla luce pubblica non è mai un compito senza senso. Lo hanno fatto in tempi bui i nostri padri costituenti, lo facciamo noi ed i nostri studenti oggi, richiamandoci al messaggio con cui Hannah Arendt conclude il discorso, pronunciato il 28 settembre 1959, in occasione del conferimento del premio Lessing:
“la verità non può esistere se non là dove può essere umanizzata dal discorso (…). Un dire di questo genere è tuttavia quasi impossibile nella solitudine; esso è legato a uno spazio a più voci, in cui l’annuncio di ciò che sembra verità lega e insieme separa gli uomini, creando di fatto quelle distanze tra le persone che, insieme, formano il mondo”.
Con Arendt condividiamo l’idea che non siano la differenza ed il conflitto a disumanizzare il discorso, bensì il costituirsi di un’unica opinione in cui si smarriscono le pluralità molteplici ed arricchenti che specificano e realizzano l’infinito potenziale umano. Per questo non ci limitiamo a difendere il diritto a manifestare il proprio punto di vista nello spazio pubblico dell’agorà, ma intendiamo sostenerlo con tutte le nostre forze nelle sue radicali e, a volte, inconciliabili differenze, perché siamo educatori e perché riteniamo che il riconoscimento dell’alterità sia l’elemento più antropogeno che esista. La vera sfida che la democrazia deve affrontare, a nostro avviso, consiste proprio nell’ascolto rispettoso della differenza, nella sua valorizzazione, nella sua trasposizione verbale perché proprio il linguaggio ci specifica come esseri umani razionali. Perdere questa sfida significa perdere se stessi.